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mercoledì 15 maggio 2019

” Il direttore dei Servizi esteri russo :“Progettare un futuro globale senza l’Occidente.” alla Conferenza Internazionale di Mosca 2019

SakerItalia



Direttore del Servizio di intelligence estera della Russia, Sergei Naryshki, 

Pubblichiamo una traduzione integrale del discorso tenuto, il 25 aprile 2019 scorso, dal Direttore del Servizio di intelligence estera della Russia, Sergei Naryshki, alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Mosca (MCIS) (qui l’originalequiuna traduzione inglese del sito The Vineyard of the Saker)
Cari partecipanti alla conferenza!
Il contesto internazionale in cui si svolge questo incontro è estremamente complicato. Si tratta di un periodo qualitativamente diverso da quelli precedenti della Guerra Fredda e del breve trionfo dell’unipolarità americana. Il confronto tra potenze era allora teso, ma generalmente prevedibile, governato da un chiaro insieme di regole. Nel mondo di oggi, invece, il grado di confusione ed entropia sta crescendo rapidamente. I vecchi equilibri vengono infranti, le norme vengono riscritte e distrutte allo stesso tempo, e ciò non risparmia alcun ambito dei rapporti fra Stati.
La ragione principale di questo fenomeno è la riluttanza del cosiddetto Occidente, con a capo gli Stati Uniti, nel riconoscere l’irreversibilità della formazione di un mondo multipolare. Si vede chiaramente il desiderio dell’élite euroatlantica di restare aggrappata alla propria leadership, che fino a poco tempo fa sembrava non avere alternative. Il filosofo tedesco Walter Schubart, all’inizio del XX secolo, ha detto a proposito dei britannici che essi, a differenza di altri popoli, guardano al mondo solo come a una fabbrica, da cui estrarre profitti e vantaggi. Dal crollo dell’Unione Sovietica, abbiamo avuto l’opportunità di osservare come gli eredi storici e politici dei britannici — gli americani — hanno costruito e ampliato la loro fabbrica o, meglio, una corporation, che ora spreme profitti su scala globaleMolti paesi, come la Jugoslavia, l’Afghanistan o l’Iraq, hanno sperimentato sulla propria pelle questo “modello di business”....

