Il potere rivendicato dalla BCE, inteso a soverchiare le leve fiscali degli Stati e la loro politica economica, a partire dall’Italia.
Redazione[Pino Cabras] 29 ottobre 2018megachip.globalist.it
Riporto qui di seguito due articoli, rispettivamente di Giuseppe Masala e Simone Santini, che commentano le dichiarazioni del presidente della BCE Mario Draghi in merito al potere rivendicato dalla Banca Centrale Europea, un potere inteso a soverchiare le leve fiscali degli Stati e la loro politica economica, a partire dall’Italia. Mi riservo alcune annotazioni in coda agli articoli.
1) Viviamo in un regime di ‘Monetary Dominance’?
di Giuseppe Masala.
Mentre tutti si stracciano le vesti per le accuse di Luigi Di Maio a Mario Draghi ("Avvelena i pozzi") generando panico, nessuno si interroga sulle gravissime parole del professore Draghi espresse ieri a Francoforte. Secondo il Presidente della BCE, osannato da tutte le testate di giornale e da tutte le tv, vivremmo in un regime di “dominanza monetaria”....
A me risulterebbe altro: la Banca Centrale Europea (così come all'epoca la Banca d'Italia) agisce in indipendenza e autonomia. Ma un "regime dimonetary dominance" è un'altra cosa: è la subordinazione delle politiche fiscali poste in essere dalle Istituzioni democraticamente elette alle autorità monetarie e dunque ai tecnocrati delle banche centrali. Inutile sottolineare che per qualunque scelta politica del governo democraticamente eletto sono necessarie le risorse poste a disposizione dalla leva fiscale per diventare realtà pratica e concreta. Dire dunque che siamo in un regime dimonetary dominance significa dire chiaro e tondo che viviamo sotto la dittatura dei banchieri centrali. Dittatura ormai peraltro pubblicamente e platealmente rivendicata.
Inutile sottolineare che siamo di fronte ad una rivendicazione di qualcosa che già è stato ostentatamente e pubblicamente rivendicato dalla BCE nel 2011: le lettere con filma in calce del Presidente Trichet per quanto riguarda la Spagna e a doppia firma del Presidente Trichet e di quello entrante Draghi per quanto riguarda l'Italia. Missive dove si elencavano i provvedimenti che i Governi dovevano porre in essere se volevano evitare la crisi fiscale grazie all'intervento della BCE. Incidentalmente, quell’intervento sarebbe stato peraltro dovuto e non condizionato, visto che i Draghi stanno lì a fare quello: evitare le crisi di liquidità dei sistemi bancari dei paesi aderenti all'eurosistema.
Ma il punto non è manco quello: il punto è che almeno in Italia (in Spagna non mi pronuncio non avendo la più pallida idea) la Costituzione non dà alcun predominio (alcuna monetary dominance) alla banca centrale sulle istituzioni democraticamente elette. Anzi, per il vero, le mie umili resipiscenze della Costituzione Italiana mi suggeriscono che la Banca Centrale non è manco nominata.
Qui invece siamo alla smaccata rivendicazione della Sovversione dell'Ordine Democratico e Costituzionale. Non mi risulta manco che i trattati europei ai quali l'Italia ha aderito conferiscano una "monetary dominance" alla BCE.
Insomma siamo di fronte ad una cosa che se fossero stati vivi Togliatti, Pertini, Saragat e Lussu a Draghi queste parole sarebbe costate carissime. Ma non mi viene manco difficile ipotizzare che questo principio della "monetary dominance" avrebbe spinto anche Aldo Moro - persona notoriamente pacifica - a perdere le staffe.
Mario Draghi è un pericolo reale e concreto per la democrazia e va fermato (democraticamente). Chi non lo capisce è complice.
Note
Il Sussidiario, Di Maio contro Draghi, “avvelena il clima” (...)
2) Di Maio versus Draghi
di Simone Santini.
Nella polemica tra Di Maio e Draghi ha ovviamente ragione Di Maio. O, meglio, ha ragione Paolo Savona.
