Anche Cincinnati si è dotata, nell’ospedale pediatrico, di un Programma Transgender (TP). All’apertura nel 2015, ha curato un centinaio di pazienti. Nel 2017, ne ha trattato oltre mille. Ed ha ricevuto una donazione di 2 milioni di dollari da una ricca coppia di benefattori, il cui figlio d 8 anni ha voluto cambiare sesso. Fatto degno di nota, i medici del TP hanno cambiato sesso a tutti quelli che hanno visitato: apparentemente non ne hanno trovato nessuno normale. Nelle 14 cliniche per il gender che esistono nel Regno Unito, il numero dei pazienti che bussano e ricevono il trattamento, aumentato del 100 per cento l’anno scorso. Nel decennio, pazienti che si ritengono “donne prigioniere nel corpo di un uomo” (o il contrario) sono aumentati anche di 28 volte. Simili colossali aumenti di ”disturbi del genere” sono registrati in Australia, in Svezia, in Usa, in corrispondenza con il sorgere delle cliniche che curano il “disturbo”. Negli Stati Uniti, nel 2011, circa 1,4 milioni di adulti si dichiaravano trans-gender.
Ora, c’è da mettere qualche punto sulle i.
Se esistesse una qualche base biologica per questo fenomeno, la percentuale degli aspiranti trans-gender dovrebbe essere la stessa in ogni Stato. Invece, a Washington, la capitale, i trans gender sono il triplo o il quadruplo di quelli presenti negli altri stati (2,8 su 1000, contro o.70 o anche 0.30 negli stati rurali). “La accresciuta visibilità e accettazione sociale delle persone trans gender possono accrescere il numero di persone che vogliono identificarsi come trans”: così ipotizza lo Williams Institute, un centro di ricerca socio-sessuale presso l’Università di Los Angeles (UCLA). Il filosofo Ian Hacking, che ha studiato la questione, parla di un “contagio semantico” in corso: la mediatizzazione, che pretende di solo descrivere il fenomeno, crea le condizioni per la sua diffusione. L’attivismo dei militanti ideologici, l’insegnamento nelle scuole a “non avere pregiudizi” e a “scoprire il proprio gender”, gli studi accademici sul cambiamento di genere, la grande “comprensione” sociale per i trans o LGBT vari, il fatto che nascano queste cliniche, che esse siano finanziate e persino forniscano le “terapie” a spese pubbliche, possono di per sé spiegare come mai, tanti maschi arrivino al punto di farsi amputare i genitali, operazione irreversibile, per farsi fare dal chirurgo plastico una vulva artificiale?
I militanti ideologici, che dominano il discorso, dicono che”uno nasce così”, trans gender o sessualmente insoddisfatto del suo genere, “donna prigioniera nel corpo di un uomo”. E’ il politicamente corrette che viene imposto. Mentre tutti gli indizi suggeriscono questo: “La cultura moderna non rivela i trans, li sta creando” (Anne Hendershott su Catholic World Report).
Malattie mentali alla moda
Che i disturbi mentali o del sé siano dipendenti dal contesto culturale di un dato momento storico, o persino da un “contagio psichico” che fa sì vi siano come delle “mode” nelle psico-patologie, è noto agli specialisti. L’Amok è una follia omicida che colpisce in Indonesia e Nuova Guinea. Nell’ultimo ‘800, giovanotti francesi soffrivano di “stato di fuga”, tornando in sé dopo mesi a Mosca o a Algeri, senza sapere come ci erano arrivati. Negli anni ’70, migliaia di americani bussarono alle porte di psicoterapisti dicendosi abitati da due (o anche dodici) personalità diverse, e venendo debitamente diagnosticati dai terapisti per “disturbo di personalità multipla”, affezione che oggi sembra scomparsa. In compenso oggi siamo travolti da scolari travagliati dal Deficit d’Attenzione e iperattività e trattati con quintali di Prozac, da “gender incerti” e simili modulazioni della sfera psico-sessuale, che per di più negano che il loro sia un disturbo, ma lo dichiarano un diritto.
