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venerdì 30 marzo 2018

“Gné-gné “: editoriale di Marco Travaglio

Andrea Scanzi: "Pd, la finissima strategia politica renziana: il rosicamento"


(di Marco Travaglioda Il Fatto Quotidiano 30 marzo 2018) – 

Quando parliamo di spread, pensiamo sempre al differenziale fra il rendimento dei titoli di Stato tedeschi e di quelli italiani. E trascuriamo tutto il resto. Per esempio che in Germania si lavora di meno e si guadagna di più, chi cerca lavoro ha un reddito minimo garantito, chi evade le tasse finisce in galera, i politici coinvolti in scandali lasciano subito tutti gli incarichi (anche se non sono neppure indagati). Non solo: il 24 settembre, alle elezioni, la Cdu di Angela Merkel è arrivata prima per la quarta volta consecutiva, ma per la terza non ha avuto la maggioranza assoluta. Così ha iniziato a lavorare per un governo di coalizione. Con chi? Con i partiti che riteneva meno incompatibili col suo programma: i Liberali e i Verdi, che però, dopo lunghe consultazioni, si sono rivelati incompatibili. Allora, prima di arrendersi, si è rivolta all’Spd guidata da Martin Schulz, il quale aveva giurato agli elettori di non ripetere la Grosse Koalition dell’ultima legislatura. A furia di appelli del capo dello Stato e della cancelliera incaricata, i socialdemocratici hanno accettato di trattare con lei su programmi e ministeri. E alla fine hanno trovato un’intesa, scritta nero su bianco, anche se Schulz, sconfitto e poi sconfessato, ha perso il posto in favore del quasi omonimo Olaf Scholz. Il 4 marzo gli iscritti dell’Spd, consultati in un referendum, hanno approvato la svolta governista al 66%. Ed è nato il nuovo governo, con un’agenda di leggi da approvare, concordate nei minimi dettagli fra i partner...

In Italia, in campagna elettorale, i tre blocchi negavano qualunque ipotesi di collaborare con altri dopo il voto. Solo i 5Stelle aggiungevano che, se non avessero ottenuto il 51% dei seggi, avrebbero proposto il loro programma e i loro ministri (“tecnici” esterni al M5S, perlopiù di area centrosinistra, a parte il candidato premier Di Maio) alle altre forze politiche per cercare intese “sui temi”. Invece Pd, Lega e FI ripetevano che, senza la maggioranza a uno dei tre blocchi, l’unico sbocco sarebbe stato il ritorno alle urne. Il 4 marzo nessuno ha avuto la maggioranza assoluta. I 5Stelle insistono a cercare convergenze sul loro candidato premier, sui loro ministri (divenuti trattabili) e sul loro programma. B. non parla più di elezioni, da cui uscirebbe più asfaltato di quanto già non sia, ed è pronto a entrare in qualunque governo: sia col Pd, sia financo con M5S. Il Pd invece non vuole nuove elezioni (cioè un’altra batosta), ma nemmeno governare. Almeno così dice il leader sconfitto Renzi, che non ha più la forza di imporre la sua linea, ma ha ancora quella di impedire agli altri di averne una.
Gli altri, la cosiddetta opposizione interna degli Orlando, dei Franceschini, di quel che resta dei lettiani e dei prodiani, sono un’accolita di smidollati che vorrebbero archiviare il renzismo ma aspettano che un meteorite se lo porti via: non sia mai che debbano fare un gesto, dire una parola, prendere un’iniziativa che li spettini un po’. Imitare l’Spd, manco a parlarne. Ieri Franceschini e Orlando hanno battuto un colpo: vedremo. Finora, a ogni occasione di liberarsi di Renzi, scappavano tremebondi o perdono la favella, come Fantozzi col megadirettore galattico. L’altro giorno potevano provarci alla Camera, dove Renzi non controlla più il gruppo, ma si sono rifugiati nella furbata di eleggere capogruppo Delrio, che forse non è più tanto renziano come prima, ma è corresponsabile del disastro elettorale e dovrebbe sparire. Così il secondo partito d’Italia, col 18%, se ne sta appollaiato su un farsesco Aventino: non perché abbia scelto di stare all’opposizione, ma perché non sa che dire né che fare. La sua linea politica è il rosicamento, riassumibile in due puerili monosillabi: “gné-gné”. Prima i pidini scappano via col pallone nella speranza che non giochino neanche gli altri. Gli altri intanto ne comprano un altro e giocano la partita, nominando presidenti, vicepresidenti e questori delle Camere. E i dem non toccano palla, salvo poi piagnucolare perché gli altri non gliela passano. Poi si autoconsolano con sondaggi farlocchi ed editoriali dei giornali che li hanno sempre leccati e mal consigliati, nella beata (e beota) illusione che gli elettori superstiti li vogliano all’opposizione (ma a cosa, visto che non si sa chi andrà al governo?).
Si cullano in una presunta, ritrovata purezza che non esiste, perché poteva valere per i 5Stelle al primo giro di giostra, non certo per un partito che negli ultimi sette anni è andato a letto con tutti per puro potere. E diventano ridicoli quando rinfacciano ai 5Stelle il voto alla Casellati che era loro alleata nei governi Monti e Letta e che proprio loro elessero al Csm per mettere in riga i pm scomodi (anche e soprattutto per loro). Quando, dopo cinque anni passati a deplorare l’autoisolamento del M5S dopo lo streaming con Bersani, fanno addirittura di peggio, rifiutando financo di parlare con loro. O quando, come ieri, attaccano il mitissimo Massimo Franco del Corriere perché descrive gli effetti politici della loro nullaggine. Ovviamente la scelta aventinista è legittima, ci mancherebbe: ma se Di Maio facesse finalmente loro una proposta su pochi punti, a partire da un inizio di reddito di cittadinanza, bandiera di tutte la sinistre europee, che figura farebbero con i loro elettori a non starlo nemmeno a sentire? E sono proprio sicuri che, quando Mattarella chiederà a loro, come a tutti, di entrare in partita, risponderanno ancora di no, rendendo inevitabile il governo 5Stelle-Lega o il ritorno alle urne? A quel punto non sappiamo come la penserebbe la maggioranza degli italiani. Ma crediamo di sapere come reagirebbero i loro elettori.---

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