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giovedì 20 agosto 2020

Questa settimana pubblichiamo un altro importante articolo tratto dagli scritti politici di Gramsci del 1920


Questa settimana pubblichiamo un altro importante articolo tratto dagli scritti politici di Gramsci del 1920

PS: <<TUTTI GLI SCRITTI POLITICI LI POTETE TROVARE IN QUESTO GRUPPO NEGLI ARGOMENTI POPOLARI ALLA VOCE OPERE DI GRAMSCI >>....c'è sempre qualcosa che si può imparare!
umberto marabese
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Partito di governo e classe di governo
Il Partito socialista è un partito di governo, è un partito che dovrà esercitare il potere politico. Il Partito socialista è l’espressione degli interessi della classe proletaria, della classe costituita dagli operai di fabbrica, che non hanno proprietà e che non diventeranno mai proprietari. Su questi interessi il Partito socialista basa la sua azione reale, sugli interessi di chi non ha proprietà e di chi è matematicamente sicuro che non potrà diventare mai proprietario. La classe lavoratrice non è solo di operai industriali; ma tutta la classe lavoratrice è destinata a diventare come il proletariato di fabbrica, a diventare una classe che non ha proprietà e che è matematicamente certa di non arrivare mai a possedere; perciò il Partito socialista si rivolge a tutta la classe lavoratrice, agli impiegati, ai contadini poveri, ai piccoli proprietari, e volgarizza la sua dottrina, la dottrina marxista, e dimostra come tutto il popolo dei lavoratori, manuali e intellettuali, sarà ridotto nelle condizioni della classe operaia, come tutte le illusioni democratiche sulla possibilità che ognuno diventi proprietario siano appunto illusioni, puerilità e sogni piccoloborghesi. Il Partito liberale, il partito degli industriali, il partito della concorrenza economica, è il partito tipico della società capitalista, è il partito di governo della classe capitalista: attraverso la concorrenza esso tende a industrializzare tutto il lavoro organizzato della società, esso tende a ridurre tutta la classe proprietaria al tipo del suo cliente economico, l’industriale capitalista. Il Partito comunista, il partito dei proletari, il partito dell’economia socializzata e internazionalizzata, è il partito tipico della società proletaria, è il partito di governo della classe operaia: attraverso un Consiglio centrale di economia nazionale, che coordina e unifica le iniziative di produzione, esso tende a socializzare tutto il lavoro che i capitalisti hanno industrializzato e tende a industrializzare socialisticamente tutte le altre zone di lavoro non ancora assorbite dall’industrialismo capitalistico: esso tende a ridurre tutti gli uomini in società al tipo del proletario, ma del proletario emancipato e rigenerato, del proletario che non possiede privatamente la ricchezza, ma amministra la ricchezza comune e ne trae quel godimento e quella sicurezza di vita che gli spettano per il lavoro dato alla produzione. Questa posizione storica impone dei doveri precisi al Partito socialista: esso è partito di governo in quanto rappresenta essenzialmente il proletariato, la classe degli operai industriali. La proprietà privata minaccia di strangolare il proletario, minaccia di farlo morire di fame e di freddo: la concorrenza economica che è caratteristica della proprietà capitalistica, dopo aver condotto alla sopraproduzione, ha condotto al monopolio nazionale, all’imperialismo, all’urto feroce tra gli Stati imperialisti, ad una distruzione smisurata della ricchezza, alla carestia, alla disoccupazione, alla morte per fame e per freddo. La classe dei senza proprietà, di coloro che non potranno mai diventare proprietari, ha un interesse vitale e permanentemente vitale alla socializzazione, all’avvento del comunismo. Dagli altri ceti della popolazione lavoratrice possono invece nascere sviluppi per un nuovo capitalismo: da quelle forme di produzione, che il capitalismo non ha ancora industrializzato, possono minacciosamente irrompere ampliamenti di proprietà e sfruttamenti dell’uomo sull’uomo. Spezzato lo Stato borghese, spezzato l’apparecchio di cui il capitalismo finanziario si serve per monopolizzare ai suoi interessi tutto il lavoro e tutta la produzione, l’artigiano può tentare di servirsi del governo socialista per sviluppare la sua bottega, assumere operai a salario, diventare un industriale; se il governo proletario non glielo permetterà, l’artigiano può diventare un ribelle, dichiararsi anarchico, individualista, o che so io, e formare la base politica per un partito di opposizione al governo proletario: il piccolo proprietario (o il contadino povero del regime agrario a latifondo, a cultura estensiva) può abusare 24 Note non firmate, L’Ordine Nuovo, 28 febbraio - 6 marzo 1920, sotto la rubrica «La settimana politica». Scritti politici II Antonio Gramsci 58 del fatto che, transitoriamente, fin quando durano le condizioni annonarie create dalla guerra, un chilo di patate può valere piú di una ruota di automobile, un pane può valere piú di un metro cubo di muratura, per domandare in cambio del suo lavoro non industrializzato e perciò economicamente povero, un lavoro dieci volte superiore del proletario: e se il governo proletario non permette al contadino di sostituirsi al capitalista nello sfruttare l’operaio, ecco che il contadino può ribellarsi, e trovare tra gli agenti della borghesia il gruppo che si costituisce partito politico dei contadini contro i proletari. Da tutte queste zone di lavoro, che non possono non avere diritti politici nello Stato operaio, da queste zone di lavoro nelle quali l’industrialismo capitalistico non è ancora riuscito a creare le condizioni del lavoratore proletario, del lavoratore che non è proprietario ed è matematicamente certo di non diventare mai proprietario, possono nascere, dopo la rivoluzione, forze politiche antiproletarie, forze politiche che tendono a far rinascere la proprietà capitalistica e lo sfruttamento della classe operaia. Il Partito socialista, in quanto rappresenta gli interessi economici della classe operaia minacciata di morte dalla proprietà privata del capitale, sarà dalla classe operaia mandato al governo rivoluzionario della nazione. Ma il Partito socialista sarà partito di governo solo in quanto riuscirà a far superare alla classe tutte queste difficoltà, solo in quanto riuscirà a ridurre tutti gli uomini in società al tipo fondamentale del proletario emancipato e rigenerato dalla schiavitú del salario, solo in quanto riuscirà a fondare la società comunista, cioè l’Internazionale delle nazioni senza Stato. Il Partito socialista diventerà partito di governo rivoluzionario solo quando porrà dei fini concreti alla rivoluzione, quando dirà: la rivoluzione proletaria risolverà in tali e tali modi questi e questi problemi della vita moderna che assillano e fanno disperare le masse umane. La rivoluzione come tale è oggi il programma massimo del Partito socialista: essa deve diventare il programma minimo: programma massimo deve essere quello che indica le forme e i modi con cui la classe operaia giunge, col suo ordinato e metodico lavoro proletario, a sopprimere ogni antagonismo e ogni conflitto che può emergere dalle condizioni in cui il capitalismo lascia la società, e a fondare la società comunista. Preparare la classe operaia, che ha interesse vitale a fondare il comunismo, a raggiungere il suo fine storico, significa appunto organizzare il proletariato in classe dominante: il proletariato deve farsi una psicologia simile a quella della classe borghese attuale, simile per l’arte del governare, per l’arte di saper condurre a buon termine una iniziativa, un’azione generale dello Stato operaio, non certo per l’arte dello sfruttare. Del resto, anche se volesse, il proletario non potrebbe farsi una psicologia di sfruttatore; il proletario non può diventare proprietario, a meno che non distrugga le officine e le macchine e diventi proprietario dei pezzi di ferro reso inutile, per morirci sopra il giorno dopo: appunto perché non può, date le condizioni tecniche della produzione industriale, diventare proprietario e sfruttare, il proletario è chiamato dalla storia a fondare il comunismo, a liberare tutti gli oppressi e gli sfruttati. Il Partito socialista non diventerà effettivamente partito di governo rivoluzionario se il proletariato non arriva a concepire i suoi problemi immediatamente vitali come risolvibili solo da un suo governo di classe, che ha raggiunto il potere rivoluzionariamente. La classe operaia sa che solo producendo essa domina la società e la conduce al comunismo: anche per la classe operaia problema fondamentale e permanente è quello della produzione e dell’aumento della produzione. Ma per la classe operaia il problema della produzione e dell’aumento della produzione si pone in questi termini: come ottenere che la classe operaia possa continuare a produrre e sia in grado fisicamente di aumentare la produzione. Come ottenere che la classe operaia non sia piú assillata dal problema dei viveri, che la classe operaia si rigeneri fisicamente e culturalmente e possa dedicarsi, con tutto il suo entusiasmo rivoluzionario, al lavoro industriale, alla produzione, alla ricerca e all’attuazione di nuovi modi di lavoro, di nuovi