Il fatto è che ogni tanto spunta “un modo nuovo di essere matti”.
La frase è il titolo di un saggio che Carl Elliott, un medico che si occupa di etica della sanità, pubblicò nel 2000 – per occuparsi di un”disturbo del sé” apparentemente più aberrante ancora del cambiamento di sesso. Un chirurgo scozzese aveva amputato le gambe di due pazienti su loro richiesta, ed era stato fermato prima che ne operasse un terzo. I due amputati avevano difeso il medico, raccontando ai giornali come erano più felici e completi adesso, senza la gamba.
Elliott scoprì che il fenomeno è meno raro di quanto si crede. Scoprì diversi casi in cui i pazienti s’erano procurati da soli cancrene, e ferite spaventose, per poter poi andare all’ospedale ed ottenere il taglio chirurgico dell’arto. Altri avevano provato a porre la gamba sui binari … Un piccolo mercato di amputazioni clandestine s’era creato in Messico, dove un ottantenne americano aveva pagato 10 mila dollari per farsi asportare un arto. Elliott ha scoperto che su internet gli aspiranti alle amputazioni, e quelli attratti sessualmente da amputati, si parlavano fittamente in chat-rooms sul web – uno di questi salotti virtuali aveva 1400 iscritti – dove si scambiavano fantasie e consigli su come farsi mutilare di un arto. C’è anche una ricca produzione di pornografia per amputati, essendo tale attrazione fortemente sessuale.
Inserendosi in uno di questi siti, Elliott ha potuto fare domande ai partecipanti. “Il mio piede destro non era parte di me, l’ho capito da quando avevo 8 anni”, gli ha comunicato uno. “Non mi sono mai sentita veramente completa con le gambe”, gli ha detto una quarantenne. In generale, tutti spiegavano che con le due gambe “non mi sento me stesso”, e che cercavano l’amputazione “perché voglio vedermi come sono dentro, essere me stesso come sento di essere”. Insomma la stessa motivazione dei trans: “Mi sento imprigionata/o nel corpo sbagliato”. E soffrono veramente. E risultano tetragoni a qualunque trattamento psichico. E solo una volta “tagliati” trovavano serenità.
Presto il “diritto a farsi amputare”?
Che fare?, si chiede il bio-eticista Elliott. Ormai i trans hanno conquistato il “diritto” al trattamento ormonale e alle asportazioni del pene, legalmente e gratis presso il servizio sanitario nazionale; quando questi esigeranno il “diritto” a farsi asportare i piedi e le gambe, “mi interrogo sullo status etico della chirurgia come soluzione. L’amputazione deve essere considerata un atto di chirurgia estetica? O un trattamento psichiatrico invasivo?…”
Inquietante sapere che il primo psichiatra a descrivere questa volontà di essere amputato, o di essere attratti eroticamente da amputati, è stato – nel lontano 1977 – John Money. Un nome famigerato: docente alla prestigiosa John Hopkins, John Money (1921-2006), che aveva aperto una clinica”per l’Identità di Gender” dal ’65 praticando le prime chirurgie plastiche e iniezioni di ormoni per transessuali. E il “dottore” che nel ’67 ricevette i genitori di David Reimer, un neonato che aveva subito una amputazione accidentale del pene, e li convinse che un’operazione plastica, una cura di estrogeni e una adeguata educazione di tipo femminile l’avrebbe trasformato in una bambina. A meno di due anni d’età, al piccolo David furono asportati i testicoli, chiusi i dotti seminali e trasformato lo scroto, con un intervento plastico, in una “rudimentale vagina esterna”. In realtà David trasformato in Brenda “andò incontro ad una devastante crisi d’identità”. Si sentiva un maschio, si comportava da maschio, e per questo subiva le derisioni di compagni e compagne. A 14 anni manifestò idee suicidarie; i genitori allora gli confessarono la verità su quello che avevano fatto al suo corpo. Allora “Brenda” decise di tornare “David”, si sottopose a terribili interventi, mastectomia doppia, dosi di testosterone; riuscì persino a sposarsi, nel 1990. Ma finì per suicidarsi a 38 anni. Grazie alle idee “innovative” sul gender di Money.
