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giovedì 17 dicembre 2020

Angela Mauro per Huffgton Post -Liberi i pescatori italiani in Libia. Quanti dubbi su un viaggio irrituale...!(Conte - Di Maio...in cerca di qualche punto in più nei sondaggi...?)

 


Con una decisione insolita, Conte e Di Maio volano a Bengasi per riportare a casa i 18 marittimi sequestrati da oltre 100 giorni. Una mossa criticata dalle opposizioni.


By Angela Mauro

La prima cosa che non tornava è successa di primo mattino, quando Giuseppe Conte ha rinviato al tardo pomeriggio l’incontro con Matteo Renzi e Italia Viva sulla verifica di Governo, previsto stamane alle 9. “Impegni istituzionali non pubblici”, è la motivazione filtrata da Palazzo Chigi. Ore più tardi, l’annuncio: il premier, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, è partito per Bengasi, in Libia, per riportare a casa i pescatori italiani sequestrati oltre 100 giorni fa. In tempo per Natale, tornano a casa i 18 uomini bloccati in Libia, ma non tutto torna in questa storia. Per lo meno, si chiude una vicenda incresciosa, ma si aprono degli interrogativi...e non solo!

L’irritualità di un premier e un ministro degli Esteri che insieme decidono di recarsi nel ‘covo’ del generale Haftar in Cirenaica per curare personalmente la liberazione di 18 ‘ostaggi’ italiani scatena innanzitutto l’opposizione di centrodestra. In aula al Senato, Matteo Salvini esalta questa “giornata di festa per tutti”, ma critica la scelta di Conte e Di Maio di partire alla volta di Bengasi: “L’operazione è stata portata avanti dai Servizi, non dalla politica. In queste operazioni servono cautela e riservatezza”. Il presidente del Copasir, il leghista Raffaele Volpi, sottolinea lo stesso concetto, rivolgendo “un mio sincero ed affettuoso ringraziamento al generale Caravelli e al personale dell’Aise per la costante dedizione e il determinante lavoro svolto. Unicamente a loro va la mia sentita gratitudine”. E ancora: “Il presidente Conte e il ministro Di Maio, dopo oltre tre mesi di immobilismo, volano in Libia per la solita indecente passerella, che non cancellerà l’incapacità dimostrata in questa vicenda”, attacca il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida. “Mettono in piedi il consueto teatrino mediatico per tentare di annacquare la crisi di governo latente e un fallimento diplomatico per il nostro Paese, oramai totalmente ininfluente nel quadrante del Nord Africa”, dice Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera.


 

Al di là dei prevedibili attacchi dell’opposizione, resta l’irritualità della scelta di Conte e Di Maio. Di solito, queste operazioni vengono svolte sul campo dal personale diplomatico e agenti dei Servizi e non dai rappresentanti di Governo, che in genere accolgono gli ostaggi liberati all’aeroporto militare di Ciampino. Non è chiaro se siano stati i libici a chiedere che fosse il Governo in persona a presentarsi a Bengasi per chiudere l’accordo. “Complicato”, tanto da richiedere la presenza del premier, trapela da Palazzo Chigi. Anche quella del ministro degli Esteri?

Di certo, le autorità di Bengasi hanno apprezzato. In una base aerea alla periferia di Bengasi, Conte e Di Maio hanno anche un colloquio con il generale Haftar, il cui Governo non è riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale che ha invece ‘puntato’ sull’esecutivo di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj e riconosciuto dall’Onu. Non ha dubbi Arturo Varvelli dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr). “Il fatto che un presidente del Consiglio e un ministro degli Esteri si siano mossi per andare a sancire la liberazione da un generale, il generale Khalifa Haftar, che non ha alcun riconoscimento internazionale o che non dovrebbe averne, è naturalmente il prezzo implicito che abbiamo pagato per risolvere questa situazione”, dice all’Adnkronos International.

Emma Bonino, la cui preparazione sugli scenari internazionali non è opinabile, guarda il bicchiere mezzo pieno. “Se quando ero ministro degli Esteri, mi avessero chiesto di recarmi personalmente in Siria per riportare a casa Domenico Quirico e risparmiargli giorni di prigionia, l’avrei fatto senza dubbio”, ci dice ricordando il rapimento dell’inviato de ‘La Stampa’ sette anni fa.

Il resto al momento è speculazione, certo. Che semina interrogativi: cosa significherà questa giornata nei rapporti tra lo Stato italiano e la Libia di Haftar, da una parte, quella di al-Serraj, dall’altra? La presenza di ben due rappresentanti di governo è stata una condizione posta dai sequestratori, cioè da Haftar, regista politico del ‘fermo’ dei pescatori a Bengasi?

E infine c’è anche un altro dubbio che aleggia su questa storia.

Ironia della sorte, proprio oggi il presidente francese Emmanuel Macron è risultato positivo al covid. Lo spagnolo Pedro Sanchez e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel si sono messi in auto-isolamento perché hanno incontrato Macron all’Eliseo lunedì scorso. Ma la stessa premura da quarantena fiduciaria l’ha avuta anche il premier belga Alexander De Croo, che ha visto Macron al summit europeo di giovedì e venerdì scorso, come tutti gli altri leader europei, compreso Conte. Che però è volato in Libia.

 

 

La vicenda dei pescatori, 107 giorni in mano libica. 
La storia dei 18 pescatori comincia 107 giorni fa, ovvero il primo settembre, quando furono imprigionati in una caserma di Bengasi, città nell’Est della Libia. Si tratta di otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi: Karoui Mohamed, Daffe Bavieux, Ibrahim Mohamed, Pietro Marrone, Onofrio Giacalone, Mathlouthi Habib, Ben Haddada M’hamed, Jemmali Farhat, Ben Thameur Lysse, Ben Thameur Hedi, Moh Samsudin, Giovanni Bonomo, Michele Trinca, Barraco Vito, Salvo Bernardo, Fabio Giacalone,Giacomo Giacalone, Indra Gunawan. A lanciare l’allarme furono altri pescherecci che erano nei paraggi e che erano riusciti a mettersi in fuga. I pescatori si trovavano a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo - ‘Antartide’ e ‘Medinea’ - che furono sequestrati dalle motovedette dell’Est libico facenti capo all’uomo forte di Bengasi, il generale Khalifa Haftar. L’accusa mossa era di avere violato le acque territoriali per aver pescato all’interno di quella che ritengono essere un’area di loro esclusiva pertinenza in base ad una convenzione che prevede l’estensione della Zee (zona economica esclusiva) da 12 a 74 miglia. A questa accusa si era aggiunta anche quella delle milizie di Haftar che contestavano anche il traffico di droga, senza nessuna prova. La vicenda dei pescatori, presto sfociata in caso diplomatico, era finita anche a Bruxelles. L’Unione Europea aveva lanciato pochi giorni fa un appello nelle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo affinché le autorità libiche rilasciassero “immediatamente i pescatori italiani trattenuti da settembre senza che sia stata avviata alcuna procedura legale” nei loro confronti. Più volte i familiari dei pescatori avevano fatto appelli nella speranza di poter riabbracciare i propri cari a Natale. Nel corso delle trattative sarebbe stata avanzata da parte di Bengasi la richiesta di uno ‘scambio di prigionieri’, con l’estradizione di quattro libici condannati in Italia a cinque anni come scafisti di una traversata avvenuta nel 2015 in cui morirono 49 migranti. Bengasi ne ha sempre proclamato l’innocenza sostenendo si trattasse di semplici ‘calciatori’. Oggi l’epilogo con la missione di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio a Bengasi e la liberazione dei pescatori.

 

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