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domenica 25 marzo 2018

“Intanto, Grillo…”: editoriale di Marco Travaglio



(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 25 marzo 2018) – 
Venerdì sera, mentre Di Maio e Salvini tumulavano la salma del Caimano che ha 5 anni più della somma delle loro età, ero al teatro Flaiano di Roma, a 50 metri esatti da Palazzo Grazioli, il luogo delle esequie. C’era Insomnia, lo spettacolo di Beppe Grillo, che sta per compierne 70, ma ha un’energia e una curiosità che fanno sentire vecchi anche i bambini. Lo show dovrebbe durare un’ora e mezza: va avanti per due e mezza. Poi prosegue per altre tre a tavola, alla cena con un po’ di amici nelle segrete del teatro, dove un tempo facevano notte Flaiano, Fellini e altri geni. Grillo sa dei tanti giornalisti in sala (quelli del “lui ha detto che quello avrebbe detto”) pronti a carpire una frase, un sospiro, un’increspatura della barba sulle trattative per i presidenti delle Camere. E li delude: “Ho un repertorio della Madonna su queste cose, ma non voglio imbarazzare il Movimento: però, appena fanno questi cazzo di presidenti, mi scateno!”. Due sole battute non riesce proprio a trattenerle. Una su Renzi: “L’ebete mi sono bastati 30 secondi in streaming per inquadrarlo, ma come avete fatto a prenderlo sul serio per quattro anni?”...
E una su B.: “Ora lo psiconano vuole incontrarci, vorrà capire se nel Movimento c’è fica. Ma le nostre sono donne diverse dalle sue, forse non la danno neanche ai mariti. E hanno appena cominciato a depilarsi”.
Pochi secondi in due ore e mezza di spettacolo torrenziale, quasi tutto dedicato alle nuove tecnologie e ai cambiamenti del pianeta. Al futuro federalismo basato sulle grandi città. Alle migrazioni che “vanno gestite e non ostacolate coi muri”. Ai big data, ai bitcoin, alle nuove catene umane web a prova di hacker (blockchain). All’intelligenza artificiale. Al reddito di cittadinanza come antipasto del reddito universale, “per trasformare i milioni di esclusi invisibili in individui protagonisti”. Ad altre cose che più “di sinistra” non si può e che nessun leader di sinistra dice mai (almeno in Italia). All’ultima risata di Dario Fo intubato e incosciente nel letto di ospedale: “Mulinava braccia e mani per dipingere in aria i suoi sogni e io gli sussurrai all’orecchio: ‘Ma i quadri che mi hai regalato, ora che te ne vai, valgono di più?’”. Al nuovo blog sganciato da quello dei 5Stelle. Al prossimo viaggio in Norvegia sulle tracce degli orsi bianchi che “si estinguono perchè non trovano più pesci, digiunano e diventano gialli, così pure le foche li sgamano da lontano e non si fanno mangiare manco loro”. Riecco, in un teatrino di 150 posti, l’artista-utopista che la politica aveva rubato al pubblico: “Una volta riempivo i palasport, ora riparto dai cabaret”.
Anche se sapesse che i suoi si stanno accordando su Maria Elisabetta Casellati Alberti Serbelloni Mazzanti Viendalmare, cioè l’avvocato Ghedini con parrucca e gonna, quella che da sottosegretaria fece assumere la figlia al ministero, che strillava al golpe ogni volta che processavano il Caimano, che riusciva a restare seria su Ruby nipote di Mubarak, Grillo non farebbe un plissè. Un po’ perchè condivide la svolta governista: “Da bambino, per stare sicura, mia mamma mi affidava al nostro vicino di casa, Donato Bilancia: lo capite perchè non mi fa paura niente e nessuno?”. Un po’ perchè si è felicemente liberato dell’uniforme, anzi della camicia di forza di “capo politico” (“ho abdicato, poi non più, poi di nuovo…”) che l’ha costretto per anni a mordersi la lingua appena gli usciva una battuta (“io che per una battuta sarei disposto a morire, appena ne facevo una ricevevo le proteste del tal meetup, del tal candidato”). Meglio il “garante” a debita distanza: “Di Maio l’ho conosciuto dieci anni fa in un bar di Pomigliano, ero con Alex Zanotelli in tour per le discariche col megafono, Luigi era lì con altri quattro ragazzi uguali a lui: cinque Di Maio col sopracciglio unico, i capelli neri, la pelle scura, sembravano tutti immigrati. Ora sono bravissimi a fare le cose che devono fare, ma che io non potrei mai fare. In questa fase, per il Movimento, io sono un pericolo pubblico”.
Incapace di parlare coi politici per tentare alleanze (“Stiamo andando al governo… ma io scherzavo!”), preferisce dialogare sul palco con gli amici neurologo e ingegnere. E raccontare dei top manager Toyota e dei diplomatici cinesi che vogliono incontrarlo e, prevenuti per quel che si scrive di lui, “si stupiscono perchè non monto subito sul tavolo e non li mando affanculo, anzi parlo persino in italiano e ho letto qualche libro”. Fermo restando che “la parolaccia è sempre meno volgare dell’orecchio che la ascolta”, perchè “è più volgare un buongiorno detto da uno stronzo che un vaffanculo detto da un amico. E comunque il Movimento è nato da un urlo, non da una parolaccia”. Invece il Grillo “politico” nacque un po’ grazie a Craxi: “Poteva distruggermi con una controbattuta, e invece chiese alla Rai di cacciarmi per una gag sul suo viaggio in Cina”. E un po’ grazie al Pd: “Gli ho offerto il nostro programma gratis, mi sono iscritto alla sezione di Arzachena, mi sono candidato alle primarie: se mi avessero fatto parlare al congresso, mica avrei fondato un movimento. Ora la sinistra scompare perchè è snob, non ha più un linguaggio, è noiosa”. Alle tre, quando si alza da tavola, corre ormai voce dell’accordo su Fico e Casellati. Ma Grillo sta raccontando con l’occhio ispirato gli esperimenti francesi per trasmettere Internet non più sulle onde radio, ma su quelle luminose, e i corsi in Cina per disintossicare la gente dalla Iphone-dipendenza. Pare brutto disturbarlo con le miserie di palazzo. Lui, con la testa, è già sul pack. A maggio, mentre qui si parlerà ancora del governo che non c’è, inseguirà gli orsi polari. E anche così, a modo suo, farà il “garante”: un promemoria ambulante per ricordare ai suoi 333 eletti perchè sono lì.---

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