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mercoledì 23 gennaio 2019

“Bel suol d’amore”, di Marco Travaglio - 23 Gennaio 2019




(pressreader.com) –

 Non è vero che i partiti italiani di maggioranza e di opposizione non abbiano più un minimo comun denominatore. Uno ce l’hanno: l’allergia, comune e trasversale, al principio di realtà.
Nessuno, né i pupulisti né gli antipopulisti, vuole arrendersi all’idea che la politica sia l’arte del possibile. Se ne stanno accorgendo i leghisti, che han visto sfumare la flat tax, l’abolizione delle accise e l’espulsione dei 600 mila clandestini (che poi nessuno sa quanti siano davvero), perché non ci sono i soldi e mancano gli accordi di rimpatrio. E se ne rendono conto i 5Stelle, che han dovuto rinfoderare i proclami anti-Tap (c’è un trattato internazionale, con possibili penali), anti-Terzo Valico (non serve a nulla, ma purtroppo è in fase troppo avanzata) e anti-Ilva (10 mila operai non si riconvertono con una diretta Facebook). Perciò era giusto che due movimenti che negli ultimi sette anni si erano gonfiati a dismisura all’opposizione fossero messi alla prova del governo. Ma ora che gli anti-sistema fanno i conti col sistema e scoprono la necessità dei compromessi, i partiti di sistema che avevano governato per 25 anni vengono contagiati dall’utopismo irresponsabile che era dei loro avversari. Come quei vecchietti un po’ rincoglioniti che, di botto, regrediscono all’infanzia...

Il Pd marcia in ordine sparso verso il congresso con tre o quattro aspiranti segretari (più quell’anima in pena di Calenda) che non si capisce che cosa vogliano né perché siano l’un contro l’altro candidati, visto che dicono tutti le stesse cose: giurano di combattere questo governo orripilante, che peraltro 9 mesi fa fecero di tutto per rendere inevitabile, ma non precisano cosa vorrebbero al suo posto. A parte, si capisce, un bel monocolore Pd. Che però è dato fra il 15 e il 17%, dunque dovrebbe triplicare i voti o trovare un donatore di almeno 30 punti per avere la maggioranza. Il principio di realtà dovrebbe indurre questi buontemponi a fare ciò che tutti fanno nelle democrazie parlamentari con legge elettorale proporzionale (peraltro voluta da loro): scegliersi un interlocutore, possibilmente fra quelli esistenti in natura, e convincerlo a dialogare con loro con una proposta che non si possa rifiutare. “Né con la Lega né col M5S”, “Di Maio e Salvini pari sono”, “Mai con le due destre” sono splendidi slogan per trattenere gli elettori superstiti. Ma, siccome le uniche due forze vicine al 30% sono la Lega e il M5S, o il Pd ne sceglie una, o resta a guardare per almeno 10 anni. Nel frattempo, magari, chi considera Conte il prestanome delle “due destre” avrà modo di rimpiangerlo.
Perché c’è pure il caso che al governo ci vadano per davvero le due destre, che sono la Lega e Forza Italia (tralasciando la terza: quella neorenziana di Calenda&C.). Due anni fa il Pd, dopo tante giaculatorie, aveva finalmente scoperto con Marco Minniti al Viminale il principio di realtà sul grande tema dei migranti. Per anni aveva opposto il mantra inconcludente dell’“accogliamoli tutti” e dei “porti aperti” (solo i nostri, grazie agli accordi-capestro di Dublino) a quello speculare dell’“aiutiamoli a casa loro” (i “piani Marshall” mai visti e le “cooperazioni” che arricchivano solo le corrotte classi dirigenti africane e nostrane). Poi nel 2017 decise che era meglio, o meno peggio, farsi ricattare da una sola Libia stabilizzata e controllabile dall’Ue che da un’accozzaglia di milizie e tribù in perenne guerra fra loro e contro di noi. Ora che quella politica la prosegue il governo gialloverde, con toni diversi (quelli sgangherati e xenofobi di Salvini, quelli istituzionali di Conte e Moavero, quelli pencolanti del M5S a seconda che parli Di Maio o Di Battista o Fico), ma senza deviazioni sostanziali, si è tornati all’anno zero: quando tutti pontificavano, nessuno (cioè Alfano) muoveva un dito e il Mediterraneo era una tonnara con mattanze quotidiane di esseri umani. Eppure quella politica spregiudicata finché si vuole, a costo di pagare il pizzo sottobanco ai due governi libici e forse anche a qualche milizia e di rimettere in riga le Ong usate dagli scafisti come nastri trasportatori, un successo l’ha ottenuto: ridurre drasticamente i morti in mare.
Certo, era impensabile che in due anni un (non) Stato canaglia come la Libia diventasse una democrazia modello, rispettosa dei diritti umani e pronta per le elezioni. Ma il principio di realtà indica che non esistono piani B rispetto a un paziente lavoro di costruzione di uno Stato, condizionando gli aiuti a un minimo sindacale di diritti umani, con un’azione unitaria dell’Europa (ora in ordine sparso, grazie al neocolonialismo francese).
I naufraghi, se possibile, vanno salvati tutti. Ma l’idea che ogni migrante che affoga in acque libiche sia stato ucciso dall’Italia o dall’Europa è assurda. Intanto perché gli assassini sono i trafficanti di esseri umani che li reclutano nei villaggi promettendo l’Eldorado, li caricano su carrette del mare pericolanti e li usano per ricattare l’Italia e la Ue aprendo e chiudendo il rubinetto delle partenze. E poi perché, per assumere il controllo delle acque territoriali libiche, stazionarvi con navi europee pubbliche o private, imporre a quello Stato sovrano hotspot in loco per separare i profughi dai migranti economici, allestire corridoi umanitari e legali verso l’Europa, bloccare le partenze illegali, salvare i naufraghi e arrestare i trafficanti, non c’è che una soluzione: invadere la Libia manu militari e insediarvi un governo Quisling come ai tempi di Tripoli bel suol d’amore.
Sarebbe una ricetta piuttosto curiosa, per i paladini della democrazia e i nemici del fascismo. Ma chi ancora non distingue l’Italia dalla Libia dovrebbe decidersi: o vuole la colonizzazione, come il Duce, o vuole la pace nel mondo, come Miss Italia.
“Bel suol d’amore”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 23 Gennaio 2019

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