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sabato 9 settembre 2023

Maurizio Blondet 8 Settembre 2023 - Germania ha nascosto il suo deficit:" danneggiare l’Italia ..."!


 Maurizio Blondet  8 Settembre 2023 

Non puo’ esservi altra spiegazione. Naturalmente i primi ingannati sono i cittadini tedeschi, che amano credere che il loro governo non spende  denaro pubblico,  che è tirchio  come loro….Ma nel momento   in cui il governo Meloni avrebbe bisogno di sforare  un po’…“Visto noi come siamo austeri? Applicate il rigore sul deficit di bilancio come facciamo noi! Non più del 3% del PIL!, voi”

“il deficit reale del Paese è schizzato dai 16,6 miliardi di euro preventivati agli 85,7 miliardi, ovvero una cifra cinque volte superiore rispetto al  dichiarato. Un’altra cifra nel mirino degli analisti è il disavanzo del pil, che raggiungerà il 2,4% e non lo 0,4%.

Il paese-guida  della moralità finanziaria ha commesso frode in Bilancio  come un qualunque mascalzone. Frode in bilancio pubblico, precisiamo.   Loro fanno investimenti pubblici giganteschi (E in deficit), mentre a noi lo vietano perché “dovete rientrare dal debito”

Il governo Meloni non reagisce.  Pensate solo se  i conti li avesse falsificati l’Italia:   sarebbero partite da Bruxelles procedure d’infrazione su  richiesta di Berlino, i media germanici sarebbero pieni di indignazione  per il nostro  scandaloso comportamento. Ma ovviamente Berlino può contare su Gentiloni:

E’ un’altra prova, se  ce  ne fosse bisogno, che il nemico dell’Italia non è la Russia,  ma la Germania UE .

Qui   il titolo  di 24 Ore:

Germania, debito nascosto: deficit doppio del dichiarato. 

[…]

Artifici contabili

L’accusa proviene dalla Corte dei Conti tedesca (Bundesrechnungshof), secondo cui il governo di Olaf Scholz avrebbe nascosto le reali condizioni finanziarie del Paese trasferendo impegni finanziari pluriennali in veicoli finanziari speciali (Sondervermoegen), ossia all’interno di società create con il preciso scopo di redistribuire una massa di crediti tra un’ampia gamma di investitori. Una mossa in totale contrasto con le regole europee, sostiene la Bundesrechnungshof, che afferma come questi fondi debbano essere invece contabilizzati nelle finanze pubbliche e che, al momento, starebbero accumulando la massiccia cifra di 869 miliardi di euro.

 Nel corso del tempo, infatti, il governo a guida Scholz ha sempre più attinto a fondi esterni al bilancio federale, tra cui un fondo speciale per potenziare le Forze armate (Bundeswehr) di 100 miliardi, 60 miliardi per raggiungere gli obiettivi climatici, 200 miliardi per la riconversione energetica. Nell’occhio del ciclone proprio la Bundeswehr. Nato l’anno scorso per fronteggiare l’emergenza in Ucraina e raggiungere l’obiettivo Nato di spendere almeno il 2% della produzione economica per la difesa a partire dal 2024, il fondo possiede una dotazione finanziaria di 100 miliardi di euro e dovrebbe essere destinato solo all’acquisto di armamenti e materiali. E non sembrerebbe essere andata così, visto che la Bundesrechnungshof contesta il progetto del governo di estenderne la destinazione d’uso, definendo la manovra “una violazione del diritto” e, pertanto, “inammissibile”.

Portavoce Ue: «Vietato usare fondi speciali per tagliare deficit»

Una mossa, quella di Berlino, che non è passata inosservata a Bruxelles. Sulla scia di quanto già precisato dalla Corte dei Conti tedesca, un portavoce della Commissione Europea ha sottolineato all’Adnkronos come ai Paesi membri dell’Ue non è consentito escludere «alcuna particolare spesa» dal deficit pubblico utilizzando «fondi speciali». «È un concetto statistico – ha proseguito – che viene calcolato dalle autorità statistiche nazionali ed europee, in linea con una metodologia concordata da tutti, conosciuta come Esa 2010 – prosegue – in accordo con questa metodologia, e allo scopo della nostra valutazione del rispetto delle regole di bilancio da parte degli Stati membri, non è possibile per alcun Paese membro escludere qualsivoglia particolare spesa dal deficit utilizzando metodi ad hoc, per esempio attraverso l’uso di fondi speciali».

