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giovedì 28 marzo 2019

L’ultimo regalo del Pd agli italiani: sette quintali di scarti radioattivi

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Il governo Gentiloni firmò un accordo per smantellare la centrale atomica europea di Varese. Lo smaltimento delle scorie costerà 45 milioni, che finiranno in bolletta. Ma per ora la struttura di stoccaggio nemmeno esiste


(di ILARIA PROIETTI – La Verità ) – 

Sorpresa! Nessuno o quasi se ne è accorto, ma l’Italia ha comprato un reattore nucleare: ce lo ha chiesto l’Europa e il governo Gentiloni, un anno fa ha detto sì, senza battere ciglio. Nonostante lo smantellamento degli impianti chiusi dopo il referendum del 1987 proceda al rallentatore, il nostro Paese a breve entrerà a tutti gli effetti in possesso di un nuovo sito atomico con la ratifica di un accordo internazionale che languiva, inattuato, dal 2009. Ora la ratifica in questione è all’esame della Camera e prevede che il reattore in questione sia demolito, a costo zero per le casse dello Stato, ma a carico dei contribuenti. Grazie a un codicillo inserito lo scorso anno nella legge di stabilità, che stabilì che entro quest’anno venissero consegnate le chiavi al ministro dello Sviluppo, del reattore Ispra 1 del Centro di ricerca dell’Unione europea con sede a Varese. Affinché Sogin, la società del Tesoro finanziata con i soldi delle bollette degli italiani, proceda al decommissioning dell’impianto e prenda in carico i rifiuti radioattivi in esso prodotti negli anni, per trasferire tutto al deposito nazionale delle scorie nucleari. Che, come noto, ancora non esiste.

Ma allora perchè acquistare altri rifiuti radioattivi? E soprattutto dove li metteremo (e a che prezzo) se il famoso deposito non sarà pronto per tempo?..
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Facciamo un passo indietro. Il 16 dicembre 2017, un sabato, mentre alla Camera era iniziato il rush finale per approvare la legge di Bilancio, il governo di allora – ormai agli sgoccioli – aveva infilato nel fascicolo degli emendamenti sei commi nuovi di pacca: tra le norme sulle autorità di bacino e quelle per incentivare la produzione dei bastoncini per la pulizia delle orecchie in materiale biodegradabile. E che dicevano queste misure dell’ultima ora, e nel silenzio generale, a Montecitorio dove la legge di Bilancio si trovava in seconda lettura? Che per onorare gli impegni con l’Europa bisognava assolutamente acquistare il vecchio reattore del Centro dell’Euratom con sede vicino al Lago Maggiore. Nel timore dell’apertura di un nuovo contenzioso con Bruxelles, stanca di aspettare che l’Italia mantenesse la parola data nel 2009: ossia mettere mano al portafoglio per disattivare l’impianto e provvedere al trattamento preliminare, il confezionamento, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi presenti nel sito.

Il costo stimato dell’operazione venne quantificato in 45 milioni di euro, direttamente caricati sulla bolletta tra gli oneri generali del sistema elettrico. L’emendamento in questione demandava poi al Mise il compito di provvedere entro un anno dall’entrata in vigore della legge di Stabilità agli adempimenti amministrativi relativi alle autorizzazioni e alle licenze necessarie ai lavori.

Nelle more la Sogin, titolare della licenza del reattore, avrebbe corrisposto al Centro di ricerca della Commissione europea il costo sostenuto per la custodia passiva dei materiali: un rimborso da 5 milioni di euro. Anche questo a carico della componente A2 della bolletta elettrica. Ossia la componente tariffaria con cui ciascun contribuente italiano già paga, mensilmente, per lo smantellamento dell’eredità nucleare italiana. E per mantenere in sicurezza un cimitero di rifiuti radioattivi diffuso praticamente lungo tutta le penisola in attesa di portarli tutti in un sito centralizzato. Di cui si favoleggia senza costrutto da anni: gli ultimi 20 sono serviti a mettere a punto una mappa delle aree idonee che dal 2015 è però chiusa a chiave al ministero dello Sviluppo economico.

L’Europa, peraltro, minaccia di spennarci su questa storia: a maggio di quest’anno la Commissione ha deferito l’Italia per la mancata trasmissione del programma nazionale di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi che abbiamo in parte mandato provvisoriamente all’estero. O che sono ancora conservati nei nostri impianti dove, mancando il deposito unico, è stato necessario costruire per ragioni di sicurezza alcuni depositi temporanei.

Ma cosa abbiamo comprato da Bruxelles?

A quanto è dato sapere, a Varese sono stoccati – in varie postazioni – circa 680 kg di combustibile irraggiato non ritrattabile, in forma di pellet, spezzoni di barrette, elementi di combustibile sperimentali, liquidi prodotti in 60 anni dal Centro di ricerca europeo. Nel frattempo, sempre a Varese, sono in corso di costruzione diversi impianti di gestione dei rifiuti al fine di trattare, caratterizzare, condizionare, confezionare e immobilizzare correttamente i rifiuti esistenti e i rifiuti derivanti dalle operazioni di smantellamento.

Ogni anno il programma di dismissione dei quattro centri di ricerca europea costa una tombola all’Unione europea: gli Stati membri attraverso il bilancio comune finanziano la gestione dei reattori comunitari di Karlsruhe (Germania), Petten (Paesi Bassi), Geel (Belgio) e appunto Varese. Che però adesso è tutto nostro. Inaugurato il 13 aprile del 1959 dal presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, e benedetto durante la cerimonia dal cardinale Giovanni Battista Montini, poi eletto al soglio pontificio col nome di Paolo VI, è ormai penale da anni.

Nel 2009 il governo italiano e la Comunità europea dell’energia atomica si accordarono per definire il passaggio di proprietà dell’impianto. Ma da allora nessun inquilino che si era succeduto a Palazzo Chigi, prima di Gentiloni, lo aveva mai formalizzato perché nel nostro Paese lo smantellamento dei siti nucleari è al palo: come detto non si sa dove portarli, ma è certo che la oro gestione costa cara. E il conto da pagare continua a salire.

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