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martedì 10 aprile 2018

“Sinistra Anno Zero”: editoriale di Marco Travaglio



(di Marco Travaglio – da Il Fatto Quotidiano del 10 aprile 2018) – 
Un mese fa ci colpì, come la classica lama rovente nel burro, il discorso di Nicholas Ferrante, 21 anni, il baby-dirigente avellinese del Pd che in quattro parole fece ciò che il suo partito non ha mai fatto: un’analisi sincera e dunque spietata della sconfitta. Ieri, sul sito del Fatto, abbiamo visto il bis e il tris in un filmato che sintetizza gli interventi a un incontro intitolato “Sinistra anno zero” di altri due esponenti della minoranza Pd, più grandi e strutturati di Nicholas: Giuseppe Provenzano, 35 anni, siciliano, e Daniele Viotti, 44 anni, piemontese. Il secondo è eurodeputato, il primo ha rinunciato in gennaio alla candidatura per un seggio sicuro al Parlamento in polemica con la scelta di Renzi&C. di piazzare come capolista la figlia del vecchio signore delle tessere democristiano Totò Cardinale. Chi li ascolta non perde il suo tempo e farebbe bene ad ascoltarli anche Luigi Di Maio. Le loro parole riconciliano con la Politica con la P maiuscola e dimostrano ciò che andiamo sostenendo da tempo: se il Pd è un partito morto, o meglio mai nato, a causa dei vertici, la base dà ancora segnali di vita che purtroppo mai nessuno raccoglie, né dentro né fuori. E rappresenta elettori infinitamente migliori dei dirigenti, nazionali e spesso locali. Diversamente da quelli di centrodestra, ormai plagiati e plasmati a immagine e somiglianza dei capi e impermeabili a qualunque scandalo, tant’è che continuano a votare B., oppure Salvini che polemizza col Caimano su qualunque cosa fuorché sulla questione morale e penale, salvo poi restargli attaccato...

Perché Di Maio dovrebbe ascoltare Provenzano e Viotti? Perché capirebbe che, se gli attuali dirigenti del Pd e del centrodestra si equivalgono, i loro elettori e i loro militanti sono diversissimi. E quelli del centrosinistra sono molto più simili a quelli dei 5Stelle che a quelli di FI&Lega: discutono, si accapigliano, dissentono anche radicalmente, si appassionano. Esattamente come il popolo grillino, che non ha perso tempo a bearsi del successo elettorale e si è subito diviso – com’era giusto e naturale che fosse – sulle alleanze: chi contesta il voto alla Casellati, chi lo giustifica con la necessità di fare politica, chi teme l’alleanza col centrodestra o anche con la sola Lega, chi preferirebbe Salvini al Pd, chi invece digerirebbe un’intesa con un Pd derenzizzato e così via. Magari non servirà a fare un contratto di governo, ma Di Maio dovrebbe chiamare Provenzano, Viotti, Ferrante e altri come loro per fare due chiacchiere. Magari organizzare un seminario insieme, parlare di programmi ed entrare in sintonia con un mondo che non è il suo.
Un mondo che magari ha sfiorato negli ultimi anni ai banchetti delle campagne referendarie contro il nucleare, per l’acqua pubblica, contro le leggi vergogna e la schiforma costituzionale. Un mondo che i 5Stelle devono coinvolgere con il linguaggio giusto che serve a parlare a quel pezzo d’Italia che magari non sarà mai “grillino” perché guarda con sospetto alle cose vere e anche a quelle non vere della presunta Spectre casaleggiana, che continua a lavorare a dispetto dei santi per una sinistra che faccia la sinistra, ma che può percorrere un tratto di strada insieme al M5S. “Il voto ai 5Stelle al Sud – ha spiegato Provenzano, ricercatore dello Svimez e meridionalista intelligente – non è figlio solo della sofferenza e dell’insofferenza sociale: è un fenomeno trasversale, un’alleanza fra disoccupati e professori universitari, maestre e imprenditori sani, tutti mondi che un tempo erano i nostri. Un’alleanza sociale che avremmo dovuto fare noi e che è diventata la loro. Noi ora non dovremmo fare i comitati per il centrosinistra, che non vuol dire niente: ma i comitati per l’acqua, per gli ospedali, per gli asili, per l’ambiente e per le strade”. Insistere ancora su etichette come “destra” e “sinistra” non funziona più, soprattutto al Sud dove “destra e sinistra spesso sono vasi comunicanti: o entri in lista di qua, o ti fai eleggere di là”. Provenzano ha parlato anche del reddito di cittadinanza con grande rispetto: c’è in tutta Europa, riguarda la dignità delle persone e va presa sul serio. “Che vergogna – ha detto – le risate sulle file ai Caf”, dove alcuni cittadini del Sud il 5 marzo si informavano sulla promessa dei 5Stelle.
E che vergogna i risolini sui curriculum di Fico e Di Maio, uno laureato e l’altro no, colpevoli soltanto di essere due giovani o ex giovani del Sud senza lavoro fisso: “La politica non si fa coi curriculum. Ma poi quali sarebbero i curriculum della classe dirigente renziana? Qual è il curriculum di Luca Lotti e dei tanti famigli e trasformisti che ha raccattato e piazzato nelle nostre liste?”. “Noi – ha aggiunto Viotti – abbiamo perso nel 2008, abbiamo ‘non vinto’ nel 2013 e abbiamo subìto una disfatta nel 2018. Quei gruppi dirigenti ci hanno lasciato macerie: politiche, di voti e anche di bilancio. E ora, anziché di contenuti, parlano di Macron: posso dire che a me di Macron non frega niente? Qui nessuno vuol fare aprioristicamente accordi con i 5 Stelle: vogliamo discutere, cioè fare politica anziché stare sull’Aventino”. Anche perché – ha ricordato Provenzano – “è inutile aspettare che passi il cadavere: il cadavere è già passato, ed era il nostro”. Ecco, in attesa che l’autoreggente Martina e la sedicente sinistra Pd si sveglino e scendano dal pero prima di precipitarne a loro insaputa, è con questa parte del centrosinistra che dovrebbe iniziare a parlare Di Maio. Ora che ha la prova provata che Salvini non divorzierà da Silvio, può tranquillamente abbandonare il forno del centrodestra e guardare nell’unica direzione che può recepire discorsi di lotta alle mafie, alla corruzione, all’evasione, ai conflitti d’interessi, alle clientele e alle diseguaglianze: verso il basso.---

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