Quante rotture di unioni monetarie sono avvenute dal 1918 in poi? Risposta: 67. Precisamente 67 paesi hanno esercitato il loro diritto sovrano di uscire da una zona monetaria che vivevano come opprimente.
Si va dall’Algeria che uscì dal franco francese nel 1969 a Malta che abbandonò la sterlina nel 1971, dalla Slovenia e Croazia che si staccarono dalla “Jugoslavia” e dalla sua moneta nel 1991. La dissoluzione dell’impero austro-ungarico nel 1918 ha visto l’Austria farsi la sua moneta e i paesi che ne facevano parte farsi le loro, senza particolari traumi. Cechia e Slovacchia si sono monetariamente divise di comune accordo nel 1992, senza subire le apocalissi, stermini e rovine che profetizzano i media europeisti e i Beppe Severgnini: e sì che sono paesi piccolissimi. La rottura della zona del rublo nel collasso dell’Unione Sovietica è del ’92 – e benché abbia avuto gravi conseguenze per la Madre Russia, non è stato per ragioni di frattura monetaria, e i paesi che si sono distaccati dal rublo (a cominciare dai baltici) se la cavano benino.
Nessuna unione monetaria dura...
Soprattutto, la storia insegna questo: che tutte le unioni monetarie si sono prima o poi spezzate. Lo si ricava da uno studio importantissimo, grandioso, di un notevole economista (e banchiere d’affari) danese, Jens Nordvig. Un testo di 116 pagine molto dense e a tratti necessariamente tecniche. E’ uno studio del 2012, e benché sia spesso citato per esempio da Alberto Bagnai, è per lo più sconosciuto alle opinioni pubbliche, perché i media – accortamente – non l’hanno mai divulgato.
Anche l’Italia è nella sua storia uscita da una unione monetaria. Se Nordvig non si fosse limitato al ‘900, ne avrebbe parlato sicuramente: avvenne nel 1865, quando il regno savoiardo creò una zona monetaria latina con il Belgio, la Francia di Napoleone III e la Svizzera, a cui si unì poi la Grecia, e più tardi la Serbia; la Spagna ne adottò i principi, anche se non formalmente, non riuscendo a garantire l’adeguato livello di denaro circolante in funzione delle sua riserve di oro ed argento (vigeva il Gold Standard).
All’epoca, una notevole porzione dell’economia europea, anzi mondiale. L’obiettivo, studiato a tavolino, era di permettere la libera circolazione delle valute fra gli stati membri, e portò alla creazione del marengo, che aveva lo stesso tenute aureo dei 5 franchi di Napoleone III. Fu un fallimento per moltissimi motivi – dalla scoperta di giacimenti d’argento nel Nevada alla guerra di Bismarck contro la Francia, per la quale il paese sconfitto pagò in argento al punto da svalutare il metallo – e l’Italia la prima che ne uscì. Nel 1914 la convertibilità in oro fu abbandonata e questo ne decretò la fine, anche se formalmente solo nel 1926 l’unione latina
fu abolita.
Nordvig ammette che la rottura della zona euro non ha precedenti storici, sia per la dimensione delle economie europee coinvolte, l’alto sviluppo della finanziarizzazione europea e il suo fitto intreccio con la finanza mondiale, e infine la funzione di valuta di riserva (il 19% delle riserve nelle banche centrali del pianeta è in euro).
Tuttavia è anche vero che l’Europa ha avuto già due rotture: il serpente monetario e lo ESM. Nordvig esamina dunque tutte le ipotesi di uscita unilaterale, di uscita multilaterale concordata, esplosione dell’eurozona, esaminandone gli aspetti fiscali, legali, di ridenominazione e di valutazione o svalutazione, del necessario controllo sui capitali, eccetera.
Senza dirlo apertamente, le sue tabelle e analisi mostrano quel che altri economisti internazionali hanno sottolineato: che l’Italia è in miglior posizione, ad esempio, della Spagna o dell’Italia per uscirne.
Una delle nozioni che insegna la storia del fallimento delle precedenti unioni monetarie, è che i paesi che ne escono primi e rapidamente se la cavano meglio di quelli che si ostinano a restarci dentro. Vedi la Cecoslovacchia alla fine dell’impero absburgico, i paesi baltici agli inizi del collasso dell’URSS, e la Slovenia che si sfilò per prima dal dinaro nella frammentazione della ex-Jugoslavia.
Un altro ammaestramento è che i paesi centrali nelle unioni monetarie ed eccedentari verso gli stati membri, dopo che è avvenuta la rottura, raramente riescono a farsi rimborsare i loro crediti dai debitori: è accaduto alla Russia che non ha mai ricevuto i suoi crediti dai paesi ex satelliti, è ciò che teme la Germania del suo Target 2, di cui vuole riavere dall’Italia 500 miliardi e dalla Spagna 400.
In ogni caso, i governi sono arrivati ad un bivio, diceva Nordvig nel 2012: o una piena integrazione monetaria con un bilancio comune, o una ragionata e concordata uscita. La prima ipotesi, sappiamo, è rigettata rocciosamente dalla Germania, perché la costringerebbe a trasferire miliardi ai paesi del Mediterraneo (dai quali ha solo preso).
