umberto marabese
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La valle di Susa, nervo scoperto della grande crisi italiana. Ascoltare le ragioni e la sofferenza della protesta, indagare su chi fa strategia della tensione.
di Giorgio Cattaneo.
Massimo Numa,
destinatario di un misterioso pacco-bomba recapitatogli
alla redazione della "Stampa", è il giornalista più noto in
valle di Susa, e il più temuto. Nella rovente estate 2011, gli
attivisti lo accusarono direttamente: sostennero che proprio
dal suo computer era partita una email-fantasma, firmata
"Alessio", nella quale si tentava si sostenere che un militante
No-Tav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno il 23 luglio,
fosse in realtà finito all'ospedale per essere semplicemente
"caduto da solo".
Lo stesso Numa ammise che quella
velenosa mail, palesemente destinata a inquinare la verità, era
stata davvero inviata dal suo ufficio, anche se - disse - non era
stato lui a spedirla. Nonostante questo increscioso episodio, non
solo Numa è rimasto regolarmente in servizio alla redazione della
"Stampa", ma il direttore del giornale, Mario Calabresi,
gli ha consentito di continuare a occuparsi quotidianamente della
drammatica vertenza della valle di Susa, come se nulla fosse
accaduto.................
Dopo l'agguato del pacco-bomba, che
per fortuna Numa non ha aperto, nessuno ha ricordato
quell'inquietante infortunio professionale dell'estate 2011: non
una parola dal presidente dell'ordine del giornalisti, Franco
Siddi. Doverosa solidarietà al giornalista è stata ora espressa
dallo stesso Napolitano, in un messaggio alla "Stampa". Il
presidente della Repubblica, finora sottrattosi
all'incontro più volte richiestogli dai sindaci della valle,
oggi riconosce apertamente la legittimità del dissenso No-Tav, ma
sollecita i valsusini a prendere le distanze dalle "frange
violente" che possono infiltrare e fuorviare il movimento.
Napolitano invita la comunità
valsusina a non sottovalutare l'allarme-terrorismo lanciato dal
procuratore torinese Gian Carlo Caselli.
Allarme che il pacco-bomba a Massimo
Numa non fa che rafforzare, dopo gli oscuri attentati incendiari
delle ultime settimane, che hanno preso di mira aziende valsusine
coinvolte nel cantiere del mini-tunnel geognostico di Chiomonte. Non
un giornale, intanto, si degna però di ricordare che le prime
vittime del fuoco incendiario sono stati proprio gli attivisti
valsusini, coi loro "presidi No-Tav" ripetutamente dati alle
fiamme da delinquenti mai identificati.
A tener banco è ancora e sempre la
piccola galleria della discordia, cioè l'unica opera (minore e
accessoria) finora avviata nell'ambito della maxi-infrastruttura
ferroviaria, sempre spacciata per "indispensabile" dall'Italia,
mentre la
Francia ha appena stabilito che il fascicolo Torino-Lione verrà
riesaminato da Parigi solo a partire dal 2030. Dettaglio
decisivo, sostiene Gad
Lerner: significa che, probabilmente, la super-ferrovia
non si farà mai, anche se giornali e televisioni si guardano
bene dall'ammetterlo. I grandi media continuano infatti a
distinguersi per la loro sostanziale sordità, ignorando gli appelli
più autorevoli:
360 tecnici e docenti dell'università italiana hanno bocciato
senza appello la Torino-Lione, considerandola un'opera
pericolosa per il territorio (ambiente e salute), disastrosa per il
debito pubblico italiano (miliardi di euro) e incredibilmente inutile
sul piano dei trasporti transalpini.
I maggiori esperti italiani
sostengono che non c'è alcuna necessità di una nuova linea:
l'attuale ferrovia valsusina Torino-Modane è ormai senza treni,
anche se il traforo del Fréjus è stato appena ammodernato e ora può
accogliere Tir e container caricati sui convogli. Problema: il
trasporto merci Italia-Francia è crollato e tutte le stime
dicono che si è storicamente esaurito, ridotto a traffico regionale.
Accusato di eccessiva tolleranza nei
confronti dell'antagonismo, protagonista di "assedi" notturni
al cantiere di Chiomonte, all'indomani del pacco-bomba diretto a
Numa il movimento No-Tav prende posizione in modo netto: «È
un rituale fastidioso che si ripete da anni quello dei pacchi
bomba (o bombe-pacco) e delle lettere minatorie contenenti proiettili
e polverine varie recapitati qua e là», scrive il movimento in una
nota sul sito "NoTav.info". «È
ancora più fastidioso perché chi usa questa forma di
corrispondenza esplosiva ha come unico risultato il can can
mediatico, il far parlare di sé e della presunta vittima, creando ad
arte l'ennesima occasione di accostamento tra violenza e dissenso».
