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venerdì 29 novembre 2019

Di Maio non molla la presa, Palazzo Chigi pronti a congelare il salva-Stati

Di Maio non molla la presa, Palazzo Chigi pronti a congelare il salva-Stati

PS:Giu.ppi C. --."Ho occupato una posizione arretrata a 

quella del nemico"....!

umberto marabese
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Messaggio al Pd: dovete capire le esigenze identitarie del 

Movimento. Il premier Conte pronto a cedere: all’Europa 

farà sapere che l’Italia non è ancora pronta alla riforma.

Vista da fuori, la maggioranza di Giuseppe Conte sembra pronta al collasso. La confusione è all’apice e i partiti di maggioranza litigano a tutto campo, dal Mes alla prescrizione, dalle regionali alla fondazione Open. Eppure, negli ultimi due giorni, a Palazzo Chigi si sono convinti che «il governo reggerà», anche dopo una eventuale sconfitta del Pd in Emilia Romagna, il 26 gennaio. Non a caso Conte dall’Africa parla di rilancio dell’esecutivo e mette in agenda «riforme di più ampio respiro». E Zingaretti approva, al punto da invocare una «visione condivisa del futuro»...
Il mezzo miracolo, della cui durata è lecito dubitare, si deve alla grande paura di andare tutti a casa e al ritrovato asse tra Conte e Di Maio dopo la trasferta romana di Grillo. Lo stato della maggioranza era arrivato a un tale punto di logoramento che premier, capi delegazione e ministri si sono messi a tessere una rete a protezione del governo. La prima verifica si avrà lunedì nell’aula della Camera, quando il presidente del Consiglio cercherà di disinnescare la mina del Mes, il cosiddetto trattato Salva Stati. Con la propaganda sovranista di Salvini che seduce molti parlamentari 5 Stelle, Di Maio paventa uno «stritola Stati» e Conte, che non può permettersi strappi, medita di assecondarlo. Salvo ripensamenti, il premier annuncerà che l’Italia non è pronta alla firma del trattato e chiederà ai vertici dell’Europa un rinvio. Per il Pd è una sconfessione, dopo che il ministro Gualtieri ha definito «inemendabile» il testo dell’accordo. Ma a Palazzo Chigi sono convinti che Zingaretti e compagni comprenderanno le esigenze «identitarie» del partito di maggioranza e, per garantire la tenuta del governo, digeriranno la frenata.
Lo stesso schema i 5 Stelle immaginano sul fronte incandescente della giustizia. Per Di Maio, che per risalire la china ha bisogno di sventolare i vessilli del Movimento, lo stop alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio è un’altra questione di bandiera. «È una cosa nostra, fondamentale e non possiamo indietreggiare», insiste Di Maio, che a Conte ha spiegato come il M5S non possa perdere la sua identità per andare a braccetto col Pd.
Il punto è questo. Il ministro degli Esteri si è convinto che il governo giallorosso abbia appannato le sue stelle e vuole riprendersi il centro della scena, rivendicando i valori originari. Ecco perché Di Maio non si è fatto scrupolo di attaccare Renzi sulla fondazione Open, chiedendo una commissione d’inchiesta sui finanziamenti ai partiti. E se Italia Viva l’ha vissuta come uno sgarbo intollerabile, per i fedelissimi del «capo» non è che il minimo sindacale, «visto che Renzi parla come Berlusconi».
Il Movimento non tollererà altri attacchi ai giudici, né dagli scissionisti renziani, né dai dem. «Il Pd deve capire che noi siamo quello che siamo», è il mantra che Di Maio ripete a Conte, per convincerlo a mediare (a suo favore) con il Nazareno. Chiaro allora che tenere la rotta in questo mare non sia una impresa facile. «Navighiamo a vista», è il motto di Zingaretti. Non solo l’Emilia Romagna è a rischio, ma i 5 Stelle hanno trovato il loro candidato in Calabria e correranno da soli con Francesco Aiello. E mentre spingono per la revoca delle concessioni ad Autostrade, si guardano bene dal difendere pubblicamente la manovra economica. Di Maio «cerca l’incidente», come temono alcuni ministri del Pd? Al Nazareno si sono convinti che no, «non vuole andare a votare, ma solo far vedere che comanda ancora lui». Anche perché Di Maio (come Renzi) sa bene che i parlamentari le urne anticipate non vogliono vederle neppure in cartolina.

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