 

Da La Pekora Nera :

IN EUROPA PARTONO GLI ESPROPRI TERRIERI ED EDILIZI

di Ruggiero Capone

Tra il 1992 ed il 2001 sono stati firmati gli assegni in bianco a favore dei poteri finanziari che oggi hanno in pugno la Commissione europea. Il valore di questi impegni è faustiano, e a Bruxelles pretendono che gli impegni vengano rispettati. Chi ha compromesso l’Italia lo ha fatto con un misto tra superficialità e cattiva fede. Ora le scadenze vengono al pettine, e non si tratta più solo di contribuire a salvare le banche tedesche: oggi in forza delle reiterate cessioni di sovranità sarebbe il caso di chiedersi chi possa essere il vero titolare del suolo italiano. Qualcuno a questa domanda già risponde con la battutacchia “chiedetelo alla Commissione europea”. Qualche altro aggiunge “se così fosse, tutto ciò che insiste sul suolo, si tratti di palazzi o capannoni, laboratori ed aziende, è di fatto solo concesso”. Una realtà che è ben chiara a tedeschi ed olandesi, che sanno benissimo come le loro case ed aziende agricole insistano su terreni dati in concessione: lo Stato (nel caso dell’Olanda la Corona) potrebbe benissimo non rinnovare la concessione. Di fatto è un ritorno cibernetico al feudalesimo (la buonanima di Le Goff lo aveva preconizzato) così mentre un tempo il sovrano doveva perdere tempo in cerimonie e gotica scrittura di pergamene per disarcionare da un terreno aldermanni, valvassori e valvassini, oggi è bastevole al potere aprire il computer e disporre dei codici per cambiare catastalmente la proprietà di terreni, case ed aziende. Ti vendono la proprietà a tua insaputa, e ne hanno facoltà.
Lo sanno bene gli agricoltori olandesi in protesta contro il piano del governo, che chiede alle aziende un taglio del 70% degli allevamenti di bestiame: anticipando che chi non dovesse piegarsi vedrà espropriarsi per via elettronica la fattoria. Il piano del governo dei Paesi Bassi viene ammantato di ambientalismo dall’Ue, che giustifica l’esproprio perché ridurrebbe le emissioni di azoto ed ammoniaca secondo l’obiettivo Onu 2030, quindi per combattere il cambiamento climatico. L’Olanda conta 53mila aziende agricole, è il secondo produttore mondiale di latte e derivati dell’allevamento bovino. Poi ci sono le serre intensive sia florovivaistiche che ortofrutticole: più del 10% dell’economia nazionale. Le manifestazioni contro il piano del governo sono tutte sfociate in scontri con la polizia: ma l’esecutivo Mark Rutte tira dritto, forte della facoltà d’espropriare promossa dalla Commissione Ue. LTO, principale sindacato degli agricoltori, ha contestato il piano del governo, ma ammettendo che Rutte ha dalla sua l’Unione europea che vorrebbe utilizzarlo come grande esempio di quell’esproprio europeo che dovrebbe attuarsi anche in Italia. “Il governo vuole danneggiare il futuro dell’agricoltura nei Paesi Bassi, ma anche il futuro sociale, economico e culturale della campagna olandese”, ha detto Wytse Sonnema, portavoce di LTO. Insomma l’Olanda rappresenta un precedente che apre la strada ad espropri per motivi climatico-ambientali, nuovi trasporti e cessione di aree urbane ad Onu ed Unesco.
Ma gli stravolgimenti e i guai si sa che vengono tutti insieme. Così mentre la guerra tra Usa e Russia presenta un conto salatissimo all’Europa, in Germania viene avviata la crisi dell’edilizia residenziale, che con molta probabilità servirà all’Ue per obbligare gli stati membri a modificare le leggi sulla proprietà immobiliare. Così di punto in bianco, dalla mattina alla sera la metà delle aziende tedesche (il 50% delle imprese) ha denunciato che non ci sono più lavori. Secondo l’IFO (istituto tedesco di ricerca economica) la Bundesbank avrebbe già da mesi certificato una crescita zero entro settembre.
La colpa non risiede nell’aumento dei tassi o dei costi di costruzione, ma nelle istituzioni (e negli uomini) che hanno pianificato scientemente l’aumento dei tassi perché il riverbero si trasformasse in lievitazione dei costi. Una vera e propria morsa che, secondo qualche beninformato, potrebbe spingere Germania e frugali (Olanda e dintorni) ad accelerare sul conferimento all’Unione europea della proprietà pubblica (come il nostro demanio) e dei beni espropriati ad aziende agricole e industriali. Del resto in Germania la proprietà dei terreni è dello stato, e gli immobili sono dati in concessione ai cittadini: di fatto le case sono private, ma insistono sul terreno che è pubblico. Il problema è tutto qui: l’Unione europea vorrebbe uniformare i diritti di proprietà italiani a quelli dell’Europa del Nord, trasformando il diritto di proprietà in concessione. Del resto l’Unione europea sta usando come cavallo di Troia il problema delle concessioni balneari, proprio per scardinare tutta una serie di diritti su suoli ed immobili. La non certezza sulla proprietà è alla base della crisi immobiliare che sta investendo Germania e Nord Europa e, molto probabilmente, condurrà anche ad una depressione del mercato immobiliare italiano: perché nessuno investe quando c’è incertezza sul futuro di una proprietà, soprattutto l’italiano teme questi stravolgimenti del mercato immobiliare al pari del cancro. L’uomo di strada si domanda “perché investire in case e terreni se poi te li levano? E una volta che investi ti possono anche sanzionare perché il tuo immobile non è totalmente a norma Ue ed in classe energetica”.
