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domenica 23 giugno 2019

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma - CONTE STUDI: ALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE SI RISPONDE CON L’ABOLIZIONE DEL FISCAL COMPACT – Paolo Becchi e Giuseppe Palma

DAL VideoBLOG DI CLAUDIO MESSORA:   Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Nei confronti dell’Italia pende una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Di cosa si tratta?  La Commissione europea controlla che ciascuno Stato dell’Eurozona rispetti le regole stabilite dai Trattati dell’Unione e tra queste i vincoli di bilancio con essa concordati. Ma di quali vincoli stiamo parlando?  I Trattati istitutivi della Ue, da Maastricht a Lisbona, prevedono che ciascuno Stato dell’Unione possa raggiungere il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, ma sette anni fa un Trattato intergovernativo –  denominato Fiscal Compact o Patto di bilancio europeo – introdusse la regola del pareggio di bilancio (zero spesa a deficit) e la riduzione del rapporto debito pubblico/Pil al ritmo di 1/20 ogni anno. Un Trattato capestro firmato nel 2012 da Mario Monti e ratificato dall’allora maggioranza parlamentare Pd-Pdl (asse politico Alfano-Bersani-Casini).
Dal 2014 in avanti abbiamo peraltro fatto più di zero ma pur sempre meno di 3 nel rapporto deficit/Pil, mentre il rapporto debito pubblico/Pil – nonostante le pesanti misure di austerità inaugurate dal governo Monti – è continuato a salire, passando dal 116,4% del 2011 al 131,2% del 2017. Tutto tollerato sino a ieri…

La procedura di infrazione avviata nei nostri confronti dall’Unione è prevista dall’art. 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue): “Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti […]”. Tale procedura non si riferisce solo al disavanzo pubblico eccessivo (cioè il famigerato deficit annuale), bensì anche all’entità del debito pubblico, che sostanzialmente è la somma complessiva dei deficit annuali. Sul punto, come si accennato poc’anzi, il Fiscal Compact prevede una riduzione dell’ammontare del rapporto debito pubblico/Pil nella misura di 1/20 l’anno, fino al raggiungimento del 60%. Una cura da cavallo, infatti si tratterebbe per noi – seppur in linea teorica – di tagli selvaggi per circa 40 miliardi l’anno. Anche su questo però il Fiscal Compact non rispetta (per lo meno nei nostri confronti) i Trattati istitutivi dell’Unione, infatti il “Protocollo 13” allegato al Trattato di Maastricht, e confermato in quello di Lisbona, prevede, sì, che i Paesi membri avrebbero dovuto tenere a bada il rapporto debito pubblico/Pil nella misura del 60%, ma Italia e Belgio furono espressamente esonerati in quanto sarebbe stato difficile per loro rientrare entro tale parametro.
La lettera di risposta del Presidente del Consiglio Conte alla Commissione europea – al di là dell’apprezzabile sforzo di scriverla in italiano e non in inglese, e di ricordare alla Commissione che se continua così la Ue è destinata alla disgregazione – non fa altro che promettere una ulteriore riduzione del rapporto deficit/Pil (0,4% in meno) ed una contrazione del rapporto debito/Pil attraverso nuovi tagli alla spesa pubblica. Così non possiamo andare avanti. Continuare a tagliare significa erodere la ricchezza privata, anche perché – al netto degli interessi passivi sul debito pubblico – sono quasi trent’anni che tutti i nostri governi fanno avanzo primario, cioè spendono meno rispetto a quello che incassano dalla collettività. L’unica cosa da tagliare sono le tasse e subito.
Cosa dovrebbe fare dunque il governo per contrastare la procedura di infrazione e risollevare le sorti del Paese? Anzitutto denunciare il Fiscal Compact, che non fa parte né del diritto originario né di quello derivato dell’Unione, pretendendo il rispetto dei Trattati istitutivi della Ue (Maastricht e Lisbona). Sul punto, il secondo comma dell’art. 2 del Fiscal compact afferma  espressamente che “il presente trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i trattati su cui si fonda l’Unione europea e con il diritto dell’Unione europea”. Considerato che il Patto di bilancio europeo prevede zero spesa a deficit, quindi il pareggio di bilancio, e cancella la deroga per Italia e Belgio sul rapporto debito pubblico/Pil, è chiaro che non sia per nulla conforme ai Trattati istitutivi dell’Unione, i quali invece prevedono espressamente sia la possibilità per gli Stati membri di spingersi fino al 3% di deficit annuale sul Prodotto Interno Lordo, sia la deroga per il nostro Paese alla regola del 60% del rapporto debito pubblico/Pil.
Un Trattato intergovernativo come il Fiscal Compact non ha la forza costituzionale di derogare ad un Trattato istitutivo dell’Unione, quindi l’Italia potrebbe far valere in sede europea l’invalidità del Fiscal compact nei punti in cui esso contraddice i Trattati istitutivi. La Commissione europea lo ha capito per prima, tanto è vero che ha tentato più volte – per fortuna senza successo – di inserire il Fiscal compact nei Trattati istitutivi oppure nel diritto derivato dell’Unione (regolamenti e direttive). Ci riproverà anche in futuro. Ma al momento l’Italia ha questa importante carta da giocarsi. Sollevare in Europa il problema di un trattato intergovernativo “giuridicamente  nullo” e fare valere la sua posizione. Sia chiaro: non stiamo dicendo niente di nuovo, rispetto a quanto già sostenuto, con ben altra autorevolezza,  da Giuseppe Guarino, ma ci sembrava doveroso  ribadirlo oggi.
Liberarci del Fiscal Compact non significa soltanto togliere di mezzo la follia del pareggio di bilancio, significa anche riprendere nelle nostre mani la sovranità fiscale, completamente oppressa dal patto di bilancio europeo. È pur vero che, se tentassimo di sganciarci dal Fiscal compact, la BCE chiuderebbe i rubinetti facendo arrivare lo spread alle stelle, ma è altrettanto vero che in questo preciso momento storico siamo – diciamola così – particolarmente simpatici al governo americano.
Se non approfittiamo oggi – grazie al viaggio di Salvini – di questa favorevole alleanza su scala internazionale, domani potrebbe essere troppo tardi. Nella lettera che il Presidente del Consiglio ha inviato a Bruxelles c’è scritto che il governo italiano, benché ritenga determinate regole europee  sbagliate, si impegnerà a rispettarle. Errore, caro Presidente. E ci sorprende  che lei da giurista non si sia accorto, che noi le regole dei Trattati le stiamo rispettando e che il governo italiano da lei presieduto potrebbe sollevare di fronte alla Corte di giustizia dell’ Unione europea l’invalidità del Fiscal Compact eccependone la nullità in quanto non conforme ai Trattati istitutivi dell’ Unione. Questo dovrebbe fare l’”avvocato del popolo” se non vuole fare la fine di un Kerenski. Certe regole, come quelle del Fiscal compact  sono state fatte su misura da quelli che hanno sempre tentato di fregarci, complici i governi italiani del passato che le hanno sottoscritte. Un governo “sovranista” non deve chinare il capo. Diversamente sarà percepito dal popolo come la continuazione dei governi precedenti. E una volta che il popolo si convince di una cosa, è difficile fargli cambiare idea.

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