Il partito piemontese sente il fiato sul collo e il leader Gariglio convoca una segreteria urgente. Si cerca una strategia per uscire dall'angolo mentre si aggiungono particolari sulle relazioni torinesi del Compagno G. Quagliotti: "L'obiettivo è Fassino"
La storia si ripete, come durante i congressi di circolo e provinciali dello scorso autunno. Sotto attacco dei cuperliani finirono i “signori delle tessere” legati a Renzi tramite Fassino, i cosiddetti rottamatori per non essere rottamati: l’ex socialista Salvatore Gallo, il gran consigliore Quagliotti – uniti nella corrente autostradale di Sitaf, cui si aggiunse in ultimo il consigliere regionale Andrea Stara, unico esponente democratico di Palazzo Lascaris cui è stato chiesto il rinvio a giudizio nell’inchiesta sulle spese pazze. I loro voti e le loro tessere hanno consentito a Fabrizio Morri – altro sodale di vecchia data del Lungo – di essere eletto al vertice del partito torinese. Anche lui è sotto pressione, con una minoranza interna che in assemblea vale il 49%, anche lui, come Gariglio, ha convocato una segreteria urgente: ufficialmente per discutere della mobilitazione in vista dell’ultima settimana di campagna elettorale, in realtà per elaborare un piano di difesa.
Doveva essere una marcia trionfale e invece le urne potrebbero sancire una vittoria mutilata. Il Piemonte è l’epicentro elettorale, dove oltre alle Europee si celebrano Regionali e le più corpose amministrative d’Italia con ben 891 comuni al voto, ma anche uno dei punti nevralgici su cui si sta sviluppando un filone dell’affaire Expo. Nel mirino c’è un Pd che, al manifestarsi di vecchi fantasmi, sente il fiato sul collo di opinione pubblica e di una base sempre più sconcertata e confusa. Cresce la sindrome dell’accerchiamento e, mentre Matteo Renzi da Roma, prova a uscire dall’angolo schierando il magistrato Raffaele Cantone e ribadendo nel tour televisivo che lo Stato va avanti mentre i mariuoli finiscono i carcere, i vertici locali accusano il colpo. Il segretario regionale Davide Gariglio ha convocato alle 15 di domani una segreteria per discutere “questioni politiche urgenti”, nessun ordine del giorno specifico, gli argomenti non mancano, basta e avanza il terremoto in corso........
Nel frattempo è annunciato un memoriale di Primo Greganti. Lo ha affermato uno dei suoi legali, l’avvocato Roberto Macchia, uno scritto per difendersi dalle accuse, che lui respinge “in modo molto netto”. Il legale ha chiarito che il “compagno G” sta leggendo le carte delle indagini in carcere e poi “a mente fredda ha intenzione di preparare un memoriale per fornire chiarimenti e respingere le contestazioni” che, secondo la difesa, “allo stato sembrano poco incisive”. Per il legale, infatti, “dagli atti non emergono episodi in cui Greganti avrebbe preso o consegnato denaro”.
L’Expo e le ripercussioni sul partito torinese, dove era iscritto (ora sospeso) il Compagno G non sono che il culmine di un clima ostile verso il partito di via Masserano. Una vera e propria escalation di parole e azioni. Dapprima l’attacco ai circoli, le sedi danneggiate, i muri imbrattati da insulti, le contestazioni e le minacce subite durante il corteo del Primo Maggio. Beppe Grillo e i suoi luogotenenti in terra subalpina soffiano sul fuoco convinti di passare all’incasso il 25 maggio. E lo stesso incidente occorso a Piero Fassino, il dito medio rivolto a un drappello di scalmanati granata che lo contestava al Filadelfia, è il sintomo di una tensione che colpisce persino gli esponenti più navigati. Un gesto che, se comprensibile sul piano umano, denota il nervosismo a gestire il momento, al punto che il sindaco sente stringersi il cerchio attorno a sé, con l'eminenza grigiastra Giancarlo Quagliottiche continua a lanciare messaggi obliqui: “Attaccano me per colpire Piero”, se non altro un modo per ribadire che i due sono un tutt’uno. L’Expo e la ragnatela di Greganti a Torino potrebbero rappresentare una seria ipoteca sulle urne, quando alle elezioni mancano dieci giorni e anche dal punto di vista politico il Pd pare subire, più che vivere come valore aggiunto, la leadership diSergio Chiamparino, che al contrario del suo collega a Palazzo di Città sembra l’unico tranquillo rispetto al putiferio in corso.
La storia si ripete, come durante i congressi di circolo e provinciali dello scorso autunno. Sotto attacco dei cuperliani finirono i “signori delle tessere” legati a Renzi tramite Fassino, i cosiddetti rottamatori per non essere rottamati: l’ex socialista Salvatore Gallo, il gran consigliore Quagliotti – uniti nella corrente autostradale di Sitaf, cui si aggiunse in ultimo il consigliere regionale Andrea Stara, unico esponente democratico di Palazzo Lascaris cui è stato chiesto il rinvio a giudizio nell’inchiesta sulle spese pazze. I loro voti e le loro tessere hanno consentito a Fabrizio Morri – altro sodale di vecchia data del Lungo – di essere eletto al vertice del partito torinese. Anche lui è sotto pressione, con una minoranza interna che in assemblea vale il 49%, anche lui, come Gariglio, ha convocato una segreteria urgente: ufficialmente per discutere della mobilitazione in vista dell’ultima settimana di campagna elettorale, in realtà per elaborare un piano di difesa.
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