Ma con l’inizio del nuovo secolo, qualcosa è andato storto per gli atlantisti. Gli stati e le nazioni hanno cominciato a ricordare a Washington, in modo via via sempre più brusco, di avere una propria soggettività geopolitica. Il cataclisma finanziario globale del 2008 ha messo a nudo le fragili fondamenta del sistema economico globale messo in piedi dall’Occidente. Ad oggi, non sono stati trovati nuovi modi di garantire una crescita economica elevata e stabile. Negli stessi paesi occidentali, la popolazione non era preparata né per le gravi conseguenze della crisi, né per gli esperimenti della propria élite nel campo del multiculturalismo e della sostituzione dell’identità tradizionale. Ne è prova il forte aumento di popolarità delle forze anti-sistema, nazionali e populiste. La società invia un chiaro segnale alle autorità, di sentirsi ingannata. E invece di ricevere una risposta adeguata, queste ultime borbottano di un mitologico “intervento esterno” e predispongono “cacce alle streghe”.
Molti dei suddetti problemi perderebbero la loro rilevanza se l’élite occidentale imparasse a considerare le relazioni internazionali non come un “gioco a somma zero”, ma come un modo per risolvere congiuntamente i problemi accumulati. Tuttavia, una società globale non può smettere di espandersi e impedire un calo dei profitti. Arriverà, piuttosto, a distruggere quel sistema legale internazionale e quella struttura di sicurezza che ritiene non più redditizie e utili a tali fini.
Incoraggiati da tali ragioni egoistiche, gli americani e i loro obbedienti alleati sempre più spesso ricorrono alla forza bruta per la promozione dei loro interessi, a scapito di ogni negoziato multilaterale. Orchestrano, a carte ormai scoperte, tentativi di destabilizzazione nella maggior parte delle regioni del mondo. Inoltre, sempre più spesso non solo agiscono solo in palese spregio delle norme del diritto internazionale, ma anche del semplice buon senso.
Ne è un chiaro esempio la situazione del Venezuela, che oggi è cinicamente sottoposto alle stesse tecniche di disgregazione già messe in atto in Libia o in Siria. La Casa Bianca insiste sui pericoli di una immigrazione incontrollata, spenderà miliardi per rafforzare il confine con il Messico e, allo stesso tempo, sta per provocare una nuova guerra civile, che causerà un’altra catastrofe umanitaria, stavolta quasi a casa propria. Una simile arroganza e autoinganno costituisce oggi una delle principali minacce per la sicurezza internazionale.
Ma una politica così spericolata non si manifesta solo in relazione al Venezuela (che gli Stati Uniti, a giudicare dal loro comportamento, considerano quasi un loro dominio). Gli Usa, il Regno Unito e i loro alleati più ligi nella NATO stanno gradualmente abbandonando ogni regola più elementare e ogni sistema multilaterale anche in questioni cruciali per la stabilità strategica, come il controllo degli armamenti e delle armi di distruzione di massa. Viene fatto strame del principio del libero scambio, fondamentale per il sistema finanziario ed economico globale da loro messo in piedi. Il diritto internazionale viene interpretato arbitrariamente, provocando attacchi militari sul territorio di Stati sovrani, uccidendo centinaia di migliaia di civili e imponendo sanzioni sui rivali geopolitici. Anche il concetto stesso di diritto è stato ridicolizzato, dopo che gli inglesi hanno cercato di far passare come giuridica la nozione di “altamente probabile” [“highly likely”, nel caso Salisbury, ndt], che è stata considerata sufficiente, dalle altre nazioni occidentali, per procedere all’espulsione di massa dei diplomatici russi (ottenendo una reazione corrispondente).
La decisione Usa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e le alture del Golan come territorio dello stato ebraico, in contrasto con le risoluzioni ONU, così come il ritiro unilaterale di Washington dall’accordo sul programma nucleare iraniano, minano gli sforzi collettivi per stabilizzare il Medio Oriente. Inoltre, risulta compromesso il principio stesso della risoluzione delle crisi attraverso i negoziati multilaterali. L’enfasi posta sull’uso della forza, senza riguardo alcuno ai principi di sovranità, integrità territoriale e non ingerenza negli affari di altri stati, è l’elemento base dei documenti programmatici dell’amministrazione Trump, che includono la strategia di sicurezza nazionale e la strategia antiterrorismo Usa
In un simile contesto, molte potenze regionali iniziano a comportarsi in modo più aggressivo, per esempio, per risolvere vecchie contese di confine o per rafforzare le proprie posizioni politico-militari. Si verifica una reazione a catena, in cui vengono ancora più erosi i meccanismi di risposta collettiva alle crisi. Al posto di un processo decisionale equilibrato domina l’impulsività e prende il sopravvento un approccio egoistico. Aumenta il rischio di “conflitti casuali”, che possono insorgere a causa di azioni unilaterali e non pianificate dei singoli attori e sono molto difficili da prevedere. Sempre più persone in tutto il mondo si trovano intrappolate in conflitti a vario grado di intensità. Di conseguenza, anche una piccola provocazione potrebbe essere sufficiente per innescare un conflitto globale.
Ricordate la prima guerra mondiale. Chi avrebbe mai pensato che le grandi potenze avrebbero mai voluto far partire una cosa del genere? Eppure vi caddero, letteralmente, tutte, pagando un prezzo di decine di milioni di vite e, alcune, scomparendo dalla mappa geopolitica del mondo. Cento anni fa, i leader di stato potevano giustificarsi con la mancanza di meccanismi legali per risolvere i conflitti fra nazioni nelle loro fasi iniziali. Oggi tali strumenti esistono, ma il cosiddetto Occidente, e soprattutto gli Stati Uniti, li distruggono costantemente, non offrendo nulla per sostituirli, se non bullismo o vuoti proclami sul rafforzamento dell’ordine liberale (in cui non crede più nessuno, nemmeno chi li lancia).
Una tale incoscienza è probabilmente spiegata dal fatto che gli Stati Uniti non hanno il trauma storico associato alla guerra che hanno altre nazioni, in primo luogo la Russia e i paesi europei. Ma il mondo moderno (a proposito, proprio in seguito agli sforzi degli stessi Stati Uniti) è diventato così interdipendente, piccolo e connesso, che persino l’Oceano Atlantico e Pacifico non possono più essere considerati una protezione certa dalle conseguenze di un possibile conflitto globale.
La Russia, che ha vissuto tre guerre devastanti negli ultimi cento anni, non si stancherà di insistere con gli altri membri della comunità internazionale affinché vengano cercate insieme le soluzioni ai problemi accumulatisi. Sfortunatamente, anche nelle aree in cui sono in corso tali negoziati, come la lotta al terrorismo o alla sicurezza delle informazioni, i partner occidentali continuano a tirarsi indietro. Ciò non significa, naturalmente, che dobbiamo interrompere ogni contatto, isolarci o isolarli. È necessario proseguire il dialogo, se non altro per impedire il crollo definitivo dell’attuale sistema internazionale, che tuttavia garantisce una stabilità strategica. Nella situazione attuale, è necessario prendere la via non della distruzione ma, piuttosto, del rafforzamento delle cornici globali e regionali.
Se l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, non ha abbastanza maturità e coraggio per muoversi nella direzione indicata, gli altri centri di potere dovranno progettare un futuro globale senza di esso. Per rimpiazzare l’antiquato universalismo liberale, deve sorgere un nuovo ordine mondiale, giusto e sostenibile. Deve essere definito in quelle condizioni e in quelle forme che possano garantire una duratura coesistenza di stati e associazioni regionali, pur mantenendo il diritto, per ciascuno di essi, al proprio sviluppo. Sono certo che quelle forze ragionevoli, presenti nei paesi occidentali, che sono consapevoli dei rischi per la comunità mondiale e che hanno un interesse elementare per l’autoconservazione, saranno sempre più parte attiva in questo processo.
I contorni del sistema del mondo che verrà sono ancora coperti da una nebbia di incertezza. Che si arrivi ad una vera unità nella diversità o che si tratti di una mera copertura per il potere di uno stretto club di paesi eletti dipende in gran parte dal nostro operato. La Conferenza di Mosca è un’eccellente piattaforma per questo tipo di lavoro, per approfondire la cooperazione nel campo della sicurezza globale e regionale.
Grazie per l’attenzione!
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Traduzione a cura di GogMagog

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