Pagine

sabato 19 ottobre 2019

Maurizio Blondet - DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE ! PER STARE NELLA UE, LA MERKEL VUOLE LO SCONTO (MA NON SE NE VA…)





  

Dopo il Brexit, il contributo degli  altri paesi membri  al bilancio UE  dovrà aumentare, per riempire il buco lasciato dai britannici che se  ne vanno. L’incredibile Angela Merkel  ha detto che la Germania –  la quale ha per misteriosi motivi uno sconto sulla sua quota – ha chiesto di mantenere lo sconto,  perché già Berlino (come maggiore contributore) “deve sopportare un onere eccessivo” causa Brexit.
Anzi  la Germania vuole ridiscutere “una equa ripartizione degli oneri sul piano finanziario” oltre “uno sconto per la Germania”.  Insomma devono pagare più  Italia, Spagna, Portogallo, Grecia  – e soprattutto Polonia e Ungheria, come vedremo  –  e meno i nordici...

Ne ha parlato al Bundestag, in preparazione del vertice europeo che tratterà  il prossimo bilancio  (Quadro Finanziario Pluriennale, QFP, per  7 anni dal 2021) della UE.
 La Germania già gode di uno sconto su quel che dovrebbe  pagare.  Di uno sconto simile godono anche Austria  e Paesi Bassi,ossia i grandi contributori netti. Come e perché questi paesi ricchi, e favoritissimi dall’euro (per loro svalutato), abbiano strappato uno sconto sui loro contributi al paradiso che  è la UE, il vostro cronista confessa di non aver saputo mai. Adesso ne ha avuto la spiegazione dal Financial Times: la faccenda risale a 35  anni fa,  quando Margareth Thatcher,  protestando per gli eccessivi sussidi all’agricoltura europea cui Londra doveva contribuire,  senza corrispettivo beneficio per i propri agricoltori, ottenne  uno sconto  (rebate) sulla quota britannica di contribuzione alla UE.   Adesso il  vostro cronista scopre che, allora, la Germania disse: “Anche a noi lo sconto”!”, e  lo stesso dissero Paesi Bassi ed Austria, Svezia e Danimarca  – e lo sconto ottennero, e  ne godono tutt’ora.
Si chiamano “meccanismi compensatori” nella lingua di legno orwelliana di Bruxelles, e  ne godono solo i più ricchi, con la scusa che loro sono contributori netti.  L’Italia  –  attraverso i suoi governanti di allora –    benché contributore netto,   non disse niente e  quindi paga in pieno.
Il punto è che adesso la Commissione UE, approfittando anche del Brexit che richiede un rimaneggiamento delle  finanze (pseudo)federali, vorrebbero  ridurre e lentamente abolire  questi   sconti  ai ricchi. E vorrebbe anche aumentare  il prelievo   – attualmente pari all’1% del reddito  nazionale lordo complessivo dei paesi UE  –    all’1,1%.
Ripeto: dall’1%  allo 1,1%.
Germania, Olanda e Austria immediatamente  hanno fatto  muro:  no, solo l’1% !  “Già  l’1%  comporta un chiaro aumento della contribuzione per la Germania”, data  “l’imminente uscita della Gran Bretagna”, ha opposto la Cancelliera.   Quanto?  La previsione   è di 30 miliardi in 7 anni per la Germania, da qui al 2027. L’anno scorso al Germania ha pagato 13,5 miliardi (contributo netto);  i  contabili tedeschi sostengono che dovrebbero pagare 10 miliardi in più, sempre in sette anni.
Impossibile! Berlino non ce la fa!   “A causa di questo aumento e dell’imminente uscita della Gran Bretagna dall’UE, la Germania sarà eccessivamente gravata quando si tratterà del QFP”, ha affermato la Cancelliera. “Per questa ragione dobbiamo parlare di un’equa ripartizione degli oneri sul piano finanziario e di uno sconto per la Germania”.
L’olandese Mark Rutte le ha dato manforte: questi sconti mettono un tetto a quel che pagano i contributori netti,  quindi  “mantengono equo il sistema europeo”.  Sic.
E siccome paesi ricevitori netti  dei contributi UE come  Polonia, Ungheria  e paesi baltici, protestano che quegli sconti ai ricchi contributori netti vanno eliminati,  la Merkel ha risposto che lei  sosterrà il principio di collegare strettamente l’erogazione dei fondi UE  al rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri, questione a cui Berlino darà “la massima priorità”:  una minaccia diretta a Polonia e Ungheria.  Insomma si intuisce che nella “più equa ripartizione  degli oneri” futuri, Berlino intende far pagare l’aggravio  delle quote  dopo il Brexit a  Varsavia e Budapest,  perché sono governate da “illiberali”, sotto forma di taglio agli aiuti che ricevono dalla UE.
E ovviamente Italia, Spagna, Portogallo pagheranno tutto. Berlino vuole mantenere  il suo sconto, e loro non obiettano: sono governati da europeisti, mica da sovranisti.
Questa  malavoglia e tirchieria tedesca lascia esterrefatti gli osservatori più sensati.
“Preparatevi: dopo la Brexit, la Germania si prepara a chiedere uno sconto sul suo contributo alle UE”, trasecola Munchau.
“Se la Germania non vuole contribuire, in realtà vuole la spaccatura della UE?”, si domanda l’economista di Cambridge Kenneth Jeyaretnam.  Perché questo avverrà dopo la Brexit;  la Germania non  è disposta a pagare alcun prezzo;  ma le conviene? “nonostante i chiari benefici   di cui  la Germania gode dall’euro sottovalutato?”
“La Germania non vuole versare il suo contributo al bilancio UE perché “troppo gravata dalla Brexit.” Se la Germania non vuole mettere la sua parte perché l’Italia allora dovrebbe mettere la sua, visto che è il Paese più vessato in assoluto dall’UE?”,  domanda il giornalista Cesare Sacchetti  (https://twitter.com/MPWI_en)
Infatti.  Questo atteggiamento tedesco di  evidente mancanza di impegno nel “far avanzare l’integrazione  europea” avrebbe senso se la Germania volesse uscire dalla UE.  Liberando tutti dal suo peso malmostoso, dalla sua avarizia e malavoglia.  Se la UE   non le interessa, lo dica.
Ma invece no.  Ordina, comanda, s’ingerisce, s’impiccia  degli altri stati e dei loro conti e riforme, dice loro che devono fare i compiti a casa,   insomma esercita  la sua “egemonia” per diritto e per traverso;  mette tutti i suoi uomini (e donne) in tutte le  posizioni-chiave della UE che può  occupare.
Per  esempio, appena prima  l’imperiosa richiesta di avere lo sconto  post-Brexit, la Merkel ha coalizzato l’intera UE contro Macron, che si era reso colpevole di essersi opposto all’allargamento  della UE ad Albania e Macedonia del Nord,  con la motivazione (giustissima)  che bisogna riformare l’intero processo  delle nuove adesioni alla UE,  dopo avere imbarcato dozzine di staterelli  in pochi anni, essenzialmente in funzione anti-russa, con evidenti effetti di squilibrio fra i fondatori e i neo-arrivati, e aggravi  finanziari perché i nuovi arrivati sono percettori netti dei contributi (naturalmente il nostro Conte s’è immediatamente schierato con la Merkel contro Macron…)
Quindi,  Berlino ci tiene alla UE, visto che la coalizza  contro “il grande alleato”  francese per farci entrare l’Albania.
Quattro giorni prima, il 14 ottobre, Berlino ha silurato il tentativo della Banca Europea degli Investimenti (BEI) di eliminare i sussidi ai combustibili fossili, in nome della neo-economia “verde”: siccome la Germania  va a lignite, e petrolio e  gas russo,  allora impone la sua volontà agli altri stati membri. Dunque, la UE le interessa, in questo.