E aggiunge: «Questi metodi vigliacchi, che tra l'altro hanno
colpito anche molti esponenti No Tav, non ci appartengono, sono
totalmente estranei - anzi avversi - alla nostra storia, alla
nostra concezione e pratica di resistenza e lotta al sopruso
rappresentato dal Tav. Sono carognate di chi vuole semplicemente
alimentare la tensione e criminalizzare ad ogni costo il
movimento».
Detto questo, i No-Tav contrattaccano a
viso aperto: chi oggi accusa la valle di Susa non ha mai fatto
piena luce su altri misteriosi attentati, ben più inquietanti
perché anche dinamitardi, alcuni dei quali firmati con la
fantomatica sigla "Lupi Grigi".
Bombe vere e proprie, che a metà degli anni '90 agitarono
le notti della valle di Susa, prendendo di mira trivelle e ripetitori
televisivi e telefonici. La stampa si affrettò a parlare di
"eco-terrorismo" e "anarco-insurrezionalismo", in una caccia
alle streghe che si concluse con l'arresto di tre giovani
anarchici, due dei quali - Maria Soledad Rosas e Edoardo
Massari, "Sole e Baleno" - morirono entrambi in stato di
detenzione, lui nel carcere di Torino e lei in una comunità del
Gruppo Abele, prima ancora che la giustizia, in sede processuale,
avesse di tempo di chiarire la loro totale estraneità a quegli
attentati, che pure erano costati loro le accuse gravissime di
banda armata e associazione sovversiva.
«Noi abbiamo buona memoria -
scrivono oggi i No-Tav - e senza andare a scomodare gli anni di
piombo come fanno i vari Caselli, Fassino e fanfara varia, ci
ricordiamo molto bene la stagione degli attentati attribuiti ai "Lupi
Grigi", che non è di cent'anni fa ma dell'altro ieri, e
potrebbe (oggi come allora) non solo non essere attribuita ai No Tav
o ai loro "simpatizzanti spontanei o indotti", ma addirittura
ricondotta direttamente a chi - quegli attentati - li avrebbe
dovuti, li dovrebbe e li dovrà impedire».
I valsusini, dunque, non si fidano:
temono che qualsiasi escalation di violenza possa essere manipolata e
ricondotta alla perversa logica della "strategia della
tensione". E invitano a rileggere il libro-denuncia
dell'anarchico torinese Tobia Imperato, "Le
scarpe dei suicidi", che ricostruisce la vicenda di "Sole
e Baleno" considerandola una sostanziale montatura,
organizzata a tavolino per criminalizzare in partenza
l'opposizione alla linea Tav Torino-Lione.
Dieci anni dopo, la storia valsusina
sterzò bruscamente: quella che negli anni '90 era stata
un'avanguardia intellettuale ecologista, impegnata in una durissima
opposizione legale contro l'altra grande opera imposta alla valle -
l'autostrada del Fréjus, oggi semi-deserta, realizzata tra le
polemiche e conclusasi con un'imbarazzante tangentopoli per le
mazzette circolate tra appalti e cantieri - divenne dopo il 2000 un
movimento popolare di massa, capace di sfidare quelli che
riteneva abusi di potere, e di farlo in nome della legge, con in
testa i sindaci in fascia tricolore. Così, alla fine del 2005 i
valsusini furono protagonisti di una clamorosa rivolta
nonviolenta, che costrinse il governo Berlusconi a
sospendere la procedura Torino-Lione, poi "addormentata" durante
il successivo governo Prodi da ministri come il verde Pecoraro
Scanio e il comunista Ferrero. Quattro anni dopo, la
vertenza si è riaperta col progetto-bis, una
sostanziale fotocopia del primo, al quale il movimento ha risposto
con l'occupazione della futura area di cantiere a Chiomonte, quella
che oggi - dopo lo sgombero del giugno 2011 - si è trasformata
nell'epicentro di uno scontro fortemente simbolico, di rilevo
nazionale, di cui ormai si occupano giornali, magistrati e
persino il presidente della Repubblica.