Berlino sta pensando davvero a un’euro del Nord?
Un articolo di Hans Werner Sinn, presidente dell’Ifo ( Institut für Wirtschaftsforschung) , istituto economico vicino al padronato tedesco e a consigliere del governo, sembra essere giunto alla conclusione: espellere l’Italia.
“Non possiamo farci ricattare”, dice in una intervista allo Stuttgarten Nachrichten: o i mercati riescono ad abbattere quel governo, oppure ….
“Non sono favorevole all’uscita dell’Italia, ma non si può sempre essere ricattati. Pertanto, si deve scegliere una politica di solidità finanziaria e stabilità invece di questa politica di spesa eterna. L’Italia deve quindi decidere da sé ciò che fa.
Ma lasciare andare l’Italia potrebbe uccidere l’eurozona …, chiede terrorizzato il giornalista.
SINN: “La verità è che siamo arrivati in un vicolo cieco, dove non ci sono vie d’uscita più convenienti. Un’unione di trasferimento non è una soluzione reale: porta a una certa stabilità, ma a una stabilità che può anche essere descritta come un assedio. Basta guardare il sud italiano, che è stato dipendente dalle rimesse dal nord per decenni. Un tale assedio non può permettersi l’Europa in concorrenza con i cinesi, con gli americani a tutti.
Il pericolo è che se l’Italia lascia, altri paesi saranno sotto attacco dei mercati e dovranno uscire, sicché alla fine si finirà con solo un euro del Nord, che apprezzerebbe fortemente?
“Il pericolo dell’apprezzamento mi lascia alquanto freddo”, risponde Sinn. “Una eurozona del Nord può facilmente reagire [alla rivalutazione] comprando titoli del resto del mondo con la propria valuta. Del resto è anche una opportunità: gli altri paesi stanno facendo i compiti a casa (le riforme alla tedesca) per paura di questo”.
Insomma Sinn, e quindi Berlino e la loro Confindustria, hanno già pensato a tutto e anche come affrontare l’euro forte del Nord, escludendo la schiuma dei bassi straccioni meridionali che (secondo loro) stendono la mano verso i loro salvadanai. .
Sinn ovviamente ha anche letto Savona, perché spiega come avverrebbe la nostro uscita: “Introducendo una moneta parallela sotto forma di titoli pubblici, che sono piccoli pezzi e potrebbe essere utilizzato per le transazioni; quando questo è fatto, si dichiarerebbe il cambio immediato di tutti i conti, accordi di prestito, contratti di lavoro e leasing in lire”.
Il debito estero potrebbe essere rimborsato principalmente in lire, ma per il debito emesso dopo il 2012 che deve essere servito in euro, che sarebbe difficile “.
In realtà, l’Italia è poco indebitata con l’estero. Sinn però, debito dopo il 2012 indica quello che ci ha fatto fare Monti, perché è da quel governo che s’è ingigantito il Target 2, che Sinn e tutti i tedeschi vogliono considerare un credito vero: “il debito Target 2 (500 miliardi di euro) è sempre esigibile”, dice Sinn. Però aggiunge: “ E visto che la BCE non ha strumento giuridico per reclamare questo debito, la Bundesbank dovrà spartirsi le perdite [con le altre banche centrali], una perdita del 30%”.
Stanno per lasciarci liberi..
Attenzione, questa è un’occasione a nostro favore. Contrariamente ad altri paesi, ma soprattutto agli eurocrati e allo stesso Draghi che vogliono tenerci dentro l’euro (altrimenti la loro esistenza perderebbe senso), SINN sembra aderire al progetto di sbattere fuori noi (e probabilmente Spagna e Grecia, ma non la Francia: ha le bombe atomiche utili) e arroccarsi in un euro del Nord pulito e senza debiti, in purissima deflazione. Salvare la zona euro, per la Germania oggi è un costo e un esborso che non po’ far accettare al suo elettorato, dopo aver detto e ripetuto che “paghiamo noi per i loro debiti”, o (menzogna totale, ma a questo punto importa poco)
European Central Bank policy maker Ewald Nowotny suggested that Italy’s laggard economy shouldn’t slow plans to end euro-area monetary stimulus and start raising interest rates.
In questo momento decisivo, sarebbe incredibilmente idiota e criminale se i due partiti di governo si dividessero di fronte al Nemico principale, per interessi locali di corto respiro.
L’alternativa è finire definitivamente e sconfitti, sotto quel tallone e applicare la ricetta delle austerità più feroci, della svalutazione dei salòari e della disoccupazione di massa. Quando sia spietato quel tallone lo ha rivelato lo stesso Schauble, oggi capo del parlamento europeo, in una intervista. Dove ha ricordato il suo colloqui con Claude Trichet allora governatore della BCE:
Schaeuble : <Quando decidemmo di fare il taglio del debito nel settore privato [PSI] (mi impegnai molto per ottenerlo), Trichet mi disse “Wolfgang, sarà la peggiore crisi dal ‘29”. Risposi “Jean-Claude, anche la 2a guerra mondiale è stata brutta”
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