Draghi avrebbe dovuto distinguere i rischi del sistema Italia e distinguere quali sono le possibilità di intervento della BCE. Avrebbe dovuto correttamente dire che l'aumento del pagamento degli interessi sul debito (semplificato ormai urbi et orbi nello "spread") è un problema di medio-lungo periodo che riguarda lo Stato italiano e su cui la BCE non interverrà.
Ma dallo stesso problema deriva un rischio per la tenuta del sistema bancario italiano e quello È PIENAMENTE un rischio di competenza della BCE.
Invece che gettare dubbi allarmistici ("avvelenare il clima", locuzione perfetta) Draghi avrebbe dovuto dire che è compito della BCE evitare che il sistema bancario italiano entri in crisi.
Alla obiezione che gli sarebbe stata posta, ovvero che per evitare ciò, gli strumenti a disposizione della BCE sono gli stessi che impedirebbero allo spread di aumentare, ab origine, (e quindi avrebbe finito per aiutare lo Stato italiano, ciò che non è suo compito) Draghi avrebbe dovuto e potuto correttamente dire: "La BCE farà solo quanto sarà necessario. E sarà sufficiente". Fine della storia. Lo spread sarebbe tornato a 200 nel giro di pochi giorni e lì sarebbe rimasto fino alle elezioni europee.
Perché Draghi non l'ha fatto? La risposta è semplice. Draghi non è lì su quella poltrona a Francoforte come italiano o finto italiano. Non deve dare giudizi tecnico-economici (che il presidente della BCE debba essere un economista è, in fondo, un incidente di percorso). Draghi compie azioni POLITICHE e presidia un POTERE POLITICO che è quello eminentemente oligofinanziario. Ragiona come un politico che detiene un potere. Ma in questo scontro di potere in atto è, al momento, dalla parte del clan perdente (i poteri oligofinanziari non sono un monolite, anzi, si scontrano spesso - continuamente - al loro interno) o forse sarebbe più corretto dire, deve tenere in equilibrio più piatti sull'asticella come un bravo funambolo.
Per cui, all'Italia va data libertà di manovra ma al tempo stesso la si deve tenere al guinzaglio, un guinzaglio né troppo stretto, né troppo lungo. Hai visto mai, infatti, che al cagnolino Italia cominci a piacere un po' troppo la libertà?
ANNOTAZIONI
di Pino Cabras.
I due articoli sopra esposti, in modi diversi, sottolineano un elemento decisivo del ruolo della BCE e di chi la incarna: la Banca Centrale Europea non funziona secondo astratte regole ispirate da oggettiva razionalità economica, né come una tipica banca centrale. È semmai un organo che piega i rapporti di forza rispetto agli Stati usando criteri di dominio squisitamente politico.
Per interpretare questa situazione mi aiuta un libro che ho appena letto, un saggio del 2000 intitolato Alla ricerca della sovranità monetaria”, scritto dall’economista e attuale ministro Paolo Savona.
Savona evidenzia innanzitutto che «è sovrano chi decide e impone la sua volontà, con la forza, con la legge o con la creazione di uno stato di fatto». Mi viene da ricordare che fu Carl Schmitt a dire che «la sovranità significa capacità di dichiarare uno stato d’eccezione» (Ausnahmezustand). L’organo in grado di emanarlo è l’organo sovrano per eccellenza. Nell’epoca delle crisi finanziarie che possono portare a strangolare governi e Stati da parte di pochi soggetti inflessibili che stabiliscono inesorabilmente cosa sia emergenza, quei soggetti assumono una preponderanza che non si fa scrupolo di ignorare e capovolgere le decisioni che provengano invece da soggetti di emanazione democratica. Tutti ricordano il referendum greco del 2015, che rigettava le condizioni capestro della trojka, e tutti ricordano come Draghi fu spietato nel chiudere i rubinetti alle banche elleniche fino alla totale capitolazione del governo Tsipras.
