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venerdì 23 marzo 2018

“Tom Tom”: editoriale di Marco Travaglio

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 23 marzo 2018 – 
Come i lettori avranno notato, dopo il voto il Fatto – un po’ per serietà un po’ per noia – si è sottratto al giochino del “chi telefona a chi”. Così ci siamo risparmiati quella dozzina di nuovi governi già fatti che quotidianamente i giornaloni hanno dato per certi, salvo annunciarne subito altri di segno opposto. La verità è che se un governo nascerà e, nel caso, quale, non lo sa nessuno: né Mattarella né i leader dei partiti, figurarsi noi giornalisti. Quel poco che sappiamo è chi ha vinto (M5S e Lega), chi ha perso (Pd e FI) e quali sono le 5 maggioranze di governo possibili sulla carta.
1) Lega+5Stelle: è il sogno del Pd e di Repubblica, ansiosi l’uno di riprendersi il monopolio sugli elettori di centrosinistra e l’altra di dimostrare che erano vere tutte le balle raccontate sui patti occulti Di Maio-Casaleggio-Salvini e sui 5Stelle fascio-razzisti; conviene a Salvini, che ucciderebbe B. con un paletto di frassino al cuore; ma non conviene a Di Maio, che perderebbe tutti gli elettori di centrosinistra (la maggioranza, specie dopo l’ultima tornata) e una parte dei suoi eletti (in gran parte meridionali); dunque è improbabile....

2) Centrodestra+Pd: è il sogno di B. (annacquerebbe Salvini e Meloni e tornerebbe all’amata sponda con gli inciucisti renziani) e di Renzi (rimetterebbe a cuccia la sinistra interna); potrebbe far comodo a Salvini, che darebbe le carte come leader del centrodestra; e pure ai 5Stelle, ricacciati per l’ennesima volta all’opposizione, stavolta però da soli, con la prospettiva di veder naufragare l’inciucione e capitalizzare il malcontento alle prossime elezioni, magari fra un anno con le Europee; quindi non è impossibile.
3) Centrodestra+5Stelle: piace a Salvini, che col M5S darebbe un segnale di novità e metterebbe in minoranza B.; non dispiace a B. come extrema ratio, per restare comunque determinante al governo piuttosto che irrilevante all’opposizione; ma sarebbe letale per i 5Stelle, che verrebbero linciati da elettori e militanti sulla pubblica piazza; dunque è improbabilissima.
4) Centrodestra+5Stelle+Pd: piace ai due sconfitti, cioè al Pd che non avrebbe nessuno all’opposizione e a B. che terrebbe un piede nel governo, sia pure non decisivo; ma sarebbe un suicidio per i due vincitori, perché né Salvini né Di Maio sarebbero determinanti e si perderebbero in un grande blob indistinto; dunque è improbabile.
5) 5Stelle+Pd+LeU: è puro veleno per gli sconfitti Renzi e B., che resterebbero totalmente fuori dai giochi; conviene ai 5Stelle, che potrebbero realizzare alcuni punti cardine del loro programma.
Fa comodo a un Pd derenzizzato e a LeU, che potrebbero riunirsi, dimostrare agli elettori superstiti e fuggiti di essere guariti, varare le politiche sociali attese dai milioni di esclusi e garantirsi 2-3 anni di tranquillità per ricostruire dalle macerie un nuovo centrosinistra; non dispiace a Salvini, che completerebbe la cannibalizzazione di FI in un nuovo centrodestra a trazione leghista; dunque è la meno improbabile. E anche la più auspicabile. O meglio: lo sarebbe se, nella politica italiana regnasse la logica. Invece domina la follia. Nessuno si fida di nessuno, perché due dei quattro giocatori sono pugili suonati che non hanno ancora deciso cosa fare: B. cambia idea a ogni stormir di fronda; e il Pd è in stato confusionale, senza nessuno che comandi e prenda decisioni. E le due opzioni meno impraticabili dipendono proprio dal Pd: se rimane renziano, guarda a destra; se si libera di Renzi, guarda al M5S e a LeU. Ma al momento resta nel guado, come l’asino di Buridano in mezzo a due secchi d’acqua e due di avena: guarda di qua, guarda di là, non si decide mai e alla fine muore di fame e di sete. Lo si è visto già nella partita delle presidenze delle Camere, che non richiede alleanze durature, ma solo intese tecniche e momentanee, visto che nessun gruppo ha i numeri per eleggersi i due presidenti da sé. Insomma, basta un pizzico di responsabilità, flessibilità e fantasia per garantire una degna rappresentanza istituzionale ai tre poli e ai loro elettori. Di Maio, Salvini e B. si sono mossi, il Pd è rimasto fermo. Salvo ieri chiedere tutto trafelato di rientrare in partita a tempo quasi scaduto. Se si fosse attivato per tempo, avrebbe potuto ottenere una delle due presidenze, essendo pur sempre il secondo partito: magari con l’aiuto dei 5Stelle, certamente meno imbarazzati a votare uno Zanda al Senato o un Franceschini alla Camera che un Romani o un Gasparri.
Ma finora chi sondava il Pd non sapeva con chi parlare e incontrava solo autocandidati privi dell’appoggio dei gruppi parlamentari, balcanizzati in sei o sette bande. Così, per ora, il Pd ha perso la partita per abbandono, senza neppure giocarla. Dopodiché, per quei misteriosi motivi che impongono sempre a Salvini di cedere a B. dopo tanto strepitare, la Lega vincitrice ha ceduto a FI sconfitta la presidenza del Senato. E così i maldipancia del M5S per l’accordo obbligato con chi ci stava (il centrodestra, in mancanza di meglio) sono diventati dissenteria e vomito, visto che B. non riesce a proporre che pregiudicati. Vedremo se il veto di Di Maio su Romani sortirà l’effetto sperato. Se B. insisterà sul condannato, i 5Stelle potrebbero convergere su Zanda (o chi per lui) e inguaiare il Pd, che vorrebbe astenersi per far passare Romani e preparare l’inciucio prossimo venturo. Se invece il Pd si asterrà fino all’ultimo, B. dovrà sperare di eleggersi Romani con tutti i voti del centrodestra (salvo scherzetti dei leghisti nel segreto dell’urna). Oppure mollare Romani e proporre figure meno sputtanate e sputtananti per chi le vota e per l’istituzione che dovranno rappresentare. Ma, com’è noto, un forzista incensurato è un ossimoro.---

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