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domenica 25 ottobre 2020

Seconda ondata, quelli che lo avevano detto (per tempo)

 


Da Ricolfi a Crisanti, andiamo a rileggere le considerazioni di virologi ed esperti. Avevano invitato alla cautela quando il governo, invece, abbassava la guardia.



“Se una gazzella vede un leone, non pensa che sia un ornitorinco solo per 

controllare l’ansia che sente dentro di sé. Incredibile: pensa che sia un leone”.

 Parole del sociologo Luca Ricolfi, snocciolate in un’intervista di luglio

 con HuffPost, che ci ricordano i momenti della vita in cui si preferisce di gran

 lunga sentirsi dire che “andrà tutto bene”, anziché dare credito ai grilli parlanti che

 sussurrano amare prospettive, anche quando, a conti fatti, si rivelano veritiere.

 Perché lì, a proposito di Covid, parafrasando la vecchia canzone di Caterina 

Caselli, la verità “fa male, si sa”.

È accaduto con la fase-due, a partire da maggio inoltrato, e poi ancor di più con 

l’avvento dell’estate, quando le misure di contenimento si sono allentate e in molti

 hanno iniziato a credere che la pandemia fosse un mostro sulla via del declino, 

una questione sul punto di essere alle nostre spalle, o comunque gestibile tanto da

 permetterci di tornare alla nostra vita di prima. In quel momento c’era chi, a costo 

di risultare impopolare o guastafeste, aveva cercato di aprire gli occhi sul prezzo 

che avremmo pagato per la nostra vita estiva a tratti spensierata, fatta di spiagge,

 discoteche, mangiate al ristorante e uso un po’ barocco della mascherina. 

Insomma, una serie di esperti che, in un modo o nell’altro, ci avevano avvertito sul 

costo salatissimo di una guardia abbassata, ma che si è preferito far finta di non 

sentire.

Il sociologo Ricolfi a luglio: “Non si può escludere che con l’arrivo della 

stagione fredda l’osservanza delle regole comportamentali non basti più, e 

l’epidemia riparta”

 

“Siamo nel momento più buio della notte”, ci raccontava Ricolfi il 10 luglio scorso,

 spiegando che seppur le cose effettivamente non stessero andando malissimo,

 era massima “l’incertezza interpretativa sui pochissimi dati che ‘Lor Signori’ hanno 

la benevolenza di comunicare a noi umili sudditi di questa sfortunata Repubblica”. 

A suo avviso, quello che era certo è che “nella prima metà di giugno, ossia in 

coincidenza della liberalizzazione degli spostamenti fra comuni, è successo 

qualcosa di grave e di nuovo”. Egli faceva notare che, sulla base dei dati 

elaborati dalla Fondazione Hume - che produce anche un importante termometro 

quotidiano dell’epidemia - “fino ad allora, di settimana in settimana, il numero di

 province critiche diminuiva, da allora ha smesso di diminuire e, nelle ultime due

 settimane, ha cominciato a salire in modo sistematico e preoccupante”.  Sul quel

 che sarebbe successo in autunno si definiva “assai meno sicuro” e si faceva una

 domanda: “Oltre a far ripartire l’economia, non dovremmo preoccuparci – proprio 

per il bene dell’economia – di evitare l’arrivo di una seconda ondata?”. Ma cosa, a 

quel tempo, lo rendeva poco incline all’ottimismo? “L’andamento del numero di 

persone sottoposte a tampone”. Nonostante le autorità nazionali avessero 

compreso che occorreva farne molti di più, “la maggior parte delle Regioni sta

 riducendo il numero di tamponi. Se ne facessero di più, anziché di meno, i dati 

del numero di contagiati sarebbero ancora più inquietanti. E io non mi ritroverei 

ad essere fra i pochi che, da tre settimane, segnalano il pericolo”. Quando il 

sociologo parlava era un momento, lo ricordiamo tutti, in cui l’epidemia sembrava

 sotto controllo, ma lui ci aveva tenuto a indicarne i motivi: “Né l’autodisciplina della

 popolazione adulta (quella giovanile è già fuori controllo), né la tempestività delle 

autorità sanitarie nello spegnere i nuovi focolai, ma è semplicemente il fatto che i 

fattori climatici stanno contrastando e bilanciando quelli comportamentali”. 

Essendo, quando è stata rilasciata l’intervista, tempo di vacanze, Ricolfi aveva 

detto un’altra cosa che ora non può passare in sordina: “Posso sbagliare, 

naturalmente, ma per me è semplicemente incredibile che chi ci governa non 

abbia ancora voluto accettare una cosa di puro buonsenso: il turismo internazionale

 è incompatibile con una pandemia”. A tal proposito, però, secondo lui, “la 

responsabilità maggiore non ce l’ha il nostro governo (per una volta solidarizzo con 

Conte) ma ce l’hanno gli organismi internazionali, in primis l’Organizzazione 

mondiale della sanità e l’Unione Europea. Nessun paese può chiudere o limitare 

drasticamente i collegamenti internazionali se non lo fanno anche la maggior parte 

degli altri paesi”. E poi la sua sentenza sul quello che avremmo vissuto, in autunno

 e in inverno, se fosse arrivato il nuovo sciame epidemico: “Una catastrofe”.

