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Il presidente della Sioi, già commissario europeo e ministro degli Esteri, definisce il vertice di Helsinki “una grande vittoria”. L’Europa ancora una volta non è pervenuta
C’è chi griderà allo scandalo, accogliendo il presidente Trump al suo ritorno in patria con cartelli di sdegno per aver svenduto il Paese al nemico. Chi invece si farà prendere dall’entusiasmo, ringraziando il Tycoon per aver fatto l’America great again. Su un punto nessuno potrà litigare: il vertice di Helsinki fra Donald Trump e Vladimir Putin entra di diritto nella storia e cambia le regole del gioco. Il tifo da stadio non aiuta a capirne la portata. Per questo Formiche.net ha commentato a caldo il faccia a faccia con il presidente della Sioi Franco Frattini. Che da ex commissario europeo e ministro degli Esteri può dire senza timore di smentita di conoscere bene il Presidente russo. E sembra convinto che lo spirito di Pratica di Mare resti l’unica via per allontanare una volta per tutte la Guerra Fredda.
Come con Kim Jong-un, anche questo incontro si è concluso fra sorrisi e strette di mano. Questa è una sconfitta per il Presidente americano?
È stata una grande vittoria per entrambi, perché hanno dimostrato di essere in grado di superare tutte le critiche dell’establishment politico interno pur di arrivare a questo incontro. Le risposte di Trump sono state convincenti. L’offerta di Putin di consentire alla commissione di Mueller di recarsi in Russia per indagare gli agenti sospetti è stata una mossa spiazzante....
In cambio ha chiesto di indagare in Russia gli agenti americani sospettati di interferenze. Davvero c’è da esultare?
Putin ha fatto un esempio molto chiaro: quello di un americano che ha evaso il fisco sia in Russia che negli Stati Uniti e ha finanziato con 400 milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton. È comprensibile che le autorità russe vogliano indagare.
Mi sembra molto ottimista sul vertice..
In questi vertici internazionali non vengono quasi mai firmati veri accordi, ciò che conta è il messaggio. Tutti credevano che portandosi dietro John Bolton Trump volesse “dichiarare guerra” alla Russia. E invece il Presidente americano ha spiazzato l’establishment politico, tanto quello democratico quanto quello repubblicano. Al di là dei meriti, Trump ha dimostrato di rimanere coerente alle sue promesse.
C’è il rischio che abbia spiazzato anche l’intelligence e i suoi vertici militari, solitamente poco disposti a mostrarsi accondiscendenti con i russi.
Trump non è stato accondiscendente. Si è impegnato a uno scambio informativo fra le due parti per la lotta al terrorismo, una strategia che ha permesso di sventare l’attentato a San Pietroburgo. Ha detto che i rispettivi eserciti collaborano molto meglio dei politici. E questo mi rassicura molto: se in Siria americani e russi coordinano i bombardamenti diminuiscono le stragi e aumentano le chances di sconfiggere una volta per tutte Daesh. Ha parlato dei corridoi umanitari, e Putin ha promesso di inviare aerei cargo per soccorrere la popolazione civile. Scegliere di non agitare lo spettro della Guerra Fredda è una mossa saggia, non accondiscendente.
Converrà con me che le rassicurazioni russe per la soluzione della crisi siriana sono state un po’ vaghe.
E invece anche su questo il vertice è stato un successo. Per la prima volta Russia e Stati Uniti hanno preso posizione a favore di Israele, dopo anni in cui ci eravamo abituati a vedere una Russia anti-israeliana. La recente visita di Nethanyahu a Mosca ha fatto un altro centro: Putin ha detto di volersi impegnare per la sicurezza nelle alture del Golan, dove Tel Aviv fa fronte a gravi minacce.
L’Europa è stata ancora una volta la grande assente. Il disgelo fra Russia e Stati Uniti sta mettendo all’angolino il Vecchio Continente?
L’Europa ha dimostrato di essere del tutto inesistente. A furia di portare avanti crociate prima contro la Russia, poi contro l’America, l’Europa si è autoesclusa dal palcoscenico internazionale. Mi auguro che il presidente Juncker capisca che non si può fare allo stesso tempo il muso duro con Russia, Cina e Stati Uniti. L’Europa avrebbe dovuto anticipare il summit di Helsinki, dando una chance alla Russia e rivedere il regime delle sanzioni come proposto dal governo Conte.
