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martedì 21 maggio 2019

“Gli imbucati” di Marco Travaglio 21 Maggio 2019

Vedendo Carlo Calenda che s’imbuca all’adunata milanese di Salvini e dei suoi eurocamerati e molesta capannelli di leghisti in piazza Duomo, ci è tornato in mente il vecchio film Via Padova 46-Lo scocciatore, dove Alberto Sordi interpreta Gianrico, un giovane rompipalle, gemello del compagnuccio della parrocchietta di Mamma mia che impressione!.
La sua missione è perseguitare il vicino di pianerottolo, il signor Arduino alias Peppino De Filippo: ogni giorno Gianrico si apposta dietro l’uscio in attesa che esca per la passeggiata pomeridiana, al che gli s’appiccica addosso guastandogli il relax e insufflandogli negli orecchi con voce petulante i suoi problemi personali: “Sor Arduì, ho passato una notte d’inferno, m’ha mozzicato ‘na zanzara, ma proprio in un punto che nun me posso gratta’ né di qua né di qua: che me farebbe un grattino alla schiena, sor Arduì?”...

Cos’abbia indotto Calenda, che resta comunque un ex ministro e il capolista Pd alle Europee nel Nord Est, ad aggirarsi nella piazza leghista in uniforme da molestatore, con tanto di impermeabile, arpionando incolpevoli passanti intirizziti dalla pioggia per infliggere loro “un civile confronto di idee”, non è dato sapere.
Forse voleva vedere com’è fatta una piazza, esperienza unica nella sua vita. O provare l’ebbrezza di incontrare della gente, fenomeno rarissimo nelle iniziative elettorali del Pd e ancor più del suo movimento “Siamo Europei”.
O forse sperava in una contestazione, un paio di fischi, un insulto, mezza pernacchia, per poi fare il martire. Invece niente: a parte i più, che non l’hanno riconosciuto, qualcuno gli ha chiesto un selfie perchè lo vede sempre in televisione, altri l’hanno lasciato parlare. Da solo.
Il momento più straziante è stato il commiato, simile a quel che càpita nell’ascensore condominiale fra due vicini che si conoscono di vista e abbozzano qualche parola sul tempo che fa, ma poi la conversazione non decolla e guardano per aria, impazienti di arrivare al piano per levarsi dall’imbarazzo.
“Allora – avvertiva l’ex ministro – io vado, eh?”, nella segreta speranza che qualcuno lo trattenesse con un “Ma no, perchè mai, resti ancora un po’, faccia come fosse a casa sua”. Invece niente: Gianrico se n’è andato, insalutato ospite com’era arrivato, invocando “un faccia a faccia con Salvini sull’Europa dove vuole lui”, che non avrà mai.
Un scena di rara mestizia, che dà l’idea della crisi della sinistra (si fa per dire) nata nelle piazze e morta nei salotti. Non riuscendo a riempire manco una cabina telefonica, i suoi leader (si fa sempre per dire) si imbucano nei comizi altrui.
Un altro noto trascinatore di folle, Dario Nardella, sindaco di Firenze uscente e aspirante rientrante, s’è imbucato al saggio musicale degli allievi di una scuola media e s’è messo a suonare il violino coi ragazzi che lo guardavano incuriositi.
Che s’ha da fare per raccattare, o per perdere, qualche voto. Non riuscendo più a brillare di luce propria e non sapendo come si fa l’opposizione, questi disperati fanno come Zelig: rubacchiano un po’ di luce altrui, piazzandosi alle spalle di quello famoso e salutando con la manina a favore di telecamera.
Imbarazzante il caso di Renzi: siccome non se lo fila più nessuno, tenta di usare Salvini come Gabriele Paolini usa gli inviati dei tg. L’altro giorno, su Repubblica, ha riattaccato la solfa delle fake news origine e causa di tutti i suoi mali, poi ha aggiunto un particolare che, nelle sue aspettative, doveva terremotare la campagna elettorale: “Affermo pubblicamente che Salvini ha utilizzato parte dei 49 milioni per creare La Bestia, lo strumento di disinformazione della Lega. Sono curioso di capire se sarò querelato”.
Ma nessuno, tantomeno Salvini, se l’è filato di pezza. Allora lo stalker di Rignano ha cominciato a bombardare sui social: “In un’intervista ho detto che per me la Lega ha usato parte dei 49 milioni per creare la cosiddetta Bestia. Ho chiesto a Salvini: se non è vero, querelami. Ma con una strana argomentazione Salvini ha annunciato che non mi querela”.
La strana argomentazione è che non ha tempo per occuparsi di lui. Il guaio è che non ha tempo nessuno, così ogni sera questo morto di fama abbaia alla luna strillando: “Non so se avete notato, ma ho affermato pubblicamente una cosaccia su Salvini, eppure lui non mi querela, ma vi rendete conto, ma si può?”.
Purtroppo si può.
E purtroppo nessuno l’ha notato.
Alla fiera dello stalker partecipa pure l’altro Matteo, Orfini, di cui s’erano perse le tracce da un pezzo. Non sapendo più come far parlare di sé, s’è imbucato nello scandalo della sanità umbra, che ha portato la governatrice Catiuscia Marini a dimettersi, poi a votare contro le proprie dimissioni in Consiglio regionale, poi a ricoverarsi in ospedale, poi ad annunciare “mi dimetto quando voglio”, poi a comunicare che si dimette di nuovo, ma “appena la mia salute me lo permetterà”, e a patto che il Consiglio regionale gliele accetti, cioè che lei stessa non faccia brutti scherzi e non se le respinga una seconda volta.
Che c’entra Orfini in tutto ciò? Niente. Ma la Marini proviene, come lui, dalla corrente dei Giovani Turchi: tanto basta a Orfini per infilarsi nello scandalo altrui e guadagnarsi qualche titolo di giornale criticando Zingaretti per aver sollecitato le dimissioni della Marini e non di altri governatori Pd indagati, come il calabrese Oliverio.
Nessuno ha capito se Orfini auspicasse le dimissioni di entrambi gli indagati o di nessuno dei due, visto che tutti lo ricordano nello studio di un notaio a estorcere firme ai consiglieri comunali di Roma per far fuori il sindaco Marino.
Ma questi son dettagli. L’importante è che, almeno per un giorno, si riparla pure di Orfini.
Che me farebbe un grattino alla schiena, sor Orfì?
“Gli imbucati” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Maggio 2019

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