 

L’infettivologo Galli a maggio: “La seconda ondata c’è stata in altri Paesi che

 hanno aperto”

 

Ben prima, a maggio, in occasione dell’apertura della fase-due, era stato il direttore

 del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli,

 a indicare, in un’intervista a Repubblica, i rischi a cui da quel momento ci 

esponevamo e che ci avrebbero portato alla seconda ondata, ipotesi, spiegava, 

che “spaventa l’Organizzazione mondiale della sanità” e che “c’è stata in altri

 Paesi che hanno aperto, anche se non ha portato situazioni drammatiche”. Si era

 passati alla fase-due “per motivi di assoluta necessità”, ammetteva, ricordando

 però che eravamo “di fronte a un esperimento di riapertura che si fonda

 principalmente su mascherine e distanziamento”. Dov’era il punto? “Se l’apertura 

avviene è perché non ci sono alternative, ma dobbiamo viverla con il massimo

 senso di responsabilità nei nostri comportamenti”. In sostanza, anche lui non 

negava la necessità di “non far morire le attività economiche”, ma avvertiva dei g

randi rischi, soprattutto legati ai luoghi di maggior contagio, a suo avviso in primis

 il contesto familiare. “Il rischio è che si prenda il virus fuori e lo si porti in casa. 

Anche le aziende possono esserlo, molte si sono attrezzate autonomamente per 

limitare i focolai. Oggi per la prima volta sono uscito con mia moglie per una 

passeggiata, sono stato al parco Sempione. Ho trovato moltissime persone in giro,

 e questo non mi stupisce. È normale che la gente sia ormai portata a farlo, anche

 se benissimo non va: ho visto tanti giovani in gruppo, più o meno ammassati, 

qualcuno senza mascherina. Questo non va bene”.

 

Il virologo Crisanti ad agosto aveva proposto il suo Piano tamponi, ma non 

è stato attuato

 

Un altro “grillo parlante” da tempi non sospetti è Andrea Crisanti, direttore del 

Dipartimento di Medicina Molecolare della Università di Padova, che già ad agosto

 aveva proposto al governo un Piano, caduto nel dimenticatoio, che prevendeva 

il tracciamento di tutti gli appartenenti agli ambienti dei positivi e fino a 400mila

 tamponi per spegnere sul nascere i focolai. Il virgolo, che è famoso non solo per 

essere il fautore del progetto dei tamponi di massa per la Regione in Veneto, ma, 

suo malgrado, per la frase sul possibile “lockdown a Natale” che ha fatto andare 

preventivamente di traverso a molti sui social il panettone, è in ancora in attesa di

 un riscontro dall’esecutivo Conte. Il suo documento indicava una strategia per 

evitare la seconda ondata, che ora stiamo vivendo. “Ora – ha commentato al 

Sole24ore qualche giorno fa – a distanza di quasi tre mesi vengono emanati nuovi

 decreti del presidente del Consiglio, destinati ad impattare sulla nostra qualità 

della vita e sulle nostre attività lavorative, subiti pazientemente con la speranza che

 possano contribuire a diminuire il contagio”. Secondo lui, “si persiste nell’errore di

 non chiedersi come, ridotto il contagio con misure progressivamente restrittive, si

 faccia a mantenerlo a livelli bassi. La mancata risposta a questa domanda ci c

ondannerà a una altalena di misure restrittive e ripresa di normalità che avrà effetti 

disastrosi sull’economia, l’educazione e la vita di relazione”. Una soluzione per

 convivere con il virus? “Portarlo al livelli trasmissione bassa in modo da mantenere

 una qualità di vita decente e portare avanti l’economia”, ha spiegato giorni fa ad 

Agorà su Raitre, e sa solo in un modo: “Interrompendo le catene di trasmissioni,

 ma con 10-12.000 casi al giorno nessun sistema è in grado di farlo”. E ora che i 

nuovi contagi sono quasi 20.000? La risposta viene da sé.

 

Gimbe ad agosto: “Per la prima volta da inizio aprile incremento ricoveri in

 terapia intensiva”

 

All’elenco di chi invitava a frenare gli entusiasmi da “fuori pericolo” va aggiunta 

sicuramente la Fondazione Gimbe, che già in un comunicato del 13 agosto faceva 

notare “spie rosse che invitano a non abbassare la guardia e mantenere un grande

 senso di responsabilità individuale e collettiva”. L’analisi veniva dalle rilevazioni 

epidemiologiche effettuate dal 5 all’11 agosto. “Si conferma – dichiarava il 

presidente Nino Cartabellotta – non solo un trend in netta crescita dei nuovi casi e,

 in misura minore dei pazienti ospedalizzati con sintomi, ma per la prima volta da

 inizio aprile si registra un incremento dei ricoveri in terapia intensiva”. Lui parlava 

di “trend in progressivo aumento dei nuovi casi, siano essi autoctoni, di 

importazione (stranieri) o di rientro da italiani andati in vacanza all’estero”. Secondo 

i dati Gimbe, se nelle prime tre settimane di luglio i nuovi casi erano stabili 

(circa 1.400 per settimana), nelle ultime due erano progressivamente aumentati da: 

1.736 nella settimana 22-28 luglio a 1.931nella settimana 29 luglio–4 agosto e a 

2.818 nella settimana 5–11 agosto. “Purtroppo – rilevava il Cartabellotta – se da un

 lato Governo e Regioni cercano di mettere in campo nuove azioni per frenare la 

risalita dei contagi, la comunicazione pubblica continua ad essere influenzata da 

messaggi che minimizzano i rischi, ignorando totalmente dinamiche e tempistiche 

che condizionano la risalita della curva epidemiologica e facendo leva 

sull’analfabetismo scientifico di una parte della popolazione”. Infine, invitava tutti gli

 esperti a “fornire comunicazioni pubbliche equilibrate, oggettive e, nell’incertezza, 

seguire il principio di precauzione”. Altrimenti, diceva, “sull’avvio dell’anno scolastico

 incombe lo spettro di nuovi lockdown”.


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