modi di produzione che siano tanti anelli saldati della catena storica che deve condurre al comunismo. I problemi immediati della classe operaia si riducono essenzialmente a uno: al problema dei viveri, al problema di instaurare un sistema di forze politiche in cui Scritti politici II Antonio Gramsci 59 l’appropriazione dei viveri non sia piú lasciata libera, in balía della proprietà privata, ma dipenda dalle necessità del lavoro e della produzione. Il principio proletario: «Chi non lavora non mangia!» acquista ogni giorno piú significato storico concreto; appare come il principio non abbia in sé nulla di giacobino, nulla di mistico, non possa essere neppure lontanamente paragonato alla formula della rivoluzione borghese: «Eguaglianza, fraternità, libertà!». Il principio proletario è il riconoscimento esplicito di una necessità immediata, di una necessità organica della società umana che minaccia di scompaginarsi e di decomporsi insieme allo Stato borghese. Bisogna produrre, e per produrre bisogna che esista una classe operaia capace fisicamente e intellettualmente di esercitare uno sforzo eroico di lavoro: perciò è necessario che le disponibilità annonarie siano specialmente dedicate a sostenere la classe operaia, la classe dei produttori, ed è necessario che esista un potere in grado di imporre questa necessità, in grado di assicurare alla classe operaia le condizioni di nutrizione e di benessere che permettono uno sforzo di lavoro, un incremento della produzione. Se esiste solo una disponibilità media di 200 grammi di pane quotidiano per cittadino, è necessario esista un governo che ne assicuri 300 grammi agli operai e costringa i non produttori ad accontentarsi di 100 grammi o anche meno, o anche di nulla se non lavorano, se non producono: un governo di tal genere può essere solo un governo operaio, governo della classe operaia divenuta classe di governo, divenuta classe dominante. Non può esistere governo operaio se la classe operaia non è in grado di diventare, nella sua totalità, il potere esecutivo dello Stato operaio. Le leggi dello Stato operaio devono essere poste in esecuzione dagli operai stessi: solo cosí lo Stato operaio non corre il rischio di cadere in mano di avventurieri e politicanti, non corre il rischio di diventare una contraffazione dello Stato borghese. Perciò la classe operaia deve addestrarsi, deve educarsi alla gestione sociale, deve acquistare la cultura e la psicologia di una classe dominante, deve acquistarle con i suoi mezzi e con i suoi sistemi, coi comizi, coi congressi, con le discussioni, con l’educazione reciproca. I Consigli di fabbrica sono stati una prima forma di queste esperienze storiche della classe operaia italiana che tende all’autogoverno nello Stato operaio. Un secondo passo, e dei piú importanti, sarà il primo congresso dei Consigli di fabbrica: ad esso saranno invitate tutte le fabbriche italiane: il congresso sarà di tutta la classe proletaria italiana, rappresentata dai suoi delegati eletti espressamente e non da funzionari sindacali. Il congresso dovrebbe impostare i problemi essenziali del proletariato italiano e dovrebbe tentarne la soluzione: problemi interni della classe come quello dell’unità proletaria, dei rapporti tra Consigli e sindacati, dell’adesione alla III Internazionale, dell’accettazione delle singole tesi della III Internazionale (dittatura proletaria, sindacati d’industria, ecc.), dei rapporti tra sindacalisti-anarchici e comunisti-socialisti; problemi della lotta delle classi: controllo operaio sull’industria, le otto ore, i salari, sistema Taylor, la disciplina del lavoro, ecc. Già fin d’ora i compagni dovrebbero discutere in assemblee di fabbrica questi problemi; tutta la massa operaia dovrebbe essere interessata a queste discussioni, dovrebbe dare un contributo di esperienza e di intelligenza alla soluzione di questi problemi. In tutte le assemblee di fabbrica dovrebbero essere discusse e poste ai voti mozioni diffuse e sorrette da argomentazioni su questi problemi e al congresso le relazioni dovrebbero essere il coordinamento delle discussioni fatte nelle assemblee di fabbrica, il coordinamento del lavoro intellettuale di ricerca della verità e della concretezza fatto da tutta la massa operaia. Allora sí, il congresso dei Consigli torinese sarebbe un grandioso avvenimento di somma importanza storica: gli operai venuti da tutta Italia avrebbero un documento luminoso di quanto può fare il Consiglio di fabbrica per condurre la classe operaia alla sua emancipazione, alla sua vittoria: la classe operaia torinese sarebbe, ancor piú di quanto non sia oggi, portata a esempio di entusiasmo rivoluzionario, di metodico e ordinato lavoro proletario per elevarsi, per educarsi, per fondare le condizioni di trionfo e di stabilità della società comunista
