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mercoledì 24 luglio 2013

Il Presidente e la crisi che “incombe”. Lo scoop “retroattivo” di De Bortoli e i governissimi. di Luca Telese

De Bortoli: “Nel 2011 un decreto di chiusura dei mercati finanziari era già pronto”. E Napolitano?
La distanza che sulla prima pagina del Corriere della Sera di oggi divide le due vere notizie del giorno, è in realtà molto inferiore alle sei colonne di carta che separano la lettera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’editoriale di Ferruccio De Bortoli. Così come i due anni di distanza che separano le poche righe con cui il direttore del Corriere regala ai suoi lettori uno scoop retroattivo non sono davvero lontani 24 mesi dallo scenario che Napolitano prospetta, ma molto più vicini di quanto non immaginiamo. C’è insomma un cortocircuito curioso tra il dramma possibile del futuro che il presidente della Repubblica evoca (apparentemente) per difendersi dall’accusa di Fausto Bertinotti di aver introdotto il presidenzialismo attraverso una modifica “materiale” della Costituzione, e il dramma possibile del passato che De Bortoli rievoca per difendere insieme l’idea di ineluttabilità del governo di Enrico Letta (oggi) e di quello Monti (ieri). Anzi, si potrebbe dir così: de Bortoli spiega che il governo Letta «è tanto fragile quanto necessario» usando come motivazione giustificatoria il pericolo scampato.
Napolitano dice la stessa cosa usando come motivazione giustificatoria il pericolo futuro. É un bel dilemma, dunque, l’incrocio tra anniversari e calendari, con tutto il corollario di dettagli e di interrogativi che si porta dietro. Lo scoop “retroattivo” di De Bortoli è riassunto in queste dieci righe:.....

L’Italia, grazie al suo governo, ha evitato la catastrofe, alla fine del 2011. L’episodio è inedito ma, nelle ore più drammatiche di quel tardo autunno, un decreto di chiusura dei mercati finanziari era sotto già scritto d’intesa con la Banca d’Italia. Quel decreto rimase in cassaforte — e speriamo che vi resti sempre — ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico. 
Qui, ovviamente, ci si potrebbe domandare se, come sembra, de Bortoli conoscesse in tempo reale il contenuto di questo decreto, e se sì, come mai scelga di rivelarlo solo adesso. Ma la sostanza è che si tratta di una notizia in ogni caso clamorosa, che ci racconta di un paese sull’orlo della bancarotta due anni fa, e forse ancor oggi. Se non altro perché Napolitano rispondendo a Bertinotti, aggiunge due elementi cruciali per completare il contesto di questo biennio.
Il primo è una perla di malizia pignola e retroattiva nei confronti di Pierluigi Bersani: «Ebbe da me, dopo le elezioni di febbraio — spiega Napolitano — l’incarico senza alcun vincolo o limite, di esplorare la possibilità di una maggioranza parlamentare diversa da quella che è stata poi posta alla base del governo Letta». Ovvero: malgrado trenta giorni di discussioni su cosiddetto “mandato pieno” o meno al leader del Pd, oggi Napolitano dice — contrariamente a quello che si era scritto unanimemente in quei giorni — che il mandato era “pieno” davvero, e che Bersani non è sotto “congelato” con la nomina dei saggi che ha preparato l’incarico a Enrico Letta, ma che non ha voluto (o potuto) tentare la via di un “governo di cambiamento”, perché non ne vedeva lui stesso la possibilità. Il secondo elemento che Napolitano aggiunge è questo: «Il presidente ha il dovere di mettere in guardia il Paese e le forze politiche rispetto ai rischi e ai contraccolpi assai gravi, in primo luogo sotto il profilo economico e sociale».
Questo spiega Napolitano: e qui sembra quasi che la frase si sposi alla notizia contenuta nell’editoriale di De Bortoli, e che finisca per rappresentare una ennesima sconfessione per Bersani: «Dovetti penare per evitare di sciogliere le Camere nel novembre 2011». Chi è il leader che in quei giorni era tentato di andare al voto e sotto le pressioni (anche) del Colle rinunciò? Proprio il segretario del Pd, ovviamente.
Fino alla caduta del governo Berlusconi, quindi, si sono scontrate due diverse idee della crisi: una ottimistica, diciamo così incarnata da Silvio Berlusconi (“I ristoranti sono pieni”, “invito gli italiani a consumare”), l’altra dal Qurinale e dai tecnici che hanno condiviso la sua lettura del contesto internazionale sfavorevole e della crisi.
Adesso l’idea dell’apocalisse possibile accomuna le classi dirigenti e le opposizioni: sia Napolitano e De Bortoli, che Grillo e Casaleggio. Ma se fosse davvero così, e se fossimo ad un passo dalla bancarotta, se insomma quel decreto che De Bortoli racconta (ancora?) chiuso in cassaforte potesse essere ancora attuale, allora questo governo per essere davvero necessario e indispensabile, salvo la catastrofe, questo dovrebbe avere il coraggio di scegliere e di non rinviare più: non può più dire che pagherà le imprese, bloccherà l’aumento dell’IVA e cancellerà l’Imu, perché un paese sull’orlo della bancarotta non può permettersi queste tre cose insieme. il governo non può più sperare nella tregua elettorale dello spread propiziata dagli interventi di Draghi e dall’attesa del voto in Germania, e far finta di ignorare che il rapporto debito Pil ha superato il 130%, diventando il più alto d’Europa dopo quello della Grecia. Se siamo davvero sull’orlo del dramma da due anni come ci rivelano i retroscena passati e gli scenari futuri, forse, dobbiamo fare qualcosa di più che attendere, stingere i denti e differire le scelte più dure per continuare a sperare nella buona sorte.

 

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