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sabato 2 ottobre 2021

Andrea Zhok x L'AntiDiplomatico - - La Catastrofe: i numeri della gestione della pandemia in Italia

 

PS: Mi sia permesso di invitarVI cortesemente a leggere questo scritto dal Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

ANDREA ZHOK

...non Ve ne pentirete! Grazie

umberto marabese

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Forse è venuto il momento di riconoscere un semplice fatto: la gestione sanitaria della pandemia da parte delle istituzioni italiane non è stata problematica, non è stata difettosa, è stata semplicemente catastrofica. Nonostante l’abnegazione e la volontà di numerosi medici a 19 mesi dallo scoppio della pandemia di Covid-19 possiamo concludere che fare peggio sarebbe stato assai arduo.
 
Quest’amara constatazione diviene particolarmente doverosa oggi, nel momento in cui sulla scorta di una ridicola equazione tra “Scienza” e “Istituzioni della politica sanitaria nazionale” si continuano a far passare per verità accreditate nozioni prive di fondamento scientifico, ma gradite agli indirizzi governativi.
 
Partiamo da qualche dato:

 
L’Italia ha i peggiori dati al mondo in termini di letalità da Covid.

Diversamente dalla mortalità, che è più soggetta a variabili incontrollabili, il dato della letalità, cioè il rapporto tra il numero delle persone contagiate e il numero delle persone decedute, è un indicatore piuttosto affidabile circa la qualità degli interventi terapeutici messi in campo nei confronti delle persone ammalate.
 
Vediamo così che per gli USA a fronte di 44,214,497 casi di Covid troviamo 714,098 decessi, per una letalità del 1,61%;
 
per la FRANCIA abbiamo 7,008,228 casi con 116,657 morti, per una letalità dell’1,65%;
 
per la SPAGNA abbiamo 4,959,091 casi e 86,415 morti: letalità 1,74%;
 
stessa letalità dell’1,74% per il REGNO UNITO (7,807,036 casi - 136,662 morti);
 
il BELGIO, il paese con la gestione sanitaria più scadente, dove il virus è stato lasciato circolare liberamente nelle case di riposo troviamo una letalità del 2,05% (1,242,821 casi - 25,595 decessi)
 
il confronto con i vicini olandesi è impietoso: OLANDA: 2,003,050 casi - 18,170 morti, letalità 0,90%;
 
la SVEZIA, il paese che ha preso la strada molto discutibile di non fare alcun intervento straordinario, accettando un elevato prezzo in termini di vite umane ha una letalità complessiva dell’1,28% (1,152,886 casi - 14,822 morti)
 
Qualcuno ora dirà, come si disse all’inizio, che i nostri molti decessi erano dovuti all’età avanzata della popolazione italiana, tuttavia l’età media italiana, che è davvero tra le più elevate al mondo, è sostanzialmente identica a quella del Giappone (che è in effetti un po’ più anziano) e della Germania (che è un po’ al di sotto).
 
E invero la GERMANIA ha dati di letalità poco brillanti: 4,235,721 casi - 94,214 decessi: letalità 2,21%, peggiore del Belgio; il GIAPPONE tuttavia presenta una letalità clamorosamente inferiore 1,699,636 casi - 17,605 decessi, letalità 1,03% (praticamente la metà di quella tedesca).
 
E che dire dei dati italiani?
 
Diciamo che non c’è competizione: con 4,668,261 casi e 130,870 decessi la letalità del Covid in ITALIA batte strepitosamente tutti i concorrenti con un bel 2,80%.
 
Ora, nel momento della prima emergenza era di cattivo gusto far notare il ruolo plausibilmente giocato dalla precedente strage di risorse sanitarie, di posti letto, ecc. Non solo. Scoprimmo anche ben presto che il piano pandemico nazionale mancava, e che le critiche mosse da ricercatori dell’OMS a questo fatto erano state fatte rimuovere sollecitamente dai siti da un intervento di alte cariche istituzionali.
 
Però, con grande senso di responsabilità, nel momento della difficoltà quasi nessuno insistette su queste clamorose mancanze: ci siamo stretti assieme e abbiamo evitato polemiche, per quanto ce ne fossero ampiamente gli estremi.
 
Poi però il tempo è passato, i protocolli che consigliavano interventi sanitari precoci erano noti, ma rimasero completamente ignorati. Si proseguì con “tachipirina e vigile attesa”, concentrando i pochi sforzi sulla sola fase terminale, la terapia intensiva, e ignorando tutti gli interventi che potevano ridurre a monte l’accesso alle terapie intensive.
 
Nonostante gli interventi draconiani di limitazione della circolazione, il sistema sanitario ha sostanzialmente ceduto di schianto. Dalla prima crisi della primavera 2020 il nostro sistema sanitario non si è più ripreso: le liste d’attesa per gli esami attraverso il SSN sono esplose. Nel 2020 sono stati assistiti 700.000 pazienti non Covid in meno rispetto alla gestione ordinaria, già lungi dall’essere particolarmente sollecita. Nel 2021 l‘arretrato non è stato recuperato, portando di fatto ad una criptoprivatizzazione della sanità (chi se lo può permettere si rivolge senz’altro al privato).
 
Il sistema è stato lasciato in una condizione di paralisi.
 
Tutto questo fino all’affacciarsi dei ‘vaccini’, finanziati con versamenti anticipati dall’UE, ordinati con contratti secretati, che sono stati presentati al popolo come la sola via di salvezza.
 
