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mercoledì 21 settembre 2022

di Thierry Meyssan - Zelensky: l’inganno della controffensiva ...

 


di Thierry Meyssan)
Il presidente Zelensky e i suoi alleati della Nato hanno lanciato una controffensiva contro le truppe russe, scegliendo un territorio che ne era sguarnito e che Mosca non intendeva occupare. Possono così celebrare in pompa magna una vittoria senza nemici e senza combattimento. Analisi di un bluff che convince solo chi vuole lasciarsi convincere, ovvero il pubblico occidentale.

Kiev ha annunciato con rulli di tamburo e squilli di tromba una controffensiva nella regione di Karkiv, ossia di fronte al Donbass. Le forze sostenute dalla Nato sono riuscite a “liberare” una porzione di territorio lunga 70 chilometri e profonda una trentina.

A Izium il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato la «prossima vittoria» sull’«invasore» russo.

La stampa occidentale parla di disfatta russa e s’interroga su un possibile complotto per rovesciare il «presidente sconfitto» Vladimir Putin.

In questa mappa dell’Institute for the Study 

of War la zona “liberata” è la chiazza 

azzurra 

in alto a destra.

Un racconto che non sta né in cielo né in terra, una 

produzione Nato.

In realtà le forze occidentali non sono mai entrate in Donbass, non nella repubblica di Lugansk né in quella di Donetsk. Si sono riprese territori che l’esercito russo aveva conquistato, ma mai occupato. All’inizio dell’operazione in Ucraina il presidente Putin aveva annunciato di voler difendere le due repubbliche del Donbass, di voler «denazificare» (ossia liberare dai nazionalisti integralisti) l’Ucraina, senza però annetterla.

Successivamente, Putin ha annunciato di voler anche far pagare agli ucraini la guerra scatenata annettendo il sud del Paese. Due le opzioni di Putin: annettere la Novorossia o annettere la Makhnovchtchina, due territori di tradizione russa che in gran parte si sovrappongono.

La Novorossia storica secondo lo 

Washington Post, nel 2014.

La Novorossia, letteralmente Nuova Russia, è la colonia popolata da russi conquistata da Grigori Potemkin, il favorito della zarina Caterina II, ai danni dell’impero ottomano. Ne fa parte tutto il sud dell’attuale Ucraina, compresa la Crimea, fino alla piccola porzione dell’attuale Moldavia, la Transnistria. La Novorossia non ha mai vissuto gli orrori della servitù della gleba che Caterina II non riuscì a debellare dal suo impero. Il maresciallo Potemkin vi fondò uno Stato illuminato, ispirato alla Grecia e a Roma antiche. La Novorossia fu governata per un periodo da un ufficiale francese, amico personale di Alessandro I, Armand de Vignerot du Plessis, duca di Richelieu e futuro presidente del consiglio dei ministri francese.

In neretto il territorio della 

Makhnovchtchina, che poi si è 

progressivamente esteso a tutta la zona in 

grigio, incluse Kershon e Izium.

La Makhnovchtchina è il territorio in cui nel 1918 trionfò l’Armata nera dell’anarchico contadino Nestor Makhno. Riuscì a liberarsi dal potere di Kiev, detenuto all’epoca da Symon Petliura e Dmytro Dontsov, protettore e fondatore dei nazionalisti integralisti, i cui successori sono oggi al potere in Ucraina, definiti dalla Russia «nazisti». I partigiani di Makhno instaurarono un regime libertario nel sud-est del Paese, ispirato alle idee dei socialisti francesi del XIX secolo (Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon), ma soprattutto influenzato da Pierre Kropotkin: l’istituzione di comuni autogestiti. La Makhnovchtchina fu rovesciata e i suoi aderenti massacrati durante gli attacchi provenienti dall’impero tedesco, dai nazionalisti integralisti ucraini, nonché dei bolscevichi trotzkisti.

Putin ha scelto infine la Novorossia e ora la rivendica ufficialmente.

La zona “liberata” dall’esercito di Kiev è stata per breve tempo parte di uno dei più grandi Paesi anarchici del mondo, quello di Nestor Makhno; non ha mai fatto parte della Novorossia. Il governo di Kiev ha riconquistato, come accadde nel periodo fra le due guerre, questa piccola porzione di territorio.

Secondo la prospettiva russa, Kiev ha riconquistato un territorio che Mosca a suo tempo aveva pensato di annettere, cui però alla fine ha rinunciato, dove non c’erano truppe russe, solo poliziotti di frontiera e del Donbass. Sono costoro che sono fuggiti con la coda fra le gambe. Non ci sono stati combattimenti, tanto meno c’è stata una sconfitta.

In questo contesto le lunghe dissertazioni dei media occidentali su un complotto di generali per rovesciare il presidente Putin «sconfitto» sono pure invenzioni.

