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lunedì 22 giugno 2020

HuffingtonPost - C'è un po' di "...ventennio..." in noi. I superpoteri a Gualtieri dal Governo Conte.

Gualtieri

PS: POSSIAMO CHIAMARLA DITTATURA?...<< Malgrado la smentita, il Governo assegna a Gualtieri il potere di modificare unilateralmente leggi già approvate, senza che il Parlamento possa eccepire alcunché. E in pochi fiatano...>>...." SI ".

Dietro lo schermo dell’emergenza sta accadendo qualcosa di mai visto nella storia repubblicana. Il Governo assegna al ministro dell’Economia il potere di modificare unilateralmente leggi già approvate, senza che il Parlamento possa eccepire alcunché. E in pochi fiatano. Il Quirinale promulga, le segreterie dei partiti tacciono, la gran parte dei media guarda altrove. Eppure l’articolo 265 del Decreto Rilancio è uno strappo alla costituzione materiale del Paese: dispone che tutte le risorse destinate fin qui dal Governo dall’inizio della lotta alla pandemia possano essere rimodulate in piena autonomia dal ministro dell’Economia, con un semplice decreto ministeriale. Non si tratta di briciole: i decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio valgono insieme uno scostamento di bilancio di quasi 80 miliardi, con l’effetto di portare a due cifre (10-11 per cento) il rapporto deficit-pil. Spostare poste finanziarie così rilevanti equivale a modificare leggi....

Si lamentano i costituzionalisti come Stefano Ceccanti, che in commissione Affari Costituzionali della Camera promuovono un emendamento bipartisan per sopprimere questa potestà surrettizia del Mef, o almeno per sottoporla a un controllo parlamentare. Ma tra i partiti e nei palazzi istituzionali nessuno alza le barricate. D’accordo, la stagione del Covid ci ha già abituato all’eccezione. Ma stavolta è come se un centravanti segnasse con le mani, senza che né l’arbitro né la squadra avversaria avessero nulla da obiettare.
L’inazione malcela perciò una condivisione strategica. La delega in bianco al Mef risponde alla volontà di dare garanzie all’Europa che i fondi stanziati a debito saranno spesi, per intero e bene. L’accountability del ministro dell’Economia presso le cancellerie europee è un elemento di garanzia: Gualtieri è stato uno dei tre saggi che nel 2011 ha negoziato, a nome del Parlamento europeo, il patto di stabilità, e prima di rientrare a Roma guidava a Strasburgo la commissione per i problemi economici e monetari. Basterà il suo nome a rassicurare l’Europa che i miliardi stanziati per i monopattini saranno in realtà impiegati per fare gli ospedali e la banda larga?
L’ottimismo istituzionale dice di sì. In nome di un fine che giustifica i mezzi, anche a costo di umiliare un Parlamento ridotto a una larva. E in nome di un gioco delle parti, che tiene la maggioranza di Governo abbarbicata al pregiudizio per cui, in politica, un conto è la realtà, un altro è la narrativa. La realtà la rappresenta Gualtieri, facendo apparire il Paese affidabile alla vigilia di una collocazione autunnale di una grande mole di titoli di debito pubblico. La narrativa è un altro film, o piuttosto un teatrino. Che consente ai Cinquestelle di far finta di litigare sul Mes, di accapigliarsi con Di Battista, e di scongiurare che quel poco di elettorato populista che resta cada nelle braccia di Salvini.


Alle élite pentastellate di Governo non è stata risparmiata la mutazione antropologica tipica di ogni indignato che finisca, per un accidente della storia, nella stanza dei bottoni. E ne apprezzi, tra l’altro, la comodità. Ma la consapevolezza che i soldi del Mes sono una provvidenza laica e che le opere pubbliche si devono fare non è trasferibile alla base. Perciò occorre un’ipocrisia del linguaggio, fondata sull’idea che degli italiani non ci si può fidare. Meglio dire il contrario di ciò che si accettare di fare.
E per restare a Palazzo di tutto si accetta. Che volete che sia una sforbiciata al proprio bilancio ministeriale, decisa da un altro ministro? Che volete che sia l’involuzione della democrazia parlamentare? L’importante è che il Parlamento, ancorché esautorato, stia in piedi fino a luglio 2021, per entrare da Onorevoli in servizio effettivo nel semestre bianco, e giocare al risiko del Quirinale con gli attuali rapporti di forza. 

Ciò vorrebbe dire che Conte e Gualtieri sono più forti di quello che sembra. E che i poteri dell’esecutivo sono destinati a crescere, saltando le residue intermediazioni, in ragione di un rapporto diretto tra chi gestisce i cordoni della borsa e le minoranze organizzate. Ma chi garantisce che il Governo risponderà effettivamente alle attese dell’Europa? Se invece cedesse ai gruppi di pressione per blindare il consenso, il gabinetto Conte potrebbe assumere una piega peronista. Ce ne sono i segni. Lo statalismo e una certa propaganda distributiva coprono la mancanza di una visione del cambiamento e dello sviluppo, e rafforzano, anziché disarmare, gli interessi particolari. Comuni e Regioni, imprese e sindacati già bussano alla porta di Palazzo Chigi e mostrano che più si divarica il rapporto tra la realtà e il racconto della realtà, più la bolla narrativa rischia di scoppiare. Anche se disponi di un tesoretto senza fondo, preso in prestito o piuttosto rubato alle generazioni future



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