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lunedì 27 aprile 2020

Il Fatto Quotidiano - Coronavirus, commercianti e artigiani contro Fase 2: “O riapriamo subito o falliamo tutti”. Bonaccini: “Lavoriamo per anticipare le date”

Coronavirus, commercianti e artigiani contro Fase 2: “O riapriamo subito o falliamo tutti”. Bonaccini: “Lavoriamo per anticipare le date”

Numerose le associazioni che hanno manifestato il proprio disappunto per le decisioni dell'esecutivo sulla ripartenza dal 4 maggio. Dalla Confcommercio alla Confesercenti, fino alla Cna. A preoccupare di più è la situazione di parrucchieri e centri di bellezza: "Non possiamo ripartire a giugno. Abbiamo fatto proposte per protocolli di sicurezza, ma non ci hanno nemmeno risposto".
Infine la moda. Il presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, Renato Borghi, dice che “questa sembra la cronaca di una morte annunciata. Questo ulteriore slittamento creerà un danno irreparabile. Un prevedibile calo di consumi per il 2020 di oltre 15 miliardi di euro che porterà almeno 17mila punti vendita ad arrendersi, con una perdita di occupazione di oltre 35mila persone”....

“Danni gravissimi”, “miliardi di euro persi”, “la cronaca di una morte annunciata”. Dopo la conferenza stampa di domenica sera con la quale il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha illustrato i cambiamenti con i quali il Paese si appresta ad affrontare la Fase 2 della pandemia di coronavirus dal 4 maggio, a protestare maggiormente per una ripartenza considerata troppo prudente sono le associazioni di commercianti e artigiani italiani. Dall’entrata in vigore del nuovo decreto, riprenderanno a lavorare solo il settore manifatturiero, quello delle costruzioni e i grossisti legati a queste due filiere. Inoltre, ristoranti e bar avranno l’opportunità di vendere cibo, ma solo da asporto. Nessuna riapertura dei locali, almeno fino al 18 maggio. Parrucchieri ed estetisti dovranno invece attendere almeno fino a giugno. E a chiedere una riapertura più rapida per bar e ristoranti è anche il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini: “Mi auguro che quelle date possano essere anticipate e lavoreremo perché questo sia possibile”


