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mercoledì 10 luglio 2019

Da Wagner a Mùsorgskij: da l'oro del Reno a l'oro di Mosca


 

di Fabrizio Poggi
 
I fascio-leghisti di governo sono accusati di aver sollecitato per sé l’oro di Mosca. I liberal-fascisti della “opposizione” urlano che si tratta di un fatto “inquietante”. Questo perché non si tratta solo della “cessione di denaro da uno stato sovrano estero a un partito italiano”, ma soprattutto perché, dicono i demo-reazionari, vi sarebbe correlata la volontà dei fascio-leghisti “di cambiare l’Europa”, perché, dice la voce: «La nuova Europa deve essere molto più vicina alla Russia». Dunque, “bisogna chiarire subito in Parlamento”, gridano i social-patrioti, sperando che dal Pentagono e dalla NATO vengano in loro soccorso.
E al culmine dell'esaltazione lanciano la sfida: “Non si può tollerare il sospetto che il partito del ministro dell’Interno abbia bussato a quattrini al portone di una potenza nemica”.
Manca solo, a coronare cotanto afflato patriottico dei demo-atlantici, “il Piave mormorò”: anche allora si trattò, molto prosaicamente, di soldi di “una potenza nemica”: cento anni fa, per portare l'Italia in guerra, per passare dal Reno alla Senna; oggi, sembra (d'obbligo il segno della croce), per spostarla “più vicina alla Russia”, dal Potomac al Volga.
Se non altro, i demo-interventisti, forse toccati da un timido impulso di pudore, hanno taciuto sul “non passa lo straniero!”: è già in casa, da settant'anni, da Aviano a Camp Derby, da Sigonella a Napoli, da Vicenza a La Maddalena a Comiso; e non risponde in nulla allo “stato sovrano” italiano.
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