Sarebbe diverso se le forze occidentali riprendessero Kershon, porto situato sul Dnepr appena prima che sfoci nel Mar Nero. Una seconda operazione è pianificata attorno alla centrale di Zaporijia. Ma non ci siamo ancora.

L’inganno del presidente Zelensky consiste nel presentare come una battaglia un avanzamento delle sue truppe in un territorio non occupato. Un’astuzia che gli ha permesso di chiedere altri miliardi agli Occidentali; infatti la “controffensiva” è stata lanciata il 6 settembre: due giorni dopo, l’8 settembre, una cinquantina di Paesi si sono riuniti nella base statunitense di Ramstein (Germania) per decidere di fornire nuove armi all’Ucraina [1]. Siccome nessun Paese aveva disponibilità in bilancio, le spese sono state anticipate dagli Stati Uniti, in nome dell’Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act of 2022 [2]. Le altre nazioni pagheranno in seguito − e pagheranno − quanto spendono oggi a credito.

Il 9 e 10 settembre l’Institute for the Study of War ha rivelato dettagli sull’avanzata delle truppe ucraine e la calorosa accoglienza delle popolazioni [3]. Una messinscena che la stampa occidentale si è bevuta e diffonde. Ma questo istituto è un covo di Straussiani. È diretto da Kimberly Kagan, cognata della vicesegretaria di Stato Victoria Nuland. Tra gli amministratori figura Bill Kristol, ex presidente del Progetto per un nuovo secolo americano, nonché il generale David Petraeus, che distrusse l’Iraq e l’Afghanistan.

L’11 settembre l’agenzia Reuters-Thompson ha affermato che migliaia di soldati russi erano in fuga [4]. Ha parlato di «duro colpo per la Russia»; in realtà lo stato-maggiore russo ha ordinato il ritiro immediato da un territorio di cui non vuole farsi carico. Quando Donald Trump estromise gli Straussiani dalla propria amministrazione, Victoria Nuland divenne una dei direttori dell’agenzia Reuters [5]. Il dispaccio della Reuters è stato firmato da Max Hunder, laureato di Eton, la scuola più facoltosa d’Inghilterra. Poco dopo il ministro della Difesa britannico ha confermato la notizia d’agenzia.

Il 12 settembre la truffa è convalidata dal New York Times, che dedica due pagine alla celebrazione del valoroso presidente Zelensky. Il resto della stampa occidentale rilancia senza riflettere.

Per mera sfortuna, nel momento in cui il quotidiano newyorchese va in edicola, le centrali elettriche ucraine sono fuori uso perché colpite nella notte da missili [6]. L’Ucraina è al buio. La controffensiva anche.

Il presidente Putin, esasperato dalla malafede occidentale, dichiara che finora la Russia ha dispiegato contro i «nazisti» di Kiev una piccola parte delle proprie forze e che, se necessario, le future azioni avranno tutt’altra portata.

I capi di Stato presenti al vertice dell’OCS di 

Samarcanda.

A Samarcanda, al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS), il resto del mondo, che ha gli occhi per vedere − a differenza degli Occidentali che hanno orecchie solo per ascoltare baggianate − ha accolto calorosamente la delegazione russa.

All’epoca di Eltsin, Cina e Russia crearono una struttura di contatto. Il capo del governo russo, Evgenij Primakov, riconobbe confini stabili con Beijing. Nel 1996 il gruppo di contatto divenne un forum internazionale cui si aggiunsero gli Stati dell’Asia Centrale (Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan); in seguito, poco prima degli attentati dell’11 settembre 2001, divenne l’odierno OCS. La Russia e la Cina avevano già capito che gli anglosassoni fomentavano disordini in Asia centrale. Hanno perciò sviluppato programmi contro il terrorismo e il separatismo. I successivi avvenimenti hanno dato loro ragione.

In vent’anni l’Organizzazione per la 

Cooperazione di Shangai ha continuato ad 

allargarsi.

L’OCS si è rapidamente sviluppata. Sono entrati India, Pakistan e Iran. La Bielorussia si sta preparando. L’Afghanistan e la Mongolia sono osservatori. Altri 14 Stati ne sono partner. L’OCS si distingue per uno spirito molto diverso da quello delle organizzazioni occidentali. In un certo modo vi si può vedere il prosieguo dello spirito di Bandung: sovranità degli Stati, non ingerenza reciproca, nonché cooperazione.

L’OCS rassicura e riunisce. Oggi rappresenta un quarto della popolazione mondiale, ovvero i due terzi se si considerano gli Stati osservatori. Non vi si fanno progetti campati in aria, gridando vittoria quando ci s’insedia in un territorio da altri non rivendicato né difeso.

Traduzione

Rachele Marmetti

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