A questo punto qualunque proposta di non concepire il vaccino come sola ed unica via è stato attaccato scompostamente, distrutto mediaticamente, screditato in ogni forma possibile. Con una torsione semantica degna dei tempi gloriosi dell’Istituto Luce chiunque, laico o medico, cercasse di argomentare la sensatezza di un approccio non unilaterale, che abbinasse sviluppo delle terapie precoci alla campagna vaccinale, è stato etichettato come “No-vax”. E milioni di cittadini diversamente svegli hanno seguito le parole d’ordine dei capi, scatenando la caccia morale al fantomatico “No-vax”: il maledetto cacadubbi che non partecipava alla sforzo bellico.
 
I dati di agosto-settembre 2021, in presenza del vaccino sono stati massivamente peggiori dei dati di agosto-settembre del 2020, in assenza di vaccino: la media dei decessi giornalieri è stata di 6 volte superiore (media decessi del periodo 5-10 nel 2020, 50-70 nel 2021). Dovremmo forse trarne qualche ammonimento? Proprio nulla?
 
La replica canonica a questa constatazione numerica è che è tutta colpa della variante delta, e che altrimenti sarebbe stato molto molto peggio. Già, può darsi, chi può dirlo; come sempre nei fenomeni storici, non c’è la controprova, però qualunque soggetto che abbia ancora un ancorché moderatissimo senso critico, di fronte a questi dati dovrebbe almeno intrattenere il sospetto che la soluzione “extra vaccinum nulla salus” potrebbe non essere stata una trovata risolutiva e geniale. (E Dio non voglia che gli indizi che emergono da altri paesi sulla ‘perforabilità’ dei ‘vaccini’ siano confermati, perché potremmo trovarci a novembre nel mezzo di una nuova catastrofe sanitaria.)
 
In molti, da tempo, hanno segnalato che il protocollo “tachipirina e vigile attesa” era un’assurdità, un vero e proprio gesto di abdicazione, di rinuncia alla cura. In questi ultimi giorni si è aggiunto infine persino il dubbio scientifico che la tachipirina, lungi dall’essere semplicemente inutile, sia addirittura positivamente dannosa nella cura del Covid (vedi link[1]).
 
Ora, dopo la pressione e le denunce di inerzia rispetto allo sclerotico protocollo attendista, l’AIFA ha finalmente dato il via libera ad alcune cure con prodotti farmaceutici “riconvertiti” da precedenti usi. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Tuttavia, incidentalmente, dalle mie scarse conoscenze di profano compulsatore di riviste scientifiche, non posso non notare come uno dei farmaci ora approvati sia oggetto di uno studio che ne illustrava l’apparente efficacia pubblicato su Lancet sin dal maggio 2020 (14 mesi fa; vedi link[2]).
 
Il meno che si possa dire è che con i farmaci riconvertiti le nostre istituzioni sanitarie si sono mosse con piedi piombati, straordinaria cautela e sviluppatissimo principio di precauzione. Dovevano essere devastati all’idea di poter suscitare nei malati di Covid degli effetti collaterali ignoti, con prodotti in commercio da decenni.
 
Curiosamente invece per vaccini nuovi di zecca (con brevetti in vigore) prodotti con tecnologie innovative, le approvazioni sono fioccate in capo a poche settimane sulla base di dati dichiarati incompleti dalle stesse case farmaceutiche. Ecco, qui tutti i dubbi delle nostre istituzioni sanitarie relativi a possibili effetti collaterali di una somministrazione su individui sani si sono sciolti come neve al sole, anzi – diciamolo - non si sono proprio mai affacciati.
 
Ma naturalmente, visto il trionfo, visto lo strabiliante successo della nostra politica sanitaria ad oggi, chiunque sollevasse dubbi o sospetti su queste apparenti incongruenze sarebbe una malalingua, anzi un nemico della Razionalità e della Scienza.
 
E noi mai e poi mai vorremmo essere considerati nemici della Razionalità e della Scienza.
 
Così come mai vorremmo credere alle parole del virologo Crisanti quando l’altro giorno si è lasciato sfuggire che i membri del CTS sono “incompetenti e lottizzati”, aggiungendo che «l’istituzione non è una religione», e che il fatto che i componenti del Cts «rappresentino le istituzioni non significa che siano depositari della verità.»
 
E in altri momenti sarebbe suonato strano, ridondante, che un uomo di scienza debba ribadire che il principio di autorità istituzionale non è la Scienza, e tantomeno può essere considerato alla stregua di una religione, di un credo. Sarebbe suonato strano, ma non suona strano oggi, perché l’esperimento sociale dentro il quale stiamo nuotando come pesci rossi in una boccia ha davvero trasformato l’appello ai verdetti delle istituzioni scientifiche nazionali in articoli di fede da ripetere come l'Ave Maria e da ribadire in ogni sede mediatica. E su cui crocifiggere per blasfemia i dissenzienti.
 
Ecco, è forte l’impressione che il muro di questa narrazione sistematicamente manipolatoria stia iniziando a sgretolarsi. Ma saranno tempi interessanti - nel senso della maledizione cinese “Che tu possa vivere in tempi interessanti” - perché è improbabile che i costruttori del muro lasceranno il campo senza opporre strenua e feroce resistenza.
 
 
[1] Sestili, et al., Paracetamol-Induced Glutathione Consumption: Is There a Link With Severe COVID-19 Illness?

Andrea Zhok

ANDREA ZHOK


Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano


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