“Macron qui?”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 settembre 2018
Non bastando tutti quelli che lavorano per Salvini in Italia, ora ci si mette pure Macron. Il quale, con tutto quel che avrebbe da fare a casa sua per schivare i due terzi dei francesi che vogliono già prenderlo a calci nel sedere un anno dopo la plebiscitaria elezione, pensa bene di proporsi come il salvatore dell’Europa, ma anche del mondo e forse pure dell’universo, da Salvini. Col risultato di far sentire e apparire il nostro Cazzaro Verde molto più importante di quanto non sia. E di instillare in tutti gli italiani, anche nei più antisalviniani, una domanda angosciante: ma siamo proprio sicuri di voler essere salvati da Macron? Cioè dal gattopardo parigino creato nei caveau di banca Rotschild per fingere di cambiare tutto lasciando tutto com’era? Cioè dal finto buonista che ci dà lezioni di accoglienza e poi fa massacrare i migranti alle frontiere di Ventimiglia e Bardonecchia, donne incinte comprese? Risposta scontata: no, grazie. Basta vedere che fine han fatto i Macron e i Micron de noantri, che un anno fa si spellavano le mani e si sbucciavano le ginocchia al suo cospetto, favoleggiando di un “asse Berlino-Parigi-Roma” che esisteva solo nelle loro menti bacate. Fino all’altroieri, prima di ridursi a documentarista di se stesso, Renzi progettava una versione alla fiorentina o all’amatriciana, di En Marche!. E Calenda, noto frequentatore di se stesso, si spacciava per la vera risposta italiana a Macron. Una gara di lingue al più Macron del reame....
Renzi, in preda alla sindrome di Pippo Baudo, credeva di averlo inventato lui: “Bravo Macron: la sfida inizia adesso. Una sfida che riguarda anche l’Italia. Avanti, insieme”. Andrea Romano, sua mosca cocchiera, confermava: “Macron si è ispirato ad alcune proposte di Renzi, il suo programma somiglia a quello di Matteo, come il bonus cultura dei 500 euro (sic, ndr). La linea è la stessa: un europeismo solido e riformista, contro la conservazione e l’establishment”. Lui che stava con D’Alema, Montezemolo e Monti. Il particolare che Macron aveva vinto, mentre Renzi aveva già perso le Comunali e il referendum, e si avviava a perdere trionfalmente le Politiche, sfuggiva ai più. Renzi raccontò al Corriere che, un giorno che stava con Obama, “ho chiamato Macron e gli ho detto: ‘Sono l’assistente personale del presidente Obama, glielo passo’…”. E tutti giù a ridere. Anche Napolitano, che porta sempre buono, volle dire la sua: “Il voto francese smentisce le tesi catastrofiste circa la possibilità di bloccare l’ascesa del populismo nella nostra Europa”. Infatti subito dopo i sedicenti Macron nostrani spianarono la strada ai “populisti”.
Tal Sandro Gozi assicurava di essere, qui nella cinta daziaria, il “miglior amico” di Macron, come se da piccoli giocassero a biglie insieme. La Stampa svelò che Gozi addirittura “è stato uno dei primi a cui il 39enne Emmanuel rivelò di voler fondare un movimento”. In Francia, ma non solo, quando uno vuol fondare un movimento, telefona a Gozi per chiedere il permesso; e lui, magnanimo, accondiscende. Ecco il suo prezioso consiglio all’amico Emmanuel per vincere: “Fai attenzione (si danno del tu, ndr) a non farti strumentalizzare, sei un uomo ambizioso ma semplice”. Come tutti i dirigenti della Rothschild e ministri dell’Economia, legatissimi a Confindustria e all’Arabia Saudita: praticamente un senzatetto. Figurarsi gli attacchi di gelosia degli altri migliori amici italiani di Macron: Monti, Letta e persino la Madia, che cinguettò giuliva: “Il suo messaggio più forte è che si può riuscire a cambiare l’Europa attraverso la forza della politica”. Infatti s’è poi visto com’è cambiata l’Europa. A questo punto voi direte: e Gennaro Migliore? Stavamo quasi per dimenticarlo: “L’analogia fra Macron e Renzi sta nella loro capacità di innovare la sinistra… Siamo nel corso di una catastrofe del riformismo storico, solo due luci possono invertire la tendenza: Macron e Renzi”, proclamò per la gioia dell’amico transalpino, già peraltro eccitatissimo per gli endorsement di Maurizio Martina (“Segnale fondamentale per tutti i riformisti progressisti europei”) e Valeria Fedeli (“Macron mi somiglia, in fondo la mia scelta di appartenere a un’innovazione del centrosinistra in Italia può essere vista in positivo rispetto a quello che accade in Francia”).
Anche a destra era tutto un tubare. Sallusti paragonò Macron al padrone: “Non sappiamo se Macron sarà come Berlusconi, cioè talmente sicuro di sé da non aver paura di unire”. Brunetta se ne appropriò: “È un lib lab come me”. E pure Sacconi, che almeno aveva capito tutto: “Macron confermerà le importanti riforme del lavoro e dell’economia”. Infatti il fighetto dell’Eliseo ha confermato, anzi peggiorato le controriforme antisociali di Hollande. E, dopo un anno, già sta sulle palle a quasi tutti. Una picchiata persino più repentina di quella di Renzi, che almeno, per guadagnare tante antipatie, di anni ne ha impiegati quattro. Ora l’aspirante segretario del Pd Zingaretti chiede “meno Macron e più equità”. Non sappiamo chi o che cosa abbia portato sfiga al Napoleone fallito. Ma un sospetto ci assale, legato a una dichiarazione a caldo sulla sua elezione: “Nasce in Francia ciò che in Italia era sorto con il Pd”. A parlare era, toccando ferro, Piero Fassino. Se davvero Macron aveva tutti quegli amici italiani, qualcuno avrebbe dovuto suggerirgli i debiti scongiuri. Invece nessuno lo avvertì. Neppure quando si schierò con lui l’arma più letale del giornalismo mondiale: Giuliano Ferrara che, in tandem col rag. Cerasa, lo definì “una ciambella col buco” e “il presidente europeista, riformatore, mondialista, liberale, a meno di eventi imprevedibili”. Tipo, appunto, l’appoggio congiunto e concomitante di Fassino e Ferrara.
“Macron qui?”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 settembre 2018
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