Per capire come il male venga da lontano, s’invitano i lettori a leggere la bella intervista realizzata per Avvenire (edizione di domenica 3 Aprile 2016) da Eugenio Fatigante al professor Giuseppe Di Taranto (docente di Storia dell’economia alla Luiss e autore del saggio “L’Europa tradita”). Eugenio Fatigante domandava “Perché questa Europa non va?” e Di Taranto rispondeva “Perché le premesse dell’Unione monetaria si sono rivelate false promesse. L’Unione nacque su due testi – il ‘rapporto Delors’ e il documento ‘One market, one money’ – in cui si prevedeva più occupazione e un aumento del Pil del 4-5% nel medio periodo. Non abbiamo ottenuto nulla di ciò. E anche le basi erano false: la finanza creativa è nata coi parametri del Trattato di Maastricht, nel febbraio del 1992. Pochi sanno, a esempio, che l’Austria – per rispettare il 3% di deficit – si inventò una società autostradale a cui cedette letteralmente il 3,2% del proprio ‘rosso’. Una cosa simile la fece la Svezia”.
“Questo riguarda il passato, però”, ribatteva Fatigante. “Sì, ma è allora che si sono poste le radici dei problemi attuali – incalzava Di Taranto -. Nel ’98, quando nacque la Bce, un gruppo di Nobel, fra cui Solow e Modigliani, pubblicò un ‘Manifesto contro la disoccupazione’. Dicevano che lo Statuto Bce era sbagliato: prevedeva come scopo solo la lotta all’inflazione, non crescita e occupazione. Nessuno li ascoltò. Pure Milton Friedman, un monetarista, scrisse: ‘L’Unione politica può preparare la strada alla monetaria. Ma questa, imposta a condizioni sfavorevoli, si rivelerebbe un ostacolo al raggiungimento dell’unità politica’”.
Gli atti della Commissione di Bruxelles avvalorano come Onu ed Ue lavorino ad abolire la proprietà privata, anche attraverso metodiche d’esproprio che potrebbero partire dalla conversione in “concessione europea” dei beni registrati. Questo giornale vi ha già spiegato come auto, case, terreni, moto e locali attualmente nella disponibilità dei cittadini, che li hanno regolarmente acquistati e pagati o ereditati, oggi rischino di finire nelle disponibilità dell’Istituzione europea all’insaputa del proprietario naturale. Ovviamente vi sarebbe una comunicazione istituzionale, la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale: ma la maggior parte della gente ne avrebbe contezza quando cercherebbe di trasferire il bene. Un testo del regolamento europeo che va in questa direzione è già stato pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale Europea n 2554”, è relativo alla “resilienza operativa digitale nel settore finanziario” (Digital operational resilience act, nota con l’acronimo “Dora”). Dora viene introdotta nel corpus giuridico amministrativo dell’Ue dicendoci che garantirà la nostra sicurezza elettronico-finanziaria sicurezza: infatti definisce i vari obblighi di sicurezza per i sistemi informatici di rete, e per scongiurare (dicono a Bruxelles) eventuali attacchi degli hacker. Questa è la scusa che permette a Dora di convertire in euro digitale tutti i soldi depositati nei conti correnti dei cittadini. Dora entro il 2025 avrà accesso a tutti i beni soggetti a registrazione nei paesi dell’Ue. Poi le Agenzie del territorio ed i Pubblici registri dei veicoli permetterebbero l’assegnazione d’un valore base a case, auto, moto, barche… Ad ogni bene dei privati europei verrebbe dato un valore in base a caratteristiche e conformità, in modo che il sistema europeo possa programmare la scadenza del patrimonio registrato, fino ad ammortizzarlo a valore zero per certificarne l’invendibilità e nemmeno la cessione ad eventuali eredi. Dora va di pari passo col “portafoglio digitale europeo”. Questa terribile storia è per certi versi similare alla persecuzione dei kulaki nell’Unione Sovietica degli anni ’30. I Kulaki erano piccoli contadini che durante la Russia imperiale s’erano dimostrati capaci d’acquistare un fazzoletto di terra. Con la collettivizzazione divennero per legge i nemici dello stato, e perché non volevano rinunciare a coltivare ed allevare sulla terra che avevano acquistato o ereditato. I kulaki inaugurarono i gulag di Stalin. Vennero additati come contadini nemici dei bolscevichi, egoisti che avevano acquistato terra e strumenti di produzione, quindi gente che lavorava contro l’Unione sovietica. La democraticissima Unione Europea ha oggi i suoi nemici kulaki negli allevatori e contadini olandesi, o nei tedeschi che hanno lavorato per farsi una casa: un domani tanto vicino saranno gli italiani i nemici che non vogliono rinunciare ai propri beni per salvare i Pianeta, che s’oppongono acché finiscano in pancia ad un ufficio della Commissione di Bruxelles o dell’Onu per pagare una fantomatica “povertà sostenibile”. Rompiamo subito questo gioco perverso, è rimasto poco tempo per scongiurare la “bella povertà che salverà il Pianeta”.

