di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 31-5-2018 –
È vero che, nei manicomi, il buonsenso è merce rara. Ma, visto quel che accade da 87 giorni, forse anche in un manicomio si riuscirebbe a trovare un pizzico di buonsenso per arrivare a una soluzione. Si dovrebbe partire dalla constatazione che quasi tutti i protagonisti, chi più chi meno, chi in buona fede chi meno, hanno commesso errori, agevolati dal risultato assolutamente inedito uscito dalle urne, a sua volta aggravato da una legge elettorale criminale e criminogena (non per l’impianto proporzionale, ma per i parlamentari nominati, le multicandidature e le finte coalizioni). Dunque tanto vale che lo riconoscano e imparino dai propri sbagli in vista di un futuro che potrebbe pure riprodursi identico al presente.
Di Maio, sopraffatto dalla rabbia per un governo andato in fumo quando pareva pronto a partire, ha perso lucidità e ha invocato in tv la messa in stato d’accusa di Mattarella, salvo poi, previa lavata di capo di Grillo, ingranare la retromarcia. Troppe volte, in questa crisi che ha messo a dura prova il sistema nervoso di tutti, il leader 5Stelle ha ceduto all’impulsività e ha parlato troppo, o troppo presto, o troppo tardi: dando per fatte cose da fare, dando per chiusi forni ancora aperti, dando per aperti forni già chiusi, lanciando ultimatum sulla sua premiership che poi la sua rinuncia ha trasformato in penultimatum, esagerando negli elogi al partner Salvini (che si è ben guardato dal fare altrettanto) e tacendo anziché vantare l’unico gesto nobile e disinteressato di tutta la crisi: il suo rifiuto, per 80 giorni....
, di legittimare B. con un incontro, una stretta di mano, una telefonata, un selfie, una photo opportunity, un ministro forzista travestito da leghista, giocandosi ogni possibilità di diventare premier....Renzi e il Pd, ormai tutt’uno, hanno puntato allo sfascio, al tanto peggio tanto meglio, rifiutando di giocare la partita dopo averne scritto le regole e persino di indicare e sostenere una qualsiasi alleanza (o col centrodestra o col M5S): seduti coi pop-corn sull’Aventino in attesa dello schianto altrui, alla fine l’hanno ottenuto, fregandosene se a schiantarsi è l’Italia.
Salvini, come tutti i bari che possono giocare su due tavoli perché non hanno scrupoli (Di Maio o B., purché se magna), ha colto al balzo l’assist di Mattarella per fare comunque gol: le elezioni subito, almeno secondo i sondaggi, convengono solo a lui. Se ci va col M5S (che sarebbe mangiato vivo), fa il pieno di collegi uninominali e governa con loro, ma stavolta da pari a pari; se torna con B. (che vorrebbe mangiarsi vivo), la destra può vincere e lui fare il premier.
Errori politici non ne ha fatti, sempreché la politica sia il partito e non lo Stato. E sempreché Salvini riesca a realizzare almeno qualcuna delle mille promesse: altrimenti, con tutte le aspettative che ha creato, gli elettori scopriranno quel che è sempre stato fino a un mese fa: il Cazzaro Verde.
Mattarella, purtroppo, non ne ha azzeccata una. Ha sbagliato all’inizio negando l’incarico a Salvini leader del centrodestra, prima coalizione uscita dal voto, per metterlo alla prova, alimentando così il suo revanscismo propagandistico per non aver avuto la sua occasione. E ha sbagliato alla fine respingendo, col pretesto di Savona e dello spread (più basso con Savona che senza), l’unico governo possibile e legittimo (Conte), gettando altra benzina sul fuoco con l’incarico a Cottarelli, gemello farsesco di Monti, senza voti né ministri.
Di B. inutile parlare: lui non fa politica, fa affari.
Messi come siamo, se prima era già arduo fare qualcosa, ora è pressoché impossibile. Ci si potrebbe riuscire solo se tutti ammettessero i propri errori e abbassassero un po’ la cresta con un disarmo bilanciato multilaterale, per fare l’unica cosa che interessa agli italiani e perfino ai mercati: un governo politico legittimato dal voto. Di Maio, ritirato l’impeachment, ha incontrato Mattarella per un chiarimento fra persone civili. Salvini potrebbe fare altrettanto, rinfoderando i propositi di marciare su Roma e accettando di spostare Savona, purché sia chiaro che l’indirizzo politico del governo lo dà il premier, non il Colle o i mercati: altrimenti sarebbe chiaro a tutti che, fra governo e sondaggi, Salvini sceglie i sondaggi. Ma un passo potrebbe farlo anche Mattarella. I migliori costituzionalisti gli hanno spiegato che il veto tutto politico su Savona esulava dai suoi poteri. Teme ancora che, malgrado le sue smentite, il contratto M5S-Lega e gli impegni di Conte, Savona ci porterebbe fuori dall’euro? Lo chiami e verifichi con lui le sue intenzioni, che a noi parevano già abbastanza chiare. Se poi Savona gli confidasse di volersi far esplodere nel Parlamento di Bruxelles o nella Commissione Ue, avrebbe buon gioco a bocciarlo (d’intesa, a quel punto, con Di Maio e lo stesso Salvini). Se invece Savona lo rassicurasse sui patti con l’Ue, tutt’altro che incompatibile con un’offensiva politica per rivedere certi trattati e accordi demenziali, Mattarella potrebbe nominarlo ministro senza rischi, riservandosi ovviamente di respingere eventuali leggi incostituzionali o finanziariamente scoperte.
Le alternative al ritorno di Conte sono soltanto due, entrambe peggiori. O un governo Cottarelli che si sa quando inizia ma non quando sloggia, sostenuto con astruserie bizantine (tipo la “non sfiducia tecnica”) da B., Lega e Pd. O elezioni in estate, con la stessa legge elettorale, un’astensione monstre (non solo dei vacanzieri), i mercati impazziti e la probabile vittoria della destra. Che ci regalerebbe un bel governo Berlusalvini. Così chi storceva il naso (e con molte ragioni) sul Salvimaio con Conte e Savona potrebbe persino rimpiangerli.---
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