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giovedì 10 gennaio 2019

“Che bel vedovo”, di Marco Travaglio - 10 gennaio 2019




(pressreader.com) – 
Quando Ivo Caizzi, inviato del Corriere a Bruxelles, ha accusato il suo vicedirettore Federico Fubini di aver diffuso la fake news della certissima, già decisa procedura d’infrazione all’Italia, abbiamo temuto di non leggere mai più i suoi euro-oracoli. Poi il direttore Luciano Fontana l’ha difeso e ci siamo rassicurati. Perché Fubini è per noi una bussola imprescindibile nella giungla dell’economia e della burocrazia europea. Quando annuncia che una cosa accadrà, significa che non accadrà. Quando assicura che uno perde, state pur certi che vince. Fubini sta alla Ue come Ferrara e Scalfari alle elezioni e Fassino ai 5Stelle. Imparammo ad apprezzarlo nel 2015, sul referendum in Grecia sull’accordo di austerità proposto dalla Troika a Tsipras. Gli euro-trombettieri si scatenarono per il Sì e Fubini era il loro profeta: “Il Sì in recupero”, “il Sì davanti al No”, “gli ultimi sondaggi danno una differenza fra i 40 mila e i 100 mila voti fra No e Sì”; “più folla alla manifestazione del Sì che a quella del No”; “se vincesse il Sì, come sembra possibile visto il panico nel Paese, Tsipras lascerebbe a un nuovo governo”. Tsipras – oracolava la sadica Cassandra – “sa che la sabbia nella clessidra scorre contro di lui” e “la Merkel l’ha lasciato fuori al freddo a bere fino in fondo la sua cicuta”. Nel malaugurato caso di un No, il Tiresia di via Solferino prediceva scene a metà fra The Day After e Il deserto dei tartari: “crollo del turismo”, “il Paese sprofonda nel caos”, “fallimento del sistema bancario”, “scontri a tutti i livelli, dai tribunali alla piazza”, “nessuno sale più all’Acropoli”, “i torpedoni dei turisti spariti”. Mancavano solo la peste bubbonica, le cavallette e il ritorno del Minotauro...
Poi purtroppo i greci si precipitarono a votare No (61%): forse non leggevano Fubini, forse lo leggevano ma non s’ingolosivano per il ritorno al potere dei ladroni di prima, da lui molto auspicato. E alla fine, incredibilmente, si tennero il premier che avevano eletto. Ma il nostro indovino era già partito per una nuova crociata: contro le fake news dalla Russia con furore, quelle che Putin detta, Di Maio&Salvini trascrivono e gli elettori eseguono. Roba forte, in grado di far vincere Brexit e Trump e di far perdere il referendum e tutte le elezioni a Renzi. Il sensazionale scoop, condiviso con altri ghostbuster di chiara fame, gli valse la prestigiosa nomina a 007 della Task Force Ue contro le Fake News (unico italiano ammesso, a parte il siculo-americano Johnny Riotta). Di lì il nostro segugio ebbe modo di smascherare i troll putinisti che da San Pietroburgo avevano diretto la campagna 5Stelle contro Mattarella.
E il Corriere poté titolare: “Così hanno attaccato il Colle. Usati anche server dall’Estonia. Ipotesi di un’azione coordinata tra esposti e tweet. Indaga l’Antiterrorismo”, “L’attacco al Colle via Twitter. Alcune ‘firme’ del Russiagate dietro i messaggi contro il capo dello Stato”, “Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a Mattarella”, “Interventi sulla politica italiana dai troll russi che spinsero Trump”. Il 27 maggio – rivelava Fubini – “lo slogan ‘Mattarella dimettiti’ conobbe una diffusione esponenziale, esplosiva”. Non perché Mattarella aveva rispedito a casa Conte per rimpiazzarlo con Cottarelli, ma perché “l’operazione venne coordinata con cura” con “snodi digitali anonimi”, tipo “la figura chiave Elena7617349”, una “molto abile” che “a volte scrive in inglese e si finge americana” (furba, lei), ma “altre volte però è italianissima: chiama Obama ‘negher’” (non so se mi spiego). Poi purtroppo dovette ammettere: “È impossibile sapere se i troll russi abbiano avuto un ruolo nell’ultima campagna contro il capo dello Stato”. Cioè: erano tutte balle.
Però si consolò annunciando per tutta l’estate-autunno le dimissioni di Tria (che naturalmente è sempre al suo posto) e denunciando in ottobre i conflitti d’interessi di Savona col fondo Euklid (da cui purtroppo si era dimesso a maggio). La grande riscossa arrivò con la madre di tutte le battaglie: quella fra l’amata Ue e i putribondi gialloverdi sul 2,4%. Fubini sentì odor di Grecia e perse la testa, scambiando la sua innata sete di sangue per la realtà. Ma, mentre lui istigava la Commissione a tener duro e a preparare il plotone d’esecuzione per i maledetti populisti, Conte andò su a trattare e l’agognata fucilazione parve sfumare. Allora, il 1° novembre, Fubini se ne incaricò personalmente con la prima raffica di mitra: “Deficit, pronta la procedura Ue. La decisione attesa per il 21 novembre”. Invano, da Bruxelles, Caizzi avvertiva che tutti lavoravano al compromesso e veniva confinato in trafiletti invisibili, mentre Fubini – assunto ormai il comando dell’intera Europa – dava la linea: “Nessun passo verso un compromesso, nessun vero negoziato”. Se Conte e Tria facevano la spola con Bruxelles, era per turismo. Poi purtroppo le euro-pappemolli, incuranti delle sue esortazioni alla pugna, cedettero e l’inesistente negoziato produsse l’impossibile compromesso al 2,04. Ma il Corriere non gli dedicò una riga in prima. Sennò Fubini, vedovo inconsolabile, non avrebbe potuto seguitare a scrivere, ultimo giapponese di una guerra ormai persa: “L’Ue all’Italia: così non basta, altri 3 miliardi di risparmi. Resta il rischio della procedura d’infrazione sin da domani. Lo spettro dell’esercizio provvisorio”. Che naturalmente non si verificò. Da allora, del nostro Cavaliere dell’Apocalisse si son perse le tracce. L’ultimo avvistamento lo segnala a Bruxelles, nelle segrete dell’apposita Task Force, a caccia di fake news (altrui). Come Woody Allen nei panni del detective C. W. Briggs (La maledizione dello scorpione di giada), che indaga su certe rapine misteriose e alla fine si scopre che il ladro è lui.
“Che bel vedovo”, di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2019

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