Dopo tre giorni dal massacro di bambini drusi nel Golan settentrionale, attribuito ad Hezbollah, ma mai rivendicato dalle forze libanesi, la rappresaglia israeliana è arrivata. E ha colpito sul suolo dell’Iran.
Ismail Haniyeh, leader di Hamas, è stato ucciso a Teheran nella notte tra martedì e mercoledì con una delle sue guardie del corpo. Era a capo dell’ufficio politico del gruppo sunnita dal 2017.
L’Iran sta tenendo una riunione di emergenza del Consiglio supremo di sicurezza nazionale della Repubblica Islamica presso la residenza del leader supremo, Ali Khamenei, “un evento che accade in circostanze straordinarie”, lo ha scritto su X Iran international. La Guida suprema iraniana ha tuonato: “Israele subirà una severa punizione” ed “è nostro dovere vendicare il suo sangue”.
Ankara e alcuni leader arabi parlano di terrorismo, poiché non si tratta dell’uccisione di un capo militare ma di un capo politico. Gli Houthi hanno affermato: ‘L’assassinio di Haniyeh è un atroce crimine terroristico”. Condanna anche dalla Cina e da Mosca per quello che definiscono un “inaccettabile assassinio politico”.
La Casa Bianca comunica: “Sosteniamo Israele ma diciamo no all’escalation”.
I funerali del leader politico di Hamas, si terranno domani, 1 agosto, a Teheran, proclamanti anche tre giorni di lutto nazionale. Intanto Tel Aviv ha chiuso lo spazio aereo a Nord del paese.
Il 30 luglio un attacco su Beirut, aveva ucciso il numero due di Hezbollah, Fuad Shukr, Israele conferma di averlo ucciso, anche se alcune fonti libanesi negano il decesso.
In meno di 24 ore Israele ha quindi puntato il fuoco contro la capitale del Libano e contro quella iraniana, uccidendo due vertici delle forze avversarie.
Intanto sulla Striscia di Gaza, il popolo palestinese sotto il fuoco incrociato, muore anche di fame, sete, ed epidemie. Il “rischio di escalation” che le democrazie occidentali dichiarano di voler evitare è ora una tremenda realtà.
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