Intervistato da Radio24, Bonaccini racconta che “anche a me hanno contattato tantissimi gestori di bar, ristoranti, parrucchieri, palestre, negozi. Ho visto che il presidente del Consiglio ha indicato delle possibili date. È giusto avere un’ipotesi di calendario. Mi permetto di dire che, monitorando come va dal punto di vista epidemiologico, mi auguro che quelle date possano essere persino anticipate e lavoreremo perché questo sia possibile. Perché capisco che anche psicologicamente ci sono settori dove le persone si domandano ‘oddio che fine farò'”
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, è ancora più diretto: “Il nemico è dietro l’angolo ma bisogna fare in modo che si riparta. E non è una visione cinica per pensare solo ai soldi. La si finisca. Io capisco che in giro per l’Italia ci sia qualcuno che è meno interessato alle attività produttive, ma qui noi manteniamo le nostre famiglie e il resto d’Italia, 150 miliardi di pil sono una buona fetta, l’Italia non si può dimenticare di questa zona produttiva importante, come lo sono la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Friuli”. E poi si dice vicino a estetisti e parrucchieri: “Hanno tutte le ragioni per protestare – ha aggiunto – Ma come si fa a dire loro che potranno aprire il primo giugno perché allora saranno in regola e sicuri e oggi no? Il virus c’è oggi e ci sarà anche domani”.
Tra i primi rappresentanti dei commercianti a parlare c’è Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, che commentando le nuove disposizioni sostiene che “ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro. In queste condizioni – sottolinea – diventa vitale il sostegno finanziario alle aziende con indennizzi a fondo perduto che per adesso non sono ancora stati decisi. Bisogna invece agire subito e in sicurezza per evitare il collasso economico di migliaia di imprese”. Così chiede a Conte “un incontro urgente, anzi urgentissimo per discutere di due punti. Riaprire prima e in sicurezza e mettere in campo indennizzi e contributi a fondo perduto a favore delle imprese”.
Sullo slittamento al 18 maggio della riapertura degli esercizi commerciali si è espressa anche Maria Luisa Coppa, presidente dell’Ascom Torino e di Confcommercio Piemonte, manifestando “incredulità, sconcerto e amarezza. Davvero aprire un negozio o un bar, dove entrerebbero una o due persona alla volta con guanti e mascherina, viene considerato più pericoloso che aprire una fabbrica con centinaia di lavoratori? Con queste scelte si condannano le imprese del commercio e della ristorazione al fallimento”.
Le fa eco il presidente di Confcommercio centro di Roma, David Sermoneta, annunciando che migliaia di attività capitoline non riapriranno nemmeno quando consentito: “Con un sentimento di sofferenza e rabbia siamo intenzionati a non riaprire le nostre attività perché i costi di gestione supererebbero di di gran lunga i costi della chiusura. Oltre mille negozi appartenenti alle catene di distribuzione più conosciute sono intenzionati a non riaprire. Non potremo ritirare dalla cassa integrazione i nostri dipendenti, non potremo onorare i nostri debiti con i fornitori, non potremo pagare i canoni di affitto”.
Sullo slittamento al 18 maggio della riapertura degli esercizi commerciali si è espressa anche Maria Luisa Coppa, presidente dell’Ascom Torino e di Confcommercio Piemonte, manifestando “incredulità, sconcerto e amarezza. Davvero aprire un negozio o un bar, dove entrerebbero una o due persona alla volta con guanti e mascherina, viene considerato più pericoloso che aprire una fabbrica con centinaia di lavoratori? Con queste scelte si condannano le imprese del commercio e della ristorazione al fallimento”.
Le fa eco il presidente di Confcommercio centro di Roma, David Sermoneta, annunciando che migliaia di attività capitoline non riapriranno nemmeno quando consentito: “Con un sentimento di sofferenza e rabbia siamo intenzionati a non riaprire le nostre attività perché i costi di gestione supererebbero di di gran lunga i costi della chiusura. Oltre mille negozi appartenenti alle catene di distribuzione più conosciute sono intenzionati a non riaprire. Non potremo ritirare dalla cassa integrazione i nostri dipendenti, non potremo onorare i nostri debiti con i fornitori, non potremo pagare i canoni di affitto”.
La Confederazione nazionale dell’artigianato (Cna) si dice particolarmente preoccupata per la situazione di parrucchiericentri estetici e per tutti coloro che operano nel settore dei servizi alla persona, attività che secondo le ultime disposizioni saranno tra le ultime a riaprire, “non prima di giugno”. “Desta sconcerto e rabbia il fatto non si faccia alcuna menzione a una possibile data di riapertura delle imprese di acconciatura ed estetica – si legge in una nota – L’ennesima dichiarazione in conferenza stampa del presidente del Consiglio, che lascia intendere uno slittamento del riavvio di tali attività a giugno, è intollerabile. Rappresenta una condanna a morte per l’intero settore” formato da 135mila imprese e oltre 260mila addetti.

Il segretario generale di ConfartigianatoCesare Fumagalli, ha definito “incomprensibile e inaccettabile” la decisione del Governo sul futuro di acconciatori e centri estetici. “Con senso di responsabilità – sostiene – abbiamo elaborato e presentato tempestive proposte dettagliate su come tornare a svolgere queste attività osservando scrupolosamente le indicazioni delle autorità sanitarie su distanziamento, dispositivi di protezione individuale, pulizia, sanificazione. Proposte che penalizzano fortemente le nostre possibilità di ricavo, ma siamo consapevoli della loro necessità. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta”
Infine la moda. Il presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, Renato Borghi, dice che “questa sembra la cronaca di una morte annunciata. Questo ulteriore slittamento creerà un danno irreparabile. Un prevedibile calo di consumi per il 2020 di oltre 15 miliardi di euro che porterà almeno 17mila punti vendita ad arrendersi, con una perdita di occupazione di oltre 35mila persone”.---

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