Che però ha votato le sanzioni in seno al Consiglio Ue senza battere ciglio…
Non aveva altra scelta, era il suo primo vertice europeo e ha dovuto fare i conti con le ossessioni anti-russe di alcuni Stati membri. Sono sicuro che alla luce del faccia a faccia fra Trump e Putin durante il vertice europeo di ottobre Conte avrà un argomento più forte per far sentire la sua voce. Dopo il summit di Helsinki gli Stati membri sono messi di fronte a un aut aut: scomparire del tutto dall’orizzonte, o rientrare in gioco prima che Stati Uniti e Russia calino il sipario togliendosi reciprocamente le sanzioni. Se accadesse gli europei rimarrebbero gli ultimi samurai a combattere una guerra già finita.
L’Italia ha qualche carta in più rispetto agli altri Stati membri?
Assolutamente si. Anche durante le peggiori escalation, come nell’ultima, sciagurata fase dell’era Obama, quando sono stati piazzati missili in Polonia e Romania e la Guerra Fredda sembrava alle porte, l’Italia ha sempre detto no alla politica del muro contro muro. Lo hanno fatto Berlusconi, Renzi, Gentiloni e lo sta facendo magistralmente Giuseppe Conte. La Germania, che ha qualche risorsa in più, è stata più furba e ha detto si al gasdotto russo del Nord Stream 2 senza dar troppo peso alle proteste di Obama.
A proposito del Nord Stream 2, Trump giorni fa ha fatto dichiarazioni pesanti sulla dipendenza energetica di Berlino da Mosca, ora ha fatto marcia indietro. Come si spiega?
Trump, da buon uomo di affari, ha depoliticizzato la questione, riducendola a una contesa commerciale. Ha spiegato che gli Stati Uniti hanno interesse a vendere il loro gas e hanno intenzione di rimanere competitors dei russi.
Rimane una contraddizione di fondo. L’Europa si schiera con l’Ucraina nel conflitto del Donbass, e poi apre le porte a un condotto di gas russo costruito appositamente per bypassare il territorio ucraino.
È vero. Ma Putin è stato previdente e ha confermato non solo di voler mantenere, ma addirittura di voler ampliare il condotto sul territorio ucraino. Non aveva mai dato queste rassicurazioni. Anche questo è un successo che si deve alla leadership di Trump.
Veniamo alla forma dell’incontro, che in questi vertici è anche sostanza. Ancora una volta Trump ha attaccato duramente il sistema mediatico americano, senza risparmiare il sistema giudiziario e perfino l’intelligence. Così non rischia di danneggiare la credibilità del Paese di fronte a uno storico avversario?
Su questo siamo d’accordo, non si può parlare in questo modo delle proprie forze di intelligence di fronte a un competitor. Credo che questi attacchi nascondino una forte frustrazione. A differenza dei suoi predecessori, Trump non è ancora riuscito a fare uno spoil system. In America questo sistema rimuove 5-6.000 funzionari pubblici, parliamo di numeri importanti. Trump non ci è riuscito perché ha contro tanto la classe dirigente democratica quanto quella americana.
Nel bel mezzo della conferenza Putin si è preso due minuti per spiegare ai giornalisti perché la Russia è una democrazia al pari degli Stati Uniti. L’impressione è che lo zar brami un riconoscimento internazionale che ancora non ha. È così?
È verissimo. Fin dagli inizi Putin ha cercato questo riconoscimento, e a mio parere è riuscito a ottenerlo. Dopo otto anni di Boris Yeltsin l’Occidente fece l’errore di poter schiacciare quel che restava dell’Unione Sovietica, escludendola dal consesso internazionale. Così facendo ha ottenuto l’esatto contrario: l’umiliazione russa è stato il carburante del putinismo. Berlusconi lo aveva capito prima di tutti, chiedendo di inserire la Russia nel G8, ma non è stato ascoltato. E adesso vediamo le conseguenze.
Fonte: Francesco Bechis – http://formiche.net/
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