Partito di governo e classe di governo
TUTTI GLI SCRITTI POLITICI LI POTETE TROVARE IN QUESTO GRUPPO NEGLI ARGOMENTI POPOLARI ALLA VOCE OPERE DI GRAMSCI
Partito di governo e classe di governo
Il Partito socialista è un partito di governo, è un partito che dovrà esercitare il potere politico. Il Partito socialista è l’espressione degli interessi della classe proletaria, della classe costituita dagli operai di fabbrica, che non hanno proprietà e che non diventeranno mai proprietari. Su questi interessi il Partito socialista basa la sua azione reale, sugli interessi di chi non ha proprietà e di chi è matematicamente sicuro che non potrà diventare mai proprietario. La classe lavoratrice non è solo di operai industriali; ma tutta la classe lavoratrice è destinata a diventare come il proletariato di fabbrica, a diventare una classe che non ha proprietà e che è matematicamente certa di non arrivare mai a possedere; perciò il Partito socialista si rivolge a tutta la classe lavoratrice, agli impiegati, ai contadini poveri, ai piccoli proprietari, e volgarizza la sua dottrina, la dottrina marxista, e dimostra come tutto il popolo dei lavoratori, manuali e intellettuali, sarà ridotto nelle condizioni della classe operaia, come tutte le illusioni democratiche sulla possibilità che ognuno diventi proprietario siano appunto illusioni, puerilità e sogni piccoloborghesi. Il Partito liberale, il partito degli industriali, il partito della concorrenza economica, è il partito tipico della società capitalista, è il partito di governo della classe capitalista: attraverso la concorrenza esso tende a industrializzare tutto il lavoro organizzato della società, esso tende a ridurre tutta la classe proprietaria al tipo del suo cliente economico, l’industriale capitalista. Il Partito comunista, il partito dei proletari, il partito dell’economia socializzata e internazionalizzata, è il partito tipico della società proletaria, è il partito di governo della classe operaia: attraverso un Consiglio centrale di economia nazionale, che coordina e unifica le iniziative di produzione, esso tende a socializzare tutto il lavoro che i capitalisti hanno industrializzato e tende a industrializzare socialisticamente tutte le altre zone di lavoro non ancora assorbite dall’industrialismo capitalistico: esso tende a ridurre tutti gli uomini in società al tipo del proletario, ma del proletario emancipato e rigenerato, del proletario che non possiede privatamente la ricchezza, ma amministra la ricchezza comune e ne trae quel godimento e quella sicurezza di vita che gli spettano per il lavoro dato alla produzione. Questa posizione storica impone dei doveri precisi al Partito socialista: esso è partito di governo in quanto rappresenta essenzialmente il proletariato, la classe degli operai industriali. La proprietà privata minaccia di strangolare il proletario, minaccia di farlo morire di fame e di freddo: la concorrenza economica che è caratteristica della proprietà capitalistica, dopo aver condotto alla sopraproduzione, ha condotto al monopolio nazionale, all’imperialismo, all’urto feroce tra gli Stati imperialisti, ad una distruzione smisurata della ricchezza, alla carestia, alla disoccupazione, alla morte per fame e per freddo. La classe dei senza proprietà, di coloro che non potranno mai diventare proprietari, ha un interesse vitale e permanentemente vitale alla socializzazione, all’avvento del comunismo. Dagli altri ceti della popolazione lavoratrice possono invece nascere sviluppi per un nuovo capitalismo: da quelle forme di produzione, che il capitalismo non ha ancora industrializzato, possono minacciosamente irrompere ampliamenti di proprietà e sfruttamenti dell’uomo sull’uomo. Spezzato lo Stato borghese, spezzato l’apparecchio di cui il capitalismo finanziario si serve per monopolizzare ai suoi interessi tutto il lavoro e tutta la produzione, l’artigiano può tentare di servirsi del governo socialista per sviluppare la sua bottega, assumere operai a salario, diventare un industriale; se il governo proletario non glielo permetterà, l’artigiano può diventare un ribelle, dichiararsi anarchico, individualista, o che so io, e formare la base politica per un partito di opposizione al governo proletario: il piccolo proprietario (o il contadino povero del regime agrario a latifondo, a cultura estensiva) può abusare 24 Note non firmate, L’Ordine Nuovo, 28 febbraio - 6 marzo 1920, sotto la rubrica «La settimana politica». Scritti politici II