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giovedì 26 marzo 2020

x Huffington Post by Pietro Salvatori - Draghifobia a Palazzo Chigi: la "caciara" del M5S".

Conte/Draghi


Basta un intervento sul FT a far saltare i nervi ai 5 stelle: in Senato spezzano il clima rispettoso scagliandosi contro Salvini e Meloni per troncare ogni progetto di unità nazionale attorno all'ex presidente Bce. Mentre Conte è tra i pochi che neanche lo nomina

Alla fine, proprio all’ultimo intervento, la caciara sporca il clima, fino a quel momento grave, rispettoso, pieno di emozione. Anche il “barbaro”, inteso come Matteo Salvini, aveva tenuto un tono consono. Ecco Gianluca Perilli, capogruppo dei Cinque stelle al Senato, che si mette a urlare in faccia a Salvini di non essere ipocrita, gli dà del “monumento all’incoerenza”, gli chiede “quale aiuto sia arrivato se non le dichiarazioni propagandistiche”, butta nel calderone Giorgia Meloni accusandola di aver dato del “criminale” al premier, è un buon indicatore di come da ieri il clima sia cambiato. Davvero un commizieto. A occhio, i primi a essere imbarazzati sono quelli del governo, perché “se voleva rafforzare Conte, non è così se si fa”....
 
Emiciclo semi deserto, mascherine, commessi che cospargono di disinfettante i microfoni: “Ma perché l’ha buttata in caciara?” si chiede, ad esempio, Andrea Cangini. A frittata fatta, ti spiegano che è stata una grande mossa tattica: “Leggi tra le righe – spiega un senatore grillino, mentre Perilli sta ancora parlando – è tutta tattica. L’obiettivo è uccidere nella culla il bambino dell’unità nazionale e delle decisioni prese insieme all’opposizione”. Il bambino sarebbe Draghi, la culla il governo per l’emergenza nazionale. È bastato un intervento sul Financial Times, a far saltare i nervi. Poi è chiaro, Conte dissimula, Perilli sbrocca.
Del resto le parole dell’ex governatore, innominato dal premier, sono diventate il filo conduttore di parecchi interventi: “Agire con forza per evitare la depressione, serve più debito pubblico. Lo Stato deve proteggere i cittadini dalla perdita del lavoro”. È proprio così. Il premier l’ha letta in chiave tutta interna, vendendo il pericolo che un peso massimo si imponga sui pesi più leggeri: “Io ci ho sempre messo e continuo a metterci la faccia”, ripete ai suoi.
Il mood è sempre lo stesso: cercare di compattare il paese nella fase emergenziale, fare i conti dopo. E, soprattutto, non condividere la tolda di comando con Salvini. C’è un calcolo politico, certo, ma pesa anche il fattore personale e le antiche ruggini. Anche se in parecchi, anche dentro il Pd, gli dicono di “aprire e condividere” perché, in questa situazione trasformare il consenso in protesta è un attimo. Dunque, meglio condividere le responsabilità da subito, che non si significa governissimo ma, appunto, condivisione.
La principale differenza nel discorso reiterato a Palazzo Madama dopo che ieri era andato in scena alla Camera è proprio su questo punto: “Sono disponibile a una condivisione delle misure con l’opposizione”. Ma nulla ha aggiunto sul come e sul che cosa, al punto da sembrare un atto dovuto. E infatti Salvini è stato lesto a replicare: “La collaborazione non è un garbato ascolto. Se ci vuole collaborativi allora lavoriamo insieme, se ci è richiesto un aiuto allora lavoriamo insieme”. La stessa linea della forzista Anna Maria Bernini: “La collaborazione è un lavorare con, non obbedire, non diamo cambiali in bianco”. 
Il punto è che alla fine del tunnel Conte vede Draghi come uno spauracchio per rimpiazzarlo. E considera il gioco delle opposizioni strumentale. “E’ convinto che nemmeno Salvini e Meloni vogliano un governo Draghi – spiega un parlamentare a lui molto vicino – ma che lo utilizzino come clava per destabilizzarlo”. Un’ipotesi alla quale il capo del governo è totalmente indisponibile. La puzza di bruciato è arrivata fin sotto il suo scranno quando il segretario della Lega ha ringraziato l’ex governatore della Bce per le sue parole: “Ci serve l’aiuto di tutti e anche il suo, sono contento di questa intervista e di quel che potrebbe nascere”. Un esponente di governo sibila: “Ma come, fino a qualche mese fa lo descriveva come complice di Bruxelles nel nostro massacro”.
E’ significativo anche il silenzio del Pd sul tema. Nessuno lo nomina in aula, a partire dal capogruppo Andrea Marcucci. Ma per quanto un pezzo del Pd non veda di buon occhio le grandi manovre intorno a Draghi (“Un suo ruolo in un futuro governo è fuori portata e fuori luogo”, ha tagliato corto il capogruppo Dem in Europa Brando Benifei), i banchi dem sono rimasti basiti nell’ascoltare Perilli. Perché è un gioco sottile di messaggi in bottiglia e tattiche quello di tentare di neutralizzare le opposizioni coinvolgendole, sfilandogli l’arma del consenso post crisi e dello spauracchio Draghi. Un lavorio di fioretto, che con la clava rischia di essere distrutto.
Con il bollettino di guerra puntualmente sfornato ogni giorno alle 18 dalla Protezione civile, sono iniziate in maniera conclamata le grandi manovre per il dopo. Un dopo dal quale Matteo Renzi sembra già sfilarsi, invocando una Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza del governo di cui pure i suoi fanno parte. “Con Draghi siamo in sintonia, serve uno shock, un’azione straordinaria”, dice il premier all’Ansa che lo intercetta mentre se ne va dal Senato. Come a dire: quel che serve lo faccio io, non ho bisogno di sostituti.


https://www.huffingtonpost.it/entry/draghi-fobia-a-palazzo-chigi_it_5e7cbeebc5b6cb9dc19baa81?t0s&utm_hp_ref=it-homepage

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