Monica Rubino per repubblica.it) –
«Se il Pd scende sotto la soglia del 25% nel proporzionale, il centrosinistra in Italia è morto. Peggio che i socialisti in Francia». Con questo fosco pronostico Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, commenta le preoccupanti previsioni sul risultato nei collegi su cui sta lavorando in questi giorni il partito di Matteo Renzi.
Professore, dai sondaggi interni risulta che il Pd potrebbe fermarsi a 28 collegi su 232. Come si è arrivati a questo?
«È una vecchia storia, il problema viene da lontano. Io sono fra quelli che, più di dieci anni fa, consigliai a quel partito che stava per nascere di darsi un assetto veramente federalistico, con effettiva autonomia territoriale.
Ma questo consiglio non è stato seguito. Il Pd non è mai nato e la convivenza coatta ha portato alla rottura, avvenuta proprio nel momento peggiore».
La situazione sembra grave nel Nord che lei ben conosce. Che cosa è mancato?...
«Il Pd non ha sentito l’ esigenza di creare una classe dirigente radicata nelle regioni settentrionali. Ha qualche speranza in Friuli Venezia Giulia e forse in Piemonte e Liguria. Ma in Lombardia e Veneto, dove vivono 15 milioni di cittadini, non toccherà palla, questo è certo».
Anche al Sud però le cose non vanno meglio. Persino in Campania, governata dal centrosinistra, il Pd rischia di non vincere nemmeno in un collegio. Come mai?
«Ma è ovvio, in Campania c’ è De Luca, esempio vivente di una classe politica che non è all’ altezza. Al punto tale da indurre Renzi a ricorrere ai ministri per fare campagna elettorale. Schierare Gentiloni, Padoan, Delrio e Calenda in fondo è una scelta saggia, sono gli unici nomi spendibili».
Al Nord i pochi collegi “contendibili” sono Milano, Torino e Venezia centro. Si riconferma la debolezza del Pd nelle periferie?
«Sì, non è una novità, una tendenza già vista ma che si è aggravata negli anni. E il Pd non ha fatto nulla per capirla, figuriamoci per contrastarla. Rischiamo di consegnare il Paese o all’ avventura pura, ovvero ai Cinquestelle, o a Salvini, perché non penso che Berlusconi possa garantire chissà quali prospettive».
Pensa che il Rosatellum si sia trasformato in un boomerang per il Partito democratico?
«Questa legge elettorale è una follia. Continuo a chiedermi come sia stato possibile che Renzi non abbia capito che era così negativa per il suo partito. Mi viene da pensare quasi che sotto ci sia stato un complotto».
Forse il piano era di fare le larghe intese fin dall’ inizio?
«Impossibile, avrebbero dovuto optare per un proporzionale puro, come in Germania. Solo Mattarella, se all’ indomani del voto non ci dovesse essere nessun vincitore, potrebbe obbligare le varie forze a fare un governo del presidente, come indica indirettamente anche D’ Alema».
Il Mattarellum favoriva di più il voto a sinistra?
«Nel 1996 Prodi andò al governo con l’ Ulivo perché all’ epoca il centrosinistra aveva una rappresentatività locale più forte e quindi i collegi, che nel Mattarellum erano di più, favorivano questo meccanismo.
Per questo vent’ anni fa si parlava di Ulivo federale. Ma ha prevalso il centralismo romano. E abbiamo perso le forze locali, che costituivano un importante valore aggiunto rispetto al centrodestra».
Di fronte alla prospettiva di una débacle, l’ unica speranza per il Pd è puntare sul voto utile?
«Adesso non si può fare altro che provare a salvare il soldato Renzi. Ultimamente il Pd sta dimostrando uno straccio di responsabilità e di comprensione. Ma ha fatto troppi errori negli ultimi tre anni – dal referendum alla legge elettorale – e temo sia troppo tardi».
In questa campagna elettorale i vari leader politici fanno a gara nel promettere l’ impossibile. Secondo lei se qualcuno dicesse la verità, vincerebbe le elezioni?
«È il consiglio che ho dato al Pd. A questo punto un discorso realistico, misurato, sullo stile di Gentiloni, forse potrebbe fare la differenza rispetto ai messaggi sconclusionati degli altri competitori politici».---
Nessun commento:
Posta un commento