Antonio Gramsci 58 del fatto che, transitoriamente, fin quando durano le condizioni annonarie create dalla guerra, un chilo di patate può valere piú di una ruota di automobile, un pane può valere piú di un metro cubo di muratura, per domandare in cambio del suo lavoro non industrializzato e perciò economicamente povero, un lavoro dieci volte superiore del proletario: e se il governo proletario non permette al contadino di sostituirsi al capitalista nello sfruttare l’operaio, ecco che il contadino può ribellarsi, e trovare tra gli agenti della borghesia il gruppo che si costituisce partito politico dei contadini contro i proletari. Da tutte queste zone di lavoro, che non possono non avere diritti politici nello Stato operaio, da queste zone di lavoro nelle quali l’industrialismo capitalistico non è ancora riuscito a creare le condizioni del lavoratore proletario, del lavoratore che non è proprietario ed è matematicamente certo di non diventare mai proprietario, possono nascere, dopo la rivoluzione, forze politiche antiproletarie, forze politiche che tendono a far rinascere la proprietà capitalistica e lo sfruttamento della classe operaia. Il Partito socialista, in quanto rappresenta gli interessi economici della classe operaia minacciata di morte dalla proprietà privata del capitale, sarà dalla classe operaia mandato al governo rivoluzionario della nazione. Ma il Partito socialista sarà partito di governo solo in quanto riuscirà a far superare alla classe tutte queste difficoltà, solo in quanto riuscirà a ridurre tutti gli uomini in società al tipo fondamentale del proletario emancipato e rigenerato dalla schiavitú del salario, solo in quanto riuscirà a fondare la società comunista, cioè l’Internazionale delle nazioni senza Stato. Il Partito socialista diventerà partito di governo rivoluzionario solo quando porrà dei fini concreti alla rivoluzione, quando dirà: la rivoluzione proletaria risolverà in tali e tali modi questi e questi problemi della vita moderna che assillano e fanno disperare le masse umane. La rivoluzione come tale è oggi il programma massimo del Partito socialista: essa deve diventare il programma minimo: programma massimo deve essere quello che indica le forme e i modi con cui la classe operaia giunge, col suo ordinato e metodico lavoro proletario, a sopprimere ogni antagonismo e ogni conflitto che può emergere dalle condizioni in cui il capitalismo lascia la società, e a fondare la società comunista. Preparare la classe operaia, che ha interesse vitale a fondare il comunismo, a raggiungere il suo fine storico, significa appunto organizzare il proletariato in classe dominante: il proletariato deve farsi una psicologia simile a quella della classe borghese attuale, simile per l’arte del governare, per l’arte di saper condurre a buon termine una iniziativa, un’azione generale dello Stato operaio, non certo per l’arte dello sfruttare. Del resto, anche se volesse, il proletario non potrebbe farsi una psicologia di sfruttatore; il proletario non può diventare proprietario, a meno che non distrugga le officine e le macchine e diventi proprietario dei pezzi di ferro reso inutile, per morirci sopra il giorno dopo: appunto perché non può, date le condizioni tecniche della produzione industriale, diventare proprietario e sfruttare, il proletario è chiamato dalla storia a fondare il comunismo, a liberare tutti gli oppressi e gli sfruttati. Il Partito socialista non diventerà effettivamente partito di governo rivoluzionario se il proletariato non arriva a concepire i suoi problemi immediatamente vitali come risolvibili solo da un suo governo di classe, che ha raggiunto il potere rivoluzionariamente. La classe operaia sa che solo producendo essa domina la società e la conduce al comunismo: anche per la classe operaia problema fondamentale e permanente è quello della produzione e dell’aumento della produzione. Ma per la classe operaia il problema della produzione e dell’aumento della produzione si pone in questi termini: come ottenere che la classe operaia possa continuare a produrre e sia in grado fisicamente di aumentare la produzione. Come ottenere che la classe operaia non sia piú assillata dal problema dei viveri, che la classe operaia si rigeneri fisicamente e culturalmente e possa dedicarsi, con tutto il suo entusiasmo rivoluzionario, al lavoro industriale, alla produzione, alla ricerca e all’attuazione di nuovi modi di lavoro, di nuovi modi di produzione che siano tanti anelli saldati della catena storica che deve condurre al comunismo. I problemi immediati della classe operaia si riducono essenzialmente a uno: al problema dei viveri, al problema