Mentre le pagine della politica di tutti i grandi giornali vengono riempite ogni giorno dalle piccole baruffe di partito, c'è anche chi non ha scordato di occuparsi dei grandi problemi del Paese. Come quello dell'«interesse nazionale», un cappello programmatico talmente ampio da racchiudere tutti i temi più rilevanti, dall'economia all'industria, dalla cultura alla salute. A questo argomento è dedicato il rapporto «Italia 2020», realizzato dalla fondazione FareFuturo del senatore di Fratelli d'Italia Adolfo Urso, ex ministro e oggi vicepresidente del Copasir. Che verrà presentato ai primi di settembre in un grande convegno in cui è attesa la presenza anche del premier Conte
Senatore Adolfo Urso, può confermare la presenza del presidente Conte al vostro convegno di settembre?
Non posso confermare ancora nulla, perché le presentazioni dobbiamo ancora organizzarle, lo faremo alla ripresa delle attività. Ne terremo più di una: certamente a Roma, ma anche in altri sei centri, uno per ogni sezione del rapporto, a cui saranno singolarmente dedicati degli approfondimenti e dei dibattiti con gli autori.
Ma Conte l'avete invitato o no?
Abbiamo concordato la sua presenza, poi i dettagli li vedremo più avanti.
Già questo, comunque, è un segnale importante di interesse verso i temi che ponete, anche da parte di ambienti che esulano dal mondo della destra.
Non c'è dubbio che il rapporto ha un valore nel merito, ma anche nel metodo. Per scelta abbiamo chiesto di contribuire a cinquanta e più personalità, di aree culturali, scientifiche e politiche diverse, a ciascuna delle quali abbiamo posto un interrogativo: come si difende e si valorizza l'interesse nazionale nel loro specifico campo. Questo è il primo valore aggiunto, perché riteniamo che l'interesse nazionale non possa che essere definito insieme. Tanto più oggi, che il Paese appare un vascello in tempesta, in un mare di globalizzazione che cambia profondamente i rapporti geopolitici, geoeconomici e geoenergetici. E infatti in Italia assistiamo ad un continuo stop and go, con atteggiamenti contraddittori di giorno in giorno, anche da parte di chi ha il compito di tutelare l'interesse nazionale.
Se dovessimo provarlo a sintetizzare in qualche politica concreta, quali sarebbero oggi le priorità da implementare?
Innanzitutto investire sulle grandi infrastrutture del Paese, sulle quali purtroppo siamo clamorosamente in ritardo, e che sono determinanti per la nostra competitività. Ovvero: quelle materiali, come il completamento dell'alta velocità o il ponte sullo stretto di Messina, e quelle immateriali, sia la rete a fibre ottiche che il 5G.
La maggioranza attuale le sembra attenta a queste priorità?
Io penso che l'interesse nazionale non possa appartenere ad una forza politica, dovrebbe appartenere alla nazione come tale. Gli esempi sono tanti, nel mondo: non è che ad ogni cambio di governo si modifica la postura del Paese. Anche se negli Stati Uniti dovesse vincere Biden, non si invertirebbe certo la politica di Trump nei confronti della Cina. O se in Francia vincesse la sinistra, non chiuderebbe certo le centrali nucleari. Certe scelte di fondo vanno condivise nei decenni.
L'impressione è che in Italia ci siano tanti politici che pensano al sondaggio di domani e pochi statisti che pensano alla prossima generazione.
Non mi faccia essere cattivo... Diciamo che ci auguriamo che si incontri una condivisione su questo rapporto. Non è facile, ma la fondazione ha dimostrato che è possibile.
La vostra può essere una ricetta per superare anche la crisi post coronavirus?
Guardi, il coronavirus ha rappresentato un fenomeno di accelerazione della storia, come talvolta è accaduto in passato, ad esempio con le guerre. Pensiamo alla ridefinizione delle regole europee, come il superamento del patto di stabilità e la condivisione del debito pubblico, o del sistema del lavoro, con l'introduzione dello smart working. Sicuramente tutto ciò sarebbe comunque avvenuto nell'arco dei prossimi dieci anni, ma per effetto della pandemia è accaduto in poche settimane.
La necessità ha accelerato queste trasformazioni.
Esatto. E ciò provocherà degli scompensi sociali e geopolitici. Il conflitto tra Occidente e Cina, ad esempio, era stato già compreso e studiato dai più avveduti. Ma anche su questo mutamento la pandemia ha provocato un'accelerazione: veda le scelte dell'India e dell'Australia di schierarsi con gli Stati Uniti e contro la Cina.
Torniamo alla politica interna, però. Lei ha parlato di Giorgia Meloni come possibile capo del Partito della nazione, quello che avevano tentato invano di costruire sia Renzi che Salvini prima di lei. Ma come se lo immagina questo partito?
Fratelli d'Italia, così com'è oggi, è già il Partito della nazione, e viene percepito dagli elettori come tale. Lo dimostra il fatto che da più di un anno, nei sondaggi e in tutte le elezioni che si sono svolte, ha ottenuto consensi crescenti, anche al di fuori dell'ambito tradizionale e minoritario della destra. Infatti oggi veleggia ormai verso il 20%, ben oltre il record storico di Alleanza nazionale che era del 12%. Le analisi dei flussi dimostrano che raccogliamo elettori anche dall'astensione e dal M5s, oltre che da altre forze a noi più vicine.
E qual è la sua forza attrattiva?
Il fatto di interpretare i valori patriottici, gli interessi nazionali, i sentimenti profondi degli italiani, che si percepiscono come un'unica comunità di destino. E, nel contempo, di puntare al futuro, quindi alla produzione: sia nel campo della famiglia e della natalità, sia in quello del prodotto interno lordo.
Quindi questo ampliamento dei consensi potrà portare Giorgia Meloni a diventare leader del centrodestra e premier?
È vero che il presidente del Consiglio oggi ha una percentuale di gradimento più alta, che però è data dall'istituzione che ricopre. Giorgia Meloni, però, è il leader di partito con il consenso più alto. Nessun'altra forza politica, in passato, ha avuto una progressione elettorale così accelerata. Un vero e proprio terremoto positivo.
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