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giovedì 11 luglio 2019

Fulvio Abbate - Fenomenologia di Francesco Bellomo, l’irresistibile canaglia (e della nostra invidia per lui)



(Fulvio Abbate – linkiesta.it) –
Chi, nella propria sciagurata vita, non ha mai incrociato, tra il bar delle medie, il gommista, il doposcuola, la cartoleria, il negozio di modellismo aeronavale, il distributore di profilattici e perfino la segreteria di collegamento dell’università o, dimenticavo, il clubino al mare, un soggetto puntualmente osservato, almeno dagli inconcludenti, con ammirazione assoluta, un tipo molto simile a Francesco Bellomo, Consigliere di Stato e preparatore per il concorso in magistratura, evidentemente non conosce l’imprevedibile, nella sua prevedibilità, archivio umano dell’esistenza comprensivo dei suoi molti viventi, e tutto questo ben aldilà del mestiere specifico che il Bellomo si è dato, si è scelto, si è assegnato, come già Bonaparte quando decide di incoronarsi da sé, non riconoscendo altro potere fuori dal proprio dominio.
Dell’ufficio che l’uomo ha deciso di occupare, abbiamo già detto, tuttavia, assai probabilmente, perfino se avesse scelto di gestire, che so, un’autoscuola o piuttosto una boutique, una salsamenteria o un negozio di ricambi auto, egli sarebbe ugualmente ricordato come uno che ci sa fare, per un semplice fatto di estro, di talento, di faccia tosta, di casellario giudiziale infine raggiunto, conquistato, abbattuto, meglio, senza contare l’indubbia convinzione di sé, un personaggio da dramma didattico di Bertolt Brecht, tipo “L’eccezione e la regola”....
Di Bellomo sappiamo che ha creato a propria immagine e somiglianza, se non a misura di foto segnaletica a venire, una Scuola di Formazione Giuridica Avanzata, la “Diritto e Scienza”, dove, in primo piano, almeno a giudicare le testimonianze di molte iscritte, “avanzata” si fa presto sinonimo di “avance”, doverose, quasi un modo di promuoverle, diplomarle, vidimarle, le ragazze iscritte, forse in nome di un presunto diritto personale che Bellomo garantisce a se stesso, prelazione sessuale sulle ragazze medesime, forse addirittura una sorta di Ius Primae Noctis rewind. Quanto alla “Scienza”, essa si riassume nel Bellomo medesimo, nella sua certezza di irresistibilità, cose da Mandrake, maestria di manipolazione, e qui manca solo il servitore con fez e pelle di leopardo.
Dall’altroieri, storia già nota, Bellomo è agli arresti domiciliari, ex Consigliere di Stato già travolto un anno fa dall’accusa di adescare ragazze attraverso le borse di studio del suo istituto, gli arresti domiciliari sono motivati “per maltrattamenti, estorsione e minacce”. Con lui è indagato anche l’amico ed ex pubblico ministero di Rovigo, Davide Nalin. Messi tutti in fila, gli episodi raccontati nell’ ordinanza – vittime quattro borsiste e una ricercatrice – sono una funambolica e incredibile combinazione di soprusi, manipolazione psicologica, sete di dominio e affermazione di sé, si racconta.
E ancora “maltrattamenti, estorsione e minacce”, vittime appunto le “sue” borsiste e ricercatrici, queste ultime più che frequentarne l’istituto, hanno addirittura ritenuto, almeno inizialmente, che fosse la porta migliore, più qualificata, l’arco trionfale per vestire infine la toga di magistrato. E che dire del quoziente intellettivo del titolare? Descritto come superiore.
In questa storia compare anche Giuseppe Conte, minacciato, anzi, stigmatizzato dall’ingordo Bellomo, di più, accusato di provare addirittura “invidia”, quasi tra i due potesse esserci un possibile antagonismo, una sfida, sempre in nome del carisma, del bottino sessuale, in che altro modo definirlo? Assai bizzarra sensazione, poiché se per un attimo, anche solo fantasmaticamente, accostiamo le rispettive figurine l’una accanto all’altra non sembra affatto che Bellomo e Conte possano mai competere nel medesimo girone o Mercante in Fiera, e questo sia dal punto di vista caratteriale e antropologico sia attitudinale, dai, appare davvero inconcepibile ritenere che acconciatura e allure di Conte, degni di quel “Mi permette, babbo!” incorniciato sullo schermo da Alberto Sordi, possano produrre invidia per il ménage da grande abbuffata di un Bellomo, meglio, di tutti i Bellomo della terra. Conte lo immagini, il dito indice a seguire i paragrafi dei codici rigo per rigo, o piuttosto, deferente, a stringere la mano ai frati e ai chirurghi davanti alle sale operatorie della “Casa sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo, come in un remake edificante di pellicola parrocchiale; quell’altro, il Consigliere di Stato, te lo vedi proprio assai di più in un privè, discoteca, luci di Wood, vaschetta colma di arachidi cui meschini inservienti hanno aggiunto del sale affinché aumentino consumazioni e dunque scontrini, le pupille sulle ginocchia o direttamente sullo spacco della gonna della selezionata, della prescelta, della preferita, premiata con un buono-uscita con il prof. Sembra di sentirgli dire “lo sai che sei molto interessante?” E la fortunata malcapitata: “… davvero, Consigliere?” E lui, Bellomo: “… ma potresti esserlo molto di più”.
