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giovedì 6 dicembre 2018

la Verita-Maurizio Belpietro: “Il Pd è morto i funerali al congresso”

Maurizio Belpietro – la Verità) – 
È ufficiale: il Pd è morto. Da anni in agonia, attorno al capezzale del principale partito della sinistra nel tempo si sono alternati in tanti. Tuttavia il consulto non è servito a evitare la prematura dipartita. La cara salma sarà traslata nei prossimi mesi in un congresso, ove con tutti gli onori del caso saranno celebrate le esequie. In genere a dare annuncio del triste evento sono i più stretti parenti del defunto e, come da consuetudine, ieri i nomi più familiari del Partito democratico non si sono sottratti al triste rito.
Marco Minniti, ex ministro dell’ Interno e tra i più autorevoli candidati alla successione di Maurizio Martina, ha fatto circolare su mezza stampa italiana la notizia che intende ritirarsi dalla corsa per l’elezione del segretario. Pur senza aver rilasciato una sola dichiarazione, l’ex capo del Viminale ha consentito che si scrivesse della sua irritazione per il comportamento di Matteo Renzi, il quale dopo averlo spinto al gran passo della candidatura si prepara a uscire dal Pd per fondare un suo movimento in concorrenza con la casa madre....

L’ex componente della banda dei Lothar (attorno a Massimo D’ Alema, all’ epoca presidente del Consiglio, c’ erano, oltre a Minniti, Fabrizio Rondolino, Nicola Latorre e Claudio Velardi) si sarebbe sentito preso per i fondelli. Convinto non si sa da chi, forse dall’ ambizione, a scendere in campo, l’ex ministro rischia di partecipare a una corsa fratricida per poi ritrovarsi alla guida di un partito striminzito, che privato della presenza dei renziani ha buone probabilità di finire sotto il 10%.
Minniti a questo punto medita il passo indietro, lasciando che a scannarsi sia il duplex Martina-Richetti contro il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Una corsa tra perdenti, perché se da un lato pur mettendosi in due Martina e Richetti non fanno un segretario, dall’ altra il fratello del commissario Montalbano non va molto lontano dal 20% della sinistra interna che, se raffrontato ai voti dell’ intero Pd, significa un 4% scarso. Insomma, gli aspiranti leader del grande partito della sinistra sono dei lillipuziani in fatto di consensi ed è difficile immaginarli alla guida di una futura coalizione di centrosinistra.
Tuttavia se il Pd lo si può dare per perso, altrettanto si può dire del resto, in particolare del futuro partito di Renzi. Che l’ex presidente del Consiglio ed ex segretario lavorasse a una Cosa sua, senza più doversi confrontare con le minoranze e con le direzioni centrali è cosa nota. Fummo proprio noi, sulla Verità, a parlarne per primi e addirittura a segnalare la nascita dei comitati civici.
Il disegno è chiaro: se non può più essere segretario del Pd, neanche per interposta persona, Renzi vuol fare il segretario di un altro partito. La poltrona di lìder maximo il Rottamatore l’ha dovuta lasciare a causa delle troppe sconfitte, ma fosse stato per lui non se ne sarebbe andato. Nei mesi seguiti all’addio, Renzi ha provato a cercare di fare il segretario per interposta persona, imbullonando i suoi uomini alle poltrone chiave, ma poi deve aver capito che l’operazione non gli sarebbe riuscita.
Minniti, che doveva essere il prescelto per fare il burattino del senatore semplice di Scandicci, ha dimostrato una propensione a fare di testa propria che l’ex segretario non ha gradito. Dunque ha tirato fuori il vecchio progetto di un partito suo, alla Macron. Che lo faccia quando il presidente francese con il suo En marche si avvia sul viale del tramonto dovrebbe essergli di monito, ma come si sa Renzi non ha il dono di farsi dare lezioni da altri, fossero pure gli sconfitti. Risultato, anche lui vuole mettersi in marcia.
Nessuno sa dire in quale direzione: forse a destra, per conquistare un po’ di voti berlusconiani (per lo meno quelli rimasti), forse al centro, per recuperare gli elettori moderati che non votano più. A sinistra no, perché lì sono rimasti quattro gatti e il fallimento di Liberi e uguali lo dimostra.
Renzi ci prova. Nei suoi piani lui vorrebbe prendere di più del Pd, per dimostrare di avere ancora la maggioranza e di essere l’ unico che può guidare ciò che resta della sinistra. I sondaggi gli attribuiscono una percentuale attorno al 10-12%, probabilmente superiore al 10% che potrebbe prendere il Pd senza di lui. In realtà, finora le scissioni non hanno mai portato fortuna a chi le ha volute.---
Senza andare con la memoria ai tempi passati, quando a dividersi erano i comunisti o i socialisti, basta ripensare alla storia recente. Cossutta e Diliberto una volta lasciata Rifondazione comunista sono spariti dalla scena politica. La stessa cosa si è ripetuta con D’ Alema e Bersani di recente. Non meglio è andata a Gianfranco Fini che capitanò Futuro e libertà.
Casini, pur senza fondare un partito, è affondato da solo e ha dovuto chiedere asilo politico a Renzi dopo essere stato presidente della commissione sulle banche. Insomma, separarsi non porta bene e il rischio di partire con i sondaggi che ti danno al 12% per finire al 6 non è da sottovalutare. Comunque vada, una cosa è certa: se il Pd è morto, chi lo ha ucciso non sta meglio del partito. I titoli di coda si avvicinano.

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