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giovedì 20 settembre 2018

Marello Veneziani - La renzurrezione...



(Marcello Veneziani – Il Tempo 19 settembre 2018) – 
Renzi io lo conosco da quando era bambino. Lui era quello che portava il pallone e anche se non sapeva giocare, era un po’ goffo e cicciottello, pretendeva non solo di fare il centravanti ma anche di decidere chi far giocare e chi no. E durante la partita non stava mai zitto, sapeva tutto lui, pretendeva che tutti gli passassero la palla, faceva la punta, il trainer e anche il telecronista, e soprattutto diceva cosa dovevano fare gli altri. E se la squadra insorgeva contro di lui, si portava il pallone. Poi, un giorno, il suo pallone si sgonfiò e da allora i suoi compagni di squadra ma anche i suoi avversari non lo fecero più giocare, lo presero in giro. E da allora lui cominciò a industriarsi per bucare il pallone ai suoi ex-compagni e rivali. Chi non ha conosciuto un Renzi da bambino? C’è sempre stato un Matteo nell’infanzia di ciascuno.
Ora Renzi annuncia la sua renzurrezione, dice che sta maturando il tempo del suo ritorno ed è anche per questo che nessuno vuol candidarsi a guidare il pd con lui, o perché teme che il suo ritorno rinnovi la catastrofe o perché sa che se torna lui si riprende il pallone e il capo indicato da lui finisce in coda...
Un po’ come faceva il suo maestro, Berlusconi, coi suoi delfini poi finiti in pescheria.
Eppure c’è stato un tempo in cui Renzi riscuoteva voti e simpatia trasversali, era il Gran Simpatico, il Mattatore. Certo, alcuni l’odiavano, soprattutto a sinistra, ma lui i voti li prendeva, in tv spopolava, aveva piazzato i suoi amichetti dappertutto e faceva il bello e il cattivo tempo. Cosa è successo da allora, come mai si è capovolta in così malo modo la sua fortuna? Per far capire il rovescio di Renzi torno all’infanzia e ricordo un film comico – era Pozzetto, ma era anche in un film americano – di un furbetto che per passare indenne tra i due fronti, durante una battaglia, ebbe una pensata volpina. Si fece cucire una bandiera double face, in cui da una parte c’era la bandiera degli uni e dall’altra la bandiera degli altri. Passava indenne tra i due fronti, ritenuto da entrambi uno dei nostri. Poi però mutò improvvisamente il vento, la bandiera cambiò verso e gli uni si trovarono la bandiera degli altri e allora cominciarono a bersagliarlo a fuochi incrociati. Ecco, questa è la parabola di Renzi, in ogni senso.
Ma quale vento fu, come spiegare questo capovolgimento? Torno al momento magico, il referendum sulla riforma costituzionale, considerato da tutti il cambio di vento. Arrivo a sostenere che la riforma non era poi del tutto male, ma trasformare un referendum sulla forma di uno Stato in un referendum su Matteo Re, dimostrò che lui era rimasto quello del pallone di prima. L’ultimo Renzi che ho apprezzato fu all’indomani del referendum. Fece un bel discorso, serio e onesto, almeno all’apparenza, dignitoso, annunciò di ritirarsi, si dimostrò un gran politico, perfino umano. Poi la cosa andò degenerando, lui si rimangiò tutto, loro se lo mangiarono vivo. Renzi fu massacrato dalla Premiata Ditta (Pd), dai suoi avversari in crescita, gialli e verdi, e perfino da alcuni media fino al giorno prima ai suoi piedi. Perse tutto, nel giro di poco, e si incattivì. Lo chiamarono cialtrone, e la parola gli rimase così impressa che ora chiama cialtroni i suoi nemici al governo. Ora si è incupito, ingrillito, imboldrinito.
Ma sul piano politico il suo errore è stato un altro. Lui aveva acceso le speranze, e le illusioni, di poter essere un decisionista, uno di quelli che cambiava le cose senza troppi giri e mediazioni. Invece poi cambiò solo gli uomini al potere, senza cambiare le cose. Alla plebe aveva dato 80 euro – fu l’antesignano del reddito di cittadinanza o l’epigono del Comandante Lauro – e poi aveva monopolizzato tutto, il governo, il sottogoverno, la Rai, con una banda di toscanelli fumosi e nocivi. Anche in seno al suo partito il bullo non si limitava a vincere, voleva stravincere, non voleva sconfiggere ma annientare gli avversari. Ad esempio un suo errore fu rifiutarsi di mandare d’Alema alla commissione europea, se lo sarebbe tolto davanti senza farselo nemico; gli preferì un’imbambolata Mogherini, e quello sfregio l’ha pagato caro. Non ebbe rispetto per Bersani, fu sleale con Letta, usò e maltrattò i suoi correntisti (non solo bancari, ma della sua corrente: il caso Franceschini è lì, difficile stabilire chi dei due fu più Giuda).
Ma compì un errore sopra tutti che ora sta pagando. Non portò fino in fondo la sua idea di fondare un nuovo asse della politica, il Partito della Nazione, ovvero una forza centripeta, inclusiva, nazionale, che potesse inglobare e superare la sinistra (lasciando che si formasse poi ai suoi bordi un altro partitino di scontenti, come di fatto si è ricreato comunque), e drenare voti moderati in libera uscita da Berlusconi. Avrebbe potuto raccogliere persino qualche simpatia da destra, come era accaduto trent’anni prima a Craxi. Invece il pallonaro fiorentino cominciò a smantellare il suo progetto, arretrò a sinistra, sposò i più beceri pregiudizi, fece l’antifascista, l’antirazzista, l’omofilo, il rifilo-rom e il filo-clandestini, e così sposando la peggior sinistra politically correct nella speranza di recuperarne il controllo, finì in quel cantuccio infame. Col partito in briciole, guidato da un frankenstein che non risponde più ai comandi. Poi le vicende famigliari – babbi, cognati, banche, boschi, perfino il superaereo con la supervasca – fecero il resto. Ora è improponibile un suo ritorno, perché a sinistra non lo reggono e altrove non lo sopportano. Provi a emigrare in Lussemburgo, dal suo stimatissimo collega Fesselborn. Da noi il pallone si è sgonfiato.

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