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domenica 18 agosto 2013
Avvertimento dei giuristi: far decadere Berlusconi è contro la Costituzione
Per i giuristi la legge Severino non può
essere applicata perché i fatti contestati al leader Pdl sono precedenti
alla sua entrata in vigore. Far decadere Berlusconi andrebbe contro la
Costituzione.
Qualche dubbio sulla legge Severino e sulle
sue norme sulla decadenza dei parlamentari, tra i giuristi, si affaccia.
La materia è delicata, e la Costituzione, all'articolo 66 parla chiaro:
«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e
delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità». In più, come ha fatto notare il
costituzionalista Giovanni Guzzetta, la legge Severino rispetto al caso
Berlusconi avrebbe una applicazione retroattiva, visto che i fatti per
cui è stata comminata la condanna risalgono a tempi ben precedenti il
varo della legge. Questione che, secondo Guzzetta, «suscita notevoli
dubbi sul piano della costituzionalità e di una possibile violazione
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo».....
Dello stesso parere è il professor Paolo Armaroli, che insegna
Diritto pubblico e Genova: «È possibile applicare una regola per un
supposto reato commesso prima dell' entrata in vigore della legge
Severino? Io non sono un penalista, ma a me pare che debba valere la
regola per cui non si applica sicuramente la norma meno favorevole al
condannato». Altrimenti, ragiona il professore, «bisognerebbe dire che
anche in campo penale c'è la retroattività della legge. Gli unici casi
in cui si applica la retroattività dalla legge penale si verifica quando
si passa da un regime all'altro, per esempio dal fascismo alla
democrazia». Insomma, la applicazione della legge Severino e della
«sopravvenuta» incandidabilità «dovrebbe riguardare i reati commessi a
partire dal 2013, cioè dopo l'entrata in vigore della legge. E dovrebbe
rimanere fuori ciò che è avvenuto prima».
Un altro potenziale profilo di incostituzionalità viene individuato
dal professor Antonio Leo Tarasco, che insegna diritto alla Pontificia
università gregoriana di Roma: se la Carta costituzionale «pone nel
popolo e non nella magistratura la sovranità (articolo 1), è solo la
deliberazione popolare e non quella giudiziaria il fattore ultimo che
può condizionare la dinamica politica e democratica». Insomma, non può
essere una sentenza a decidere della permanenza o decadenza di un
eletto: «La magistratura non può annullare il voto popolare, essendo una
decisione del genere sempre rimessa a ciascuna Camera di appartenenza,
come recita l'articolo 66. Il giudizio parlamentare non può assumere
carattere vincolato ma sempre libero e incondizionabile; diversamente,
si giungerebbe per legge a legittimare un golpe per mano giudiziaria
senza che il Parlamento possa difendersi».
Anche il professor Alessandro Mangia, docente di Diritto
costituzionale all'Università Cattolica intervistato dal
Sussidiario.net, insiste su questo punto: con il divieto di candidatura
per Berlusconi in base alla sentenza Mediaset, si sancirebbe la
prevalenza del potere giudiziario su quello legislativo: «finché c'è
l'articolo 66 della Costituzione, la legge non può stabilire
l'interruzione del mandato parlamentare senza un voto delle Camere senza
violare la Carta. E, piaccia o non piaccia, non lo può fare neanche la
magistratura. Le Camere devono operare una valutazione di carattere
squisitamente politico, insindacabile se non dagli elettori: il voto non
può ridursi a una pura e semplice presa d'atto di quanto deciso dalla
magistratura».--------------
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