Da qui a constatare che Money ha, se non inventato, promosso e amplificato “il nuovo modo di essere matti” , l’amputo-filia, il passo è breve. Dice Elliott: “Gli psichiatri, cominciando a diagnosticare psichiatricamente un fenomeno, lo reificano nei manuali, sviluppano strumenti per misurarlo e valutarne la gravità; dirigono i pazienti verso gruppi di sostegno, ne scrivono su riviste – con ciò, possono unirsi a forze culturali più vaste per contribuire alla propagazione di una turba mentale”. Ciò è esattamente quel che è avvenuto con il cambiamento di sesso: da quando è entrato nel discorso pubblico come moneta corrente, “un numero sempre maggiore di persone ha cominciato a interpretar la sua esperienza in termini di “turba della identità di genere” – in qualche misura, sono divenute le persone descritte da questi termini”, fino al giorno in cui tutto sarà rimpiazzato dal nuovo modo di essere matti più culturalmente alla moda.
Sul perché c’è gente, peraltro normalissima ed integrata, che cerca di farsi amputare una gamba (o tagliare il pene) Elliott dice di non saper rispondere, se non che nell’uomo la sessualità è malleabile e può comprendere ogni aberrazione. Ma coglie più nel segno quando spiega che questi sono tutti “disturbi del sé”, di gente insoddisfatta della propria immagine corporale come non coincidente con il loro autentico Io.
“Non dobbiamo stupirci, perché il linguaggio dell’identità e dell’essere se stesso ci circonda dovunque”. Siamo invitati fin da bambini a “esprimere noi stessi”, ad essere “liberi da condizionamenti e tabù” per far emergere “il nostro io autentico e spontaneo”; “l’invito all’autentica identità è iscritto nella letteratura, nella cultura popolare, nella pubblicità, nella nostra filosofia politica individualista, nella sensibilità terapeutica. E’ così che parliamo tutti oggi, così che pensiamo: essere noi stessi, far fiorire il nostro Io vero. E’ questo il modo con cui ci vendono le auto e le scarpe. Parliamo continuamente di “scoperta di sé”, di auto-realizzazione, di auto-espressione, di auto-conoscenza, di non tradire noi stessi, di essere egocentrici. Non è poi una grande scoperta apprendere che il vocabolario del “sé” sembra il modo naturale con cui descriviamo i nostri desideri, le nostre ossessioni – e le nostre psico-patologie”.
Il che suggerisce come uscire da questi modi di essere matti. Le pedagogie di una volta, erano l’opposto e contrario: non invitavano i bambini ad “esprimere se stessi”, ma tutti a dimenticare se stessi in un compito, in un lavoro, come padre e madre di famiglia, come artigiano, come operaio o medico – in un’arte, in una vocazione. Michelangelo e Leonardo non hanno “espresso se stessi”; ma hanno dipinto e scolpito i soggetti che gli chiedevano i committenti, papi o re di Francia. Eppure nelle loro opere, rilucono le loro “personalità”, i loro “io inconfondibili”. Quando gli artisti hanno voluto solo “esprimere se stessi”, la propria preziosa personalità, ecco Picasso, Lucio Fontana e gli sgorbi dei graffitari. A forza di volersi auto-realizzare, si finisce per sentirsi trans, o farsi amputar le gambe. Perché “il proprio Io” è un pozzo senza fondo. Pieno di modi sempre nuovi per diventare pazzi.----
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