di instaurare un sistema di forze politiche in cui Scritti politici II Antonio Gramsci 59 l’appropriazione dei viveri non sia piú lasciata libera, in balía della proprietà privata, ma dipenda dalle necessità del lavoro e della produzione. Il principio proletario: «Chi non lavora non mangia!» acquista ogni giorno piú significato storico concreto; appare come il principio non abbia in sé nulla di giacobino, nulla di mistico, non possa essere neppure lontanamente paragonato alla formula della rivoluzione borghese: «Eguaglianza, fraternità, libertà!». Il principio proletario è il riconoscimento esplicito di una necessità immediata, di una necessità organica della società umana che minaccia di scompaginarsi e di decomporsi insieme allo Stato borghese. Bisogna produrre, e per produrre bisogna che esista una classe operaia capace fisicamente e intellettualmente di esercitare uno sforzo eroico di lavoro: perciò è necessario che le disponibilità annonarie siano specialmente dedicate a sostenere la classe operaia, la classe dei produttori, ed è necessario che esista un potere in grado di imporre questa necessità, in grado di assicurare alla classe operaia le condizioni di nutrizione e di benessere che permettono uno sforzo di lavoro, un incremento della produzione. Se esiste solo una disponibilità media di 200 grammi di pane quotidiano per cittadino, è necessario esista un governo che ne assicuri 300 grammi agli operai e costringa i non produttori ad accontentarsi di 100 grammi o anche meno, o anche di nulla se non lavorano, se non producono: un governo di tal genere può essere solo un governo operaio, governo della classe operaia divenuta classe di governo, divenuta classe dominante. Non può esistere governo operaio se la classe operaia non è in grado di diventare, nella sua totalità, il potere esecutivo dello Stato operaio. Le leggi dello Stato operaio devono essere poste in esecuzione dagli operai stessi: solo cosí lo Stato operaio non corre il rischio di cadere in mano di avventurieri e politicanti, non corre il rischio di diventare una contraffazione dello Stato borghese. Perciò la classe operaia deve addestrarsi, deve educarsi alla gestione sociale, deve acquistare la cultura e la psicologia di una classe dominante, deve acquistarle con i suoi mezzi e con i suoi sistemi, coi comizi, coi congressi, con le discussioni, con l’educazione reciproca. I Consigli di fabbrica sono stati una prima forma di queste esperienze storiche della classe operaia italiana che tende all’autogoverno nello Stato operaio. Un secondo passo, e dei piú importanti, sarà il primo congresso dei Consigli di fabbrica: ad esso saranno invitate tutte le fabbriche italiane: il congresso sarà di tutta la classe proletaria italiana, rappresentata dai suoi delegati eletti espressamente e non da funzionari sindacali. Il congresso dovrebbe impostare i problemi essenziali del proletariato italiano e dovrebbe tentarne la soluzione: problemi interni della classe come quello dell’unità proletaria, dei rapporti tra Consigli e sindacati, dell’adesione alla III Internazionale, dell’accettazione delle singole tesi della III Internazionale (dittatura proletaria, sindacati d’industria, ecc.), dei rapporti tra sindacalisti-anarchici e comunisti-socialisti; problemi della lotta delle classi: controllo operaio sull’industria, le otto ore, i salari, sistema Taylor, la disciplina del lavoro, ecc. Già fin d’ora i compagni dovrebbero discutere in assemblee di fabbrica questi problemi; tutta la massa operaia dovrebbe essere interessata a queste discussioni, dovrebbe dare un contributo di esperienza e di intelligenza alla soluzione di questi problemi. In tutte le assemblee di fabbrica dovrebbero essere discusse e poste ai voti mozioni diffuse e sorrette da argomentazioni su questi problemi e al congresso le relazioni dovrebbero essere il coordinamento delle discussioni fatte nelle assemblee di fabbrica, il coordinamento del lavoro intellettuale di ricerca della verità e della concretezza fatto da tutta la massa operaia. Allora sí, il congresso dei Consigli torinese sarebbe un grandioso avvenimento di somma importanza storica: gli operai venuti da tutta Italia avrebbero un documento luminoso di quanto può fare il Consiglio di fabbrica per condurre la classe operaia alla sua emancipazione, alla sua vittoria: la classe operaia torinese sarebbe, ancor piú di quanto non sia oggi, portata a esempio di entusiasmo rivoluzionario, di metodico e ordinato lavoro proletario per elevarsi, per educarsi, per fondare le condizioni di trionfo e di stabilità della società comunista.

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