Poche ore dopo, la Merkel ha imposto  ai tutti noi l’adesione al 5G  Huawei, sempre unilateralmente e senza discussione.
E  ancor prima che la povera Christine Lagarde salga sulla scomoda poltrona della BCE, il noto Jens Weidman, capo della Bundesbank, proclama pubblicamente: “Non sono disposto ad accettare la “nuova normalità” come  condizione permanente”: Intende che metterà tutto il suo peso a contrastare un nuovo  “quantitative easing”.
Senza fare però alcuna proposta reale alla situazione assurda, disperata e insostenibile  in cui anche la Germania – soprattutto la Germania – ha cacciato la moneta comune.   La sola cosa che  propongono, è che la BCE non compri più i titoli di Stati italiani, in modo che l’Italia vada  a indebitarsi sul mercato e –  fallisca; o che paghi ciò che  importa dalla Germania col suo oro.  Quasi non sapessero, non capissero, non volessero capire che la rovina che Weidmann ci  augura, trascinerà anche loro. La vogliono o no, quest’Europa, di cui sono i soli a trarre profitto ? Se no, perché non esercitano la loro egemonia in un coordinato e razionale smantellamento? No: vogliono e non vogliono allo stesso tempo. Fino al collasso che già si profila. Dando la colpa agli altri e cercando di tirare sul prezzo.
C’è qualcosa qui che supera la demenza;  una sorta di “scissione  di personalità” politica, una incapacità di decisione che si  accompagna all’imperiosità nell’imporre  i  propri più corti interessi,  che supera  le capacità di comprensione umana.
In questo frangente, ci è segnalata l’intervista televisiva che il nostro Enrico Letta (meglio: il “loro”,  l’esperto di imperatori romani stranieri) alla tv francese BFMTV: un esempio in più di sesquipedale idiozia.-
Se  si rompesse la UE, ha esalato Letta,  ciascuno dei  28 paesi dovrebbe scegliere fra diventare una colonia americana o una colonia cinese; i britannici, uscendo dal paradiso europeo, “hanno scelto di essere  una colonia americana”.
Come se oggi noi non fossimo una colonia tedesca, nelle peggiori condizioni  di oppressione – ed anche di sottosviluppo.   Quando Letta  aggiunge:  “Solo un’Europa unita può imporsi come terza potenza mondiale”,  naturalmente non vede la realtà: se prima si poteva dire dell’Europa che era “un gigante economico e un nano politico”, due decenni di governo austeritario tedesco  l’hanno  resa anche un nano economico rispetto alla Cina ed agli USA,  rimpicciolita e in ritardo tecnologico, impoverita di competenze e di ingegni.---

Nessun commento:

Posta un commento