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domenica 16 settembre 2018

Orfini: “Il Pd va rifondato e sciolto”...(nel cestino della carta.. )



(B.L. – il Messaggero) – «Stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo. Non serve cambiare nome. Mettiamo insieme un pezzo di Paese che non condivide le politiche di questo governo: dobbiamo costruire una risposta dopo la sconfitta che sia all’ altezza della sfida. Il partito com’ è oggi non funziona. Mi rivolgo a tutti, basta questa distinzione con la società civile, decidiamo insieme la linea politica e la leadership».
Così Matteo Orfini, presidente del Pd, alla sesta edizione della festa di Left Wing. La risposta di Nicola Zingaretti non è tardata: «È un’ altra scusa per non fare il congresso. Hanno paura».
Il candidato alla segreteria del Pd e governatore del Lazio, partecipando al festival Visionaria di Roma, ha poi aggiunto: «Il lavoro di riaggregazione di un popolo è già ricominciato fuori dall’ enclave del Truman Show.
Io dico al mio partito: meno Truman Show e più società. Meno finte di chi rappresenta il giornalaio e l’ operaio e poi siamo sempre noi… Ributtiamoci piuttosto con umiltà nella pancia dell’ Italia per indicare una strada». Questa, secondo il governatore la ricetta per «recuperare i delusi e riaccendere una curiosità e una voglia di combattere». E ancora: «Martina ha detto in maniera inequivocabile che il congresso sarà prima delle elezioni europee» di maggio. «Io non ho motivo di credere, visto quello che sta succedendo, che qualcuno voglia mettere in discussione questa ipotesi....

Ma il congresso del Pd non può essere solo un atto burocratico per cambiare il nome del segretario, deve essere un grandissimo processo politico di riaggregazione. Non lo vivo come un appuntamento interno solo tra gli iscritti del Pd, ma come l’ occasione di riaprire porte e finestre e chiamare alla partecipazione chi in questi anni non si è sentito più coinvolto. Dobbiamo cambiare su tre punti: una nuova piattaforma economica e sociale che unisca crescita ed equità, una nuova forma organizzata perché il sistema attuale fondato sul correntismo esasperato ha ucciso il nostro rapporto con la società, una grande nuova fase di ricostruzione di alleanze».
«Ora diventiamo soggetto politico», ha detto ieri Emma Bonino parlando di +Europa e facendosi trovare pronta. «Io credo che Lega e 5 stelle condividano la lontananza dalle istituzioni liberali e democratiche e la predilezione per la democrazia plebiscitaria», ha spiegato la leader durante il lancio della campagna per le Europee.
Zingaretti invece mette nel mirino solo la Lega: il governo è «un monocolore leghista, di estrema destra, che continua a farsi selfie per far vedere che tutto cambia ma in realtà è protagonista di una regressione economica e culturale dell’ Italia», ha detto elencando i tagli ai fondi per le periferie, le pistole nelle case per dire che hanno più sicurezza, il silenzio su Orban e un osceno regalo agli evasori fiscali che hanno rubato soldi agli italiani». E poi sottolinea che «il contratto non tiene».
LETTA, L’ATTO D’ACCUSA AL PD
(Fabio Martini – la Stampa) – I ventenni che da quattro anni studiano con passione «anacronistica» l’ abc della politica alla Scuola di Enrico Letta fanno festa al loro patron, lo applaudono sul porto-canale di Cesenatico, lui si schermisce, dice «oggi sono un privato cittadino», ma a parte l’«oggi» un po’ sospetto, alcuni indizi fanno capire che a 52 anni, Letta non ha ancora deciso di mollare, che sta preparando l’ occasione giusta per rientrare in gioco.
E chiacchierando di politica in una pausa della scuola, Letta lo fa da ex presidente del Consiglio, ancora in contatto con leader nazionali ed europei. Sostiene Enrico Letta: «Ho atteso per tutta l’ estate che nella parte politica nella quale ho militato si riflettesse su tutto quel che è accaduto. Nulla. Zero autocritica. Ma questo è un errore grave. Soprattutto per un motivo: se i progressisti e il Partito democratico continuano a imitare i populisti, non andremo da nessuna parte: una delle ragioni per cui abbiamo perso è che il populismo dolce ha aperto la strada al populismo hard.
Non si riparte insultando chi ha vinto, dicendo “noi siamo meglio di voi” e rivolgendosi agli elettori che ci hanno dato uno schiaffo con parole come “non avete capito”». Allude palesemente a Matteo Renzi, o soprattutto a lui, ma Enrico Letta nega: «Nessun personalismo, è un discorso più ampio». In realtà Letta sa bene che nei prossimi 8 mesi la politica italiana è attesa da scossoni che potrebbero cambiarne i connotati: a maggio ci saranno elezioni europee chiamate per la prima volta a decidere sul destino dell’ Unione e, su una scala più piccola, il Pd eleggerà un segretario.
In entrambi i casi Enrico Letta, che del Pd è stato uno dei fondatori e uno dei tre premier, sembra considerare la stagione del partito democratico oramai esaurita. Ragiona per massimi sistemi, ma dice: «Cinque anni fa nessuno ma proprio nessuno aveva immaginato che ci sarebbe stata Brexit o che uno come Trump sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti. Con la stessa franchezza dobbiamo dirci che non siamo certi di poter prevedere cosa accadrà fra uno o due anni. Bisogna avere il coraggio di pensare in modo radicale, di pensare l’ impensabile». L’ impensabile anche per quanto la dimensione più circoscritta del soggetto che in Italia rappresenta i progressisti, il Pd? «In tutti i sensi».
Ma personaggi come Enrico Letta, o come Paolo Gentiloni, che per il futuro scommettono sul doppio effetto – disillusione per i populisti e nostalgia per quelli «seri» – sanno bene che potrebbe rivelarsi un’ illusione riproporsi in futuro in modalità fotocopia.
E l’ autocritica che invoca per Renzi, nel suo caso Letta la declina così: «Il continuismo ha perso». L’ ex premier non dice altro, la sua autocritica finisce qui e per il momento non sembra molto da parte di chi è sempre stato sì un’ eccellenza, ma dell’ establishment precedente. E durante una chiacchierata in pubblico assieme a Enrico Mentana, l’ ex capo del governo rivendica anzi «la competenza e l’ esperienza» come valori.
E in vista delle elezioni europee, passaggio decisivo per capire se la stagione populista arretra o avanza, Letta taglia corto su qualsiasi ipotesi che lo veda impegnato. Nulla vuole dire, neppure per smentirle, sulle voci di un suo lavorio sotto traccia per una lista in vista delle Europee che vada «oltre il Pd», ma in vista di quelle elezioni, sconsiglia una battaglia campale puntando sulle «convenienze» o «sul portafoglio» ma invece scommettendo sul «cuore» e nel caso anche sulle paure per valori basilari a rischio (come la pace) in caso di vittoria populista.
Sostiene Letta: «Brexit ha vinto su pensieri come: se avremo meno polacchi e ucraini, Londra tornerà agli inglesi. Esemplare quel che sta accadendo in Catalogna: le imprese sono emigrate e gli abitanti di quella regione dicono: anche se ci rimettiamo, la nostra identità viene prima di tutto. Una lezione fondamentale per affrontare le elezioni europee».---

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