 

Draghi: occorre più Europa  – abolire il diritto di veto degli Stati

Asaf:

Nel 2011, John H. Cochrane, top economist della Scuola di Chicago, vedeva già i nodi al pettine. Delineò per l’Eurozona tre diversi scenari: 1) una unione monetaria con unione fiscale (cioè, gli Stati Uniti d’Europa sull’esempio degli USA); 2) una unione monetaria senza unione fiscale, in cui «gli Stati devono poter fallire come le aziende e le banche devono trattare il debito sovrano come se fosse il debito di un’azienda»; 3) il crack dell’Euro, in presenza di crisi e inflazione. L’opzione 1 era poco probabile fin tanto che la Germania avesse posto il suo veto. Non voleva, infatti, accollarsi i debiti pubblici degli altri Paesi. L’opzione 2 non è sostenibile nel lungo periodo e gli strumenti tappabuchi, oggi, non funzionano più. Il “whatever it takes” di draghiana memoria è obsoleto. La crisi e l’inflazione (scenario 3), sono arrivate, per cui, per salvare il salvabile, si ritorna all’opzione 1. Solo dopo il crollo economico della Germania, si comincia a parlare di nuove regole e maggiore sovranità condivisa … A parlare è Mario Draghi, il figlioccio di Goldman Sachs, dalle colonne de The Economist, il settimanale della famiglia Rothschild-Elkann …

“Nuove regole e maggiore sovranità condivisa” potrebbero far pensare ad un riordinamento del sistema europeo alla luce del Nuovo Ordine Multipolare, che – dalle informazioni in nostro possesso in questo momento – sembra essere un nuovo ordine condotto dagli oligarchi che hanno partecipato a rendere il dollaro – e quindi gli USA – la moneta di riserva internazionale. Potremmo parlare di rivolta degli oligarchi come di una rivolta degli stati vassalli all’egemone. Verso una regia più condivisa, più “democratica”, nel senso di oligarchica. Da un governo mondiale a conduzione monopolistica ad un governo mondiale a conduzione oligopolistica …

Mario Draghi sul percorso verso l’unione fiscale nella zona euro
L’ex capo della BCE afferma che saranno necessarie nuove regole e una maggiore sovranità condivisa

Può un’unione monetaria sopravvivere senza un’unione fiscale? Questa domanda ha perseguitato la zona euro fin dalla sua creazione. Progettato esplicitamente per escludere i trasferimenti fiscali, il blocco valutario è stato considerato da molti economisti come condannato ancor prima di essere lanciato. È sopravvissuto a una crisi esistenziale nel 2010-12 solo con soluzioni di ripiego e oggi non è più in grado di rispondere a questa domanda.

Eppure, paradossalmente, le prospettive dell’unione fiscale nella zona euro stanno migliorando, perché la natura dell’integrazione fiscale necessaria sta cambiando. L’unione fiscale è tipicamente vista come un trasferimento dalle regioni prospere a quelle in crisi economica, e in Europa l’opposizione pubblica ai Paesi più forti che sostengono quelli più deboli rimane feroce. Ma questo tipo di politica federale di “stabilizzazione” è diventato meno rilevante. La zona euro si è evoluta in due modi che stanno aprendo una strada diversa, e potenzialmente più accettabile, verso l’unione fiscale.

https://www.economist.com/by-invitation/2023/09/06/mario-draghi-on-the-path-to-fiscal-union-in-the-euro-zone

 

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