(Alessandro Giuli – Libero quotidiano) –
La Leopolda numero nove? Una prova tecnica di riesumazione della salma celebrata da una coppia scoppiata parecchi anni fa: Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, ex premier ed ex ministro dell’ Economia che ieri sera si sono dati convegno nella stazione simbolo del principato renziano quando era al culmine della sua potenza e fighetteria.
I due, che pure non si sono mai piaciuti, hanno presentato assieme un palinsesto per salvare l’ Italia, nientemeno, rappresentandolo come un «servizio civile» per la nazione intera: una contromanovra da opporre al zoppicante testo ufficiale rappattumato da Giovanni Tria e Giuseppe Conte e già bocciato dall’ Unione europea.
«Ove venisse accolta la nostra proposta – dice Renzi – avremmo un dimezzamento dello spread e un calo delle tasse». Scravattati e seri, i due leopoldiani hanno fantasticato su piccoli sforamenti plausibili (2,1 di deficit nominale nel 2019; 1,8 nel 2020; 1,5 nel 2021) e robuste sforbiciate sulle tasse alle imprese; vagheggiando poi il ripristino delle loro vecchie promesse in materia d’ infrastrutture e manutenzione. Eccolo, dunque, il piatto forte del fine settimana renziano: un’ operazione nostalgia travestita d’ idealità a basso costo, perché vuoi mettere la comodità di sognare la cosa giusta standosene all’ opposizione?..
IL VENTO VERDE
Mal sopportando la sopraggiunta impresentabilità, Renzi fa il Renzi a casa propria e sbruffoneggia come sempre, gioca d’ astuzia fiutando il refolo nuovo e verdeggiante che spira dalla Germania, dove i Grünen hanno appena sbancato le urne bavaresi. Il programma della Leopolda è infatti centrato su «ambiente, valori, innovazione, sostenibilità, tutte cose che la politica cancella» e Renzi si accinge appunto a riesumare.
È «la prova del nove», come sottotitola l’ ex segretario del Partito democratico, quasi a suggerire che questa sarà davvero l’ ultima spiaggia, la seduta spiritica conclusiva per verificare se la leadership democratica possa o meno reincarnarsi in qualcosa di somigliante al renzismo. Si chiuderà domani con un presumibile certificato di ritorno alle origini in vista della grande baruffa per il rinnovo della segreteria del Pd.
Ma formalmente Renzi respinge ogni lettura politicista della rassegna fiorentina, si disincaglia dal totocandidati, preferisce piuttosto salire di un’ ottava nel grido d’ allarme sull’ abisso cui staremmo andando incontro per colpa della democrazia illiberale costruita dai sovranisti Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
«Quando ci saranno i candidati sceglieremo e voteremo bello un partito che ha una democrazia interna. Ma il Paese sta andando a sbattere, rischia la recessione, è questa la mia preoccupazione. Davvero uno pensa che il problema sia scegliere tra Minniti e Richetti? Ora preoccupiamoci dell’ Italia».
Punto di vista singolare, per un malato di protagonismo – pour cause – che non ha ancora sciolto il dubbio se dedicarsi ai documentari televisivi, alle conferenze di politologia o a una spettacolare manovra di reinserimento per procura alla guida della sinistra italiana.
Quel che ne resta.
Troppo debole per sfidare Nicola Zingaretti a cielo aperto, privo com’ è di sostegno da parte dei maggiorenti Paolo Gentiloni (zingarettiano timido) e Graziano Delrio (richettiano ben nascosto), Renzi tesse una tela eccentrica intorno all’ ipotesi Marco Minniti ma deve celarla come Penelope con i proci, pena la quasi certezza di ritrovarsela a brandelli per mano dello stesso Minniti, il quale tutto vorrebbe tranne apparire una prosecuzione del renzismo con altri e più composti mezzi.
LA FURIA DI CALENDA
Dunque ci si deve accontentare d’una riverniciatura tardogiovanilistica – con lo spazio dedicato agli under 30 che si chiamerà «Ritorno al futuro» – e del ricorso all’ ultima delle pelli indossate da Matteo dopo il lontano, vano e fugace tentativo di governare l’ Italia in deficit: il rigore dell’ europeismo senza frontiere, il macronismo di risulta e il perbenismo scientista propugnato da «coloro che credono nei vaccini» come l’ amico testimonial Roberto Burioni.
Un messaggio astratto e cosmopolita da consegnare allo strapaese cui invariabilmente inclina Renzi con i suoi non meglio precisati «comitati civici di resistenza» da mettere in rete (network, dice lui) per andare con il Pd oltre il Pd. Ma dove, poi?
In una zona di frontiera in cui ad attenderlo, ben piantato nella terra di nessuno, c’è quel Nessuno di nome Carlo Calenda con il lanciafiamme acceso: «Sono furibondo, ma vi sembra normale che Renzi presenta una contromanovra? Ma non l’ ha presentata Martina una settimana fa? Poi Renzi fonda i comitati civici della Leopolda… ma che vuol dire? Stai dentro il Pd o fai un’ altra cosa?». Dentro il nulla e fuori da tutto, ma alleati naturali dello spread.
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