Chi, nel tempo della propria adolescenza, non ha mai conosciuto soggetti così determinati, e poco importa che si facessero belli e ganzi di una moto enduro, o piuttosto di possedere una soffitta rivestita di seta indiana dove portare altri, anche lì scelti con cura, ad ascoltare, che so, un ellepì raro di Crosby, Stills Nash & Young, mentre agli “sfigati” (cit), toccava invece neon, gazzosa, fòrmica e muretto del bar “Luana”, così nell’attesa delle 10 di sera per ottenere, scontati, i bignè del giorno prima? Molti anni fa, trovandomi in Sardegna, uno scafato penalista, rivolto al paesaggio della Costa Smeralda al crepuscolo, da lui appena definito, “un grande scopatoio”, pronunciò queste altre esatte parole dirimenti: “Io, i truffati non li difendo, perché si sono fatti fottere, e dunque sono dei coglioni”.
Io, da parte mia, assai più modestamente, so che esiste un ampio pezzo di mondo che sicuramente scorge nel consigliere Bellomo un pezzo unico, da invidiare, e questo nonostante il soggetto ginnicamente parlando assomigli assai poco al modello e alla forma fisica del “playboy”, dello “chiavatore”(cit.), semmai, presso i professionisti del rimorchio muniti di “scannatoio” o “scortico” o che dir si voglia, potrà sembrare uno gnomo, faccia da formaggino, se non della foresta, di sicuro della pretura, non ne comprenderanno il talento, le arti seduttive, da diesel, il fuoco lento della dialettica; infatti, chissà, per lui bisognerebbe fare ritorno a personaggi degni di una leggendaria serie televisiva francese di molti anni fa, “I compagni di Baal”, dove il gran maestro capace di ipnosi e di custodire identità multiple, compresa quella del Conte de Saint-Germain, è lì a soggiogarne molti, compresa una ragazza rapita e tenuta in ostaggio nella sua casa che si affaccia sulla Senna e Notre-Dame.
Una sera, ospite di una trasmissione televisiva dedicata proprio alle prodezze di Bellomo, presente una delle sue malcapitate, quest’ultima non poté fare a meno di ricordare come tuttavia la scuola del nostro riuscisse, da vivaio, a produrre i migliori in campo, e mentre mi tornano in mente le sue parole, ritrovo anche ciò che la gip ha scritto di lapidario a proposito dell’intero caso: “… un legame elitario, modalità elettiva con cui si soggiogavano le vittime ponendole in una condizione di dipendenza psicologica”, si aggiunge poi che con lui tutte avevano avuto una relazione sentimentale, anche diverse contemporaneamente…
Nel sentire comune e profondo del baretto cui accennavamo prima, quegli altri, gli “sfigati”, gli altri che nel migliore dei casi nella vita sono riusciti professionalmente a sfangarla diventando informatori farmaceutici, forti di un’esperienza pregressa da tossici, penseranno, anzi, concluderanno con un “… chiamalo fesso, eh?”. D’altronde, se qui non vivi pericolosamente non vai da nessuna parte… Proveranno ancora a invidiarlo, intuendolo lì, nel già citato privè di discoteca, la giacca di pelle la t-shirt bianca, attorniato da ragazze vestite bene come ci si veste per uscire il sabato pomeriggio, lucidalabbra compreso, nel loro caso per consegnarsi al professore, e lui intanto a definire ciò che, con terrificante lessico ordinario, è detto dress-code, ossia la gonna molto corta, corta o sopra il ginocchio, morbida o stretta.
Poi le camicette o i maglioni: con maniche, senza, scollatura ampia oppure no. E ancora: “Gonne o vestiti di colore preferibilmente nero o, nella stagione estiva, bianco”. D’inverno “cappotto poco sopra al ginocchio o piumino di colore rosso o nero, oppure giacca di pelle. Stivali o scarpe non a punta, anche eleganti in vernice, tacco 8-12 cm, preferibilmente non a spillo. Borsa piccola. Trucco calcato o intermedio, preferibilmente un rossetto acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di colore chiaro o medio (no rosso e no nero)”.
Davvero strano che in una foto scattata proprio in un privè una ragazza indossi, imperdonabilmente, una maglietta rossa e un’altra ancora porti un camicetta turchese, sicuramente una smagliatura nel controllo sistematico operato dal Consigliere.
E ancora, una ragazza racconta di Bellomo che le dà un bacio sulle labbra, lei risponde infastidita e lui replica di non dare mai baci sulle guance bensì solo sulle labbra, lei, per liberarsi, aggiunge ancora di dover andare a casa dal fratello e Bellomo conclude che Lui, il prof, “viene prima di mio fratello”, e anche queste parole raccontano un quadro esemplare.
Chi non si è mai imbattuto in un soggetto così, convinto della proprie certezze, ma che dico, convinto tout court, alzi la mano, di più, torni al bar, alla sala biliardi, ritrovi il gommista della propria adolescenza, il barbiere, forse perfino la tavola calda, la tavernetta, il grottino, l’atrio della facoltà dove alcuni si rivolgevano agli altri chiamandolo “cullega cullega!” e ripassi in rassegna i sopravvissuti. Come direbbe il presunto invidioso Conte che esce dalla cripta di Padre Pio e si rassetta il fazzoletto bianco nel taschino, se questo è un consigliere di Stato.---

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