Particolarmente sleale
l'atteggiamento della politica: i grandi partiti hanno sempre
rifiutato ogni forma di dialogo, trincerandosi dietro il rispetto
della legalità impugnato come alibi. Pur di evitare il confronto
democratico coi valsusini, si ricorre a qualsiasi mezzo: non
essendovi ancora serie avvisaglie di violenza, nel 2010 il sindaco
torinese Sergio Chiamparino, ora dirigente di Intesa SanPaolo,
arrivò a sostenere che l'opposizione alla Torino-Lione si era
semplicemente estinta. La verità è che non molleranno facilmente,
dice Alberto Perino, perché il Tav è il bancomat dei
partiti. E anche della mafia, aggiunge l'ex magistrato
Ferdinando Imposimato, autore di un "libro
nero" dell'alta velocità nel quale si indica il ruolo
delle cosche nella rete Tav italiana, dove ogni chilometro di
ferrovia costa il triplo o il quadruplo rispetto al resto d'Europa.
È naturale, spiega lo scrittore
Massimo Carlotto: le grandi opere sono perfette per riciclare
il denaro sporco, e in tempi di crisi la grande liquidità dei clan
fa gola alle banche. «Queste grandi opere, per lo più inutili, non
potrebbero essere realizzare se non fossero al riparo di un solido
intreccio di interessi tra politica, finanza e criminalità».
Eppure, l'esilio mediatico del
caso Torino-Lione - in prima pagina solo se corrono notizie di
attentati veri o presunti, o se un militante come Luca Abbà
rischia la vita precipitando da un traliccio - rappresenta una
autentica vergogna nazionale, come riconosce persino un
giornalista mainstream come Curzio Maltese. Tra i leader che
presidiano la televisione, sono usciti dal coro solo Nichi Vendola
e il Renzi delle primarie 2012, mentre - dal febbraio scorso
- deputati e senatori "5 Stelle" hanno finalmente costretto
le autorità a prendere atto che anche la valle di Susa è Italia
e che la sua voce va dunque ascoltata, nonostante la scandalosa
disinformazione di cui è sistematicamente vittima. Al Piero
Fassino che invita i No-Tav a prendere le distanze da
intimidazioni e violenze, il movimento risponde di aver sempre
«predicato il rispetto per ogni forma di vita», preservando
l'incolumità delle persone. Meglio lasciare da parte l'ipocrisia,
aggiungono i No-Tav: «Un dirigente del Pd può parlare dei massimi
sistemi, ma è meglio che si taccia in materia di coerenza, etica e
onestà, dopo lo scandalo che ha portato in carcere Maria Rita
Lorenzetti, importante esponente Pd collegata ai massimi vertici
di questo partito, accusata dalla Procura di Firenze di corruzione
rispetto ai lavori del Tav in Toscana».
Tra Roma e la valle di Susa, nervo
scoperto della grande crisi italiana, è come se ci fosse una
sinistra corrispondenza: nella capitale, anziché affrontare di petto
il disastro sociale provocato dal rigore europeo, il Pd si rifugia
nell'alleanza scivolosa con l'uomo che ha presentato per
vent'anni come un mostro, il nemico numero uno della Repubblica;
allo stesso modo, anziché sedersi a un tavolo e ascoltare finalmente
le ragioni e la sofferenza della protesta, i ministri di turno -
non importa se Pd o Pdl - parlano della valle di Susa come di una
provincia straniera, una colonia ribelle e colpevole, non degna
di far parte della comunità nazionale. Se un merito civile va
ascritto al movimento No-Tav, è quello di aver avvertito gli
italiani, spiegando loro - con anni di anticipo - in che razza di
pasticcio ci saremmo trovati, tutti quanti, il giorno in cui la
politica, come bene sintetizza Erri De Luca, si fosse
liquefatta e completamente arresa ai signori dell'economia, senza
più riconoscere i diritti elementari della cittadinanza democratica.
Sordità e rimozione, prima o poi,
producono rabbia: e nel tunnel della violenza c'è sempre il
rischio di rivedere i peggiori film. Più che i soldati spediti a
Chiomonte, servirebbe il coraggio politico della sincerità: se
la valle di Susa fosse finalmente ascoltata, così come i tecnici
dell'università italiana, tutti sanno che il sortilegio della
paura svanirebbe d'incanto, insieme ai peggiori fantasmi del
passato e al cinismo dei corvi che continuano imperterriti a
speculare sulla crisi, occultando la verità.
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