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sabato 23 gennaio 2021

HUFFPOST - Quella strana allusione di Gratteri ai suoi giudici

 


Il magistrato lancia un messaggio inquietante. Tocca a Bonafede e Morra chiedere più trasparenza.



By Gianni Del Vecchio

Stupore e inquietudine. Sono queste le sensazioni predominanti che lascia l’intervista a Nicola Gratteri fatta da Giovanni Bianconi per il Corriere. Non tanto per il messaggio complessivo delle parole del magistrato calabrese - che per l’ennesima volta ha acceso un faro sul sottobosco di relazioni fra ndrangheta, politica e imprenditoria nell’inchiesta “Basso Profilo” in cui è indagato anche l’Udc Lorenzo Cesa - bensì per le ultime due risposte. Risposte che dicono e non dicono - anzi, più precisamente, non dicono -, ma soprattutto lasciano intendere per chi vuole intendere, gettano ombre senza far luce su una questione non certo marginale: la collusione di alcuni giudici con le cosche. Insomma, Gratteri getta un macigno nello stagno ma nasconde le chiavi della ruspa.

Eccole, le due risposte:

 

Ma perché le indagini della sua Procura con decine o centinaia di arresti, vengono spesso ridimensionate dal tribunale del riesame o nei diversi gradi di giudizio? 

«Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. Così è avvenuto anche in questo caso. Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni». 

Che significa? Ci sono indagini in corso? Pentiti di ’ndranghetisti che parlano anche di giudici? 

«Su questo ovviamente non posso rispondere».

Come si evince dal botta e risposta fra intervistato e intervistatore, Bianconi coglie subito la singolarità di quel “la storia spiegherà”, incalzando Gratteri con la seconda domanda, quella giusta, a cui però il giudice non risponde. Un non possum che finisce per ingenerare ancor di più il sospetto in chi legge. Alla fine la lettura delle parole del magistrato lascia in bocca un retrogusto acido più che amaro che presto fa spazio a una certa inquietudine. Davvero in Calabria ci sono frange di servitori dello Stato che sabotano le inchieste sulle ndrine? Davvero Gratteri ritiene che quei giudici che non hanno avvalorato le sue inchieste lo abbiano fatto per secondi fini?

Due domande, queste, di non poco conto, cui Gratteri sembra conoscere la risposta. Ma se è davvero così, allora non si può far finta di niente, voltare pagina e leggere l’articolo successivo. In questi anni una delle parole che è stata più sulla bocca di tutti, che ha farcito i discorsi di politici e giudici, è “trasparenza”. La stessa fortuna politica dei 5 Stelle, movimento che in due lustri è arrivato a essere la prima forza parlamentare, si basa in gran parte su questo desiderio di voler sapere dell’opinione pubblica. Una salutare istanza da parte di chi viene da decenni di stragi e depistaggi mai chiariti, né sui giornali ma (ancor più grave) neanche nei tribunali. Ebbene, sembra che in questo caso i cittadini meritino di conoscere quello che accade da Cosenza in giù. E quindi, siccome al ministero della Giustizia c’è proprio il capo-delegazione di M5s, Alfonso Bonafede, quale migliore occasione per capirne un po’ di più? E se lui proprio non può, c’è sempre il suo collega di partito, Nicola Morra, per giunta calabrese, che può aiutare gli italiani a farsi un’idea visto che è presidente della commissione Antimafia. C’è bisogno di luce. Anche perché, come recita il motto del quotidiano statunitense Washington Post, “Democracy dies in darkness”, “La democrazia muore nelle tenebre”.



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