Savona evidenzia innanzitutto che «è sovrano chi decide e impone la sua volontà, con la forza, con la legge o con la creazione di uno stato di fatto». Mi viene da ricordare che fu Carl Schmitt a dire che «la sovranità significa capacità di dichiarare uno stato d’eccezione» (Ausnahmezustand). L’organo in grado di emanarlo è l’organo sovrano per eccellenza. Nell’epoca delle crisi finanziarie che possono portare a strangolare governi e Stati da parte di pochi soggetti inflessibili che stabiliscono inesorabilmente cosa sia emergenza, quei soggetti assumono una preponderanza che non si fa scrupolo di ignorare e capovolgere le decisioni che provengano invece da soggetti di emanazione democratica. Tutti ricordano il referendum greco del 2015, che rigettava le condizioni capestro della trojka, e tutti ricordano come Draghi fu spietato nel chiudere i rubinetti alle banche elleniche fino alla totale capitolazione del governo Tsipras.
Savona, già nel 2000, ripercorrendo la storia della moneta nella penisola italiana nei secoli spiegava le varie forme di sovranità. Possiamo vedere la sovranità monetaria in un senso stretto, molto tecnico, ma anche in senso lato, di tipo storico politico. «Con il primo s’intende il potere e la capacità dei governanti di fissare il prezzo (cioè il tasso d’interesse) o, alternativamente, la quantità di moneta. Con il secondo, la capacità degli stati di fare scelte di governo, indipendentemente dall’influenza estera, sia di tipo politico generale, sia di tipo strettamente monetario e finanziario».
Ecco, le scelte di governo tengono conto di una «influenza estera». Savona sottolinea la questione in modo ancora più preciso: «il tema della sovranità monetaria si lega ormai strettamente a quello della foreign dominance(cioè del dominio esterno, ndr), e non a quello della fiscal dominance (cioè del dominio fiscale, ndr)». Anche se un paese dispone di una Banca centrale indipendente dal governo e dai suoi obiettivi di politica fiscale non è detto che riesca a essere pienamente “sovrano” sul piano monetario: sono tanti i fattori che stanno fuori dai confini nazionali e sono in grado di alterare le sue condizioni economiche.
Draghi, nelle sue ultime dichiarazioni, non ha fatto altro che ribadire che la cessione della sovranità economica a quella particolare forma di foreign dominance rappresentata dalla BCE implica un vincolo strettissimo, un condizionamento che va a detrimento di ogni pretesa di politica economica progressiva contenuta in decine di articoli della Costituzione repubblicana. Perciò male fa Marco Travaglio a leggere in queste dichiarazioni del presidente BCE qualche ciambella di salvataggio. Lui che è sempre attento ai precedenti, dovrebbe essersi accorto che quando Draghi tira un salvagente, alla fine si rivela un cappio.
Dunque lo scontro fra Roma e Bruxelles (e Roma e Francoforte) non potrebbe essere più politico di così. Non è un caso che accada ora. Il contratto di governo fra M5S e Lega mette insieme due formazioni assai diverse fra di loro. Eppure, prima del giorno in cui le strade si divideranno di nuovo, un punto di accordo è chiarissimo, come sempre accade in casi di alleanze fra soggetti molto diversi: e questo punto è che le due forze politiche vogliono restituire alla Repubblica italiana i mezzi, i metodi, gli istituti occorrenti a fare autonomamente politica economica, ossia tutti gli strumenti per i quali la Repubblica è stata invece da molti anni esautorata dall’attuale struttura istituzionale europea, che ha favorito un impoverimento sempre più grave dei cittadini e della cosa pubblica, con un progressivo svuotamento della sovranità popolare.
Altre sponde forti sembrano non essercene, fra le forze politiche italiane. Sarà un passaggio difficile che richiederà molti sforzi paragonabili a quello di Paolo Savona, nel momento in cui – con il documento “Una politeia per un’Europa diversa” - delinea un modo nuovo di avere il «perseguimento del bene comune europeo». Un ordine delle cose contro cui Draghi e i suoi amici lotteranno con ogni energia in nome della monetary dominance.---
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