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giovedì 4 gennaio 2018

Luca Telese: “Il grande affare privato nascosto dietro la tassa sui sacchetti biodegradabili”



(di Luca Telese – tiscali.it) – Cartelli affissi nei supermercati di tutta Italia per spiegare che i due centesimi sui bio sacchetti sono imposti per obbligo di legge, proteste dei consumatori che si rifiutano di usare questi sacchetti di plastica, rivolta sui social network, postaggio di foto di frutta con etichetta applicata direttamente sulla buccia, minaccia di boicottaggio d’acquisto.
Cosa sta succedendo intorno alla nuova legge e agli obblighi che impone? Che cosa è mai questa rivolta dei consumatori? Un capriccio o una legittima protesta?
Ecco la storia dei sacchetti nella sua disarmante semplicità. Il governo decide di recepire una normativa Europea, ma ci mette del suo, nel senso che lo fa a modo suo. Dunque non fa (come sarebbe stato logico), una legge-quadro sul riciclaggio, non si occupa degli imballi e degli smaltimenti, sulla base di un principio comune e con un testo organico che affronta tutto il ciclo del riuso. Infila invece in un provvedimento sul mezzogiorno un articolo di tre pagine in cui ci si occupa dei famosi sacchetti “biodegradabili” (qui non entriamo nello specifico di quanto siano effettivamente biodegradabili e di quanto siamo effettivamente compostabili), e costruisce questo dispositivo molto stretto: l’esercente è obbligato a far pagare i sacchetti al consumatore. Il consumatore è obbligato a comprarli (spendendo mediamente da due a tre centesimi), non se li può portare da casa, e se li porta da casa incorre in una multa. A sua volta l’esercente è costretto a farti pagare i sacchetti, e se non te li fa pagare si becca una multa (nel suo caso stratosferica)...

In questo la legge italiana ha una sua radicale differenza dalla normativa europea, che è centrata non sul modello usa e getta, ma su quello del riciclaggio. Si tratta di una tassa obbligata, che però non è una tassa: il ricavato di quello che si paga non finisce infatti allo Stato, magari per sostenere politiche di scopo o di salvaguardia ambientale, ma ai produttori.
E qui siamo all’ultimo capitolo del ciclo (e della storia): è vero che ci sono tanti produttori di sacchetti in Italia, come ha scritto ieri sera Matteo Renzi provando a difendersi dalle accuse che gli sono piovute sulla testa dalla rete, in un post sarcastico e amareggiato. Ma è vero anche che le specifiche della legge impongono degli standard che in Italia sono rispondenti ad un solo prodotto: il mater-bi, realizzato con un brevetto esclusivo dalla Novamont.
Quindi se tu adesso in Italia vuoi produrre sacchetti di plastica, (da spesa o trasparenti per generi alimentari) devi ricorrere ad un solo produttore di materia prima che è la Novamont, unica detentrice del brevetto mater-bi. Quindi quel costo imposto dagli esercenti non è una tassa: ma solo perché il beneficiario del prelievo da due centesimi che gli esercenti hanno già iniziato ad applicare anche se non compri il sacchetto (direttamente sullo scontrino, quindi) non è lo Stato, ma un produttore di materia prima che rifornisce i produttori di sacchetti. Cioè Novamont.
Corollario: a prescindere dal fatto che questa parte della legge sia giusta o sbagliata (una legge che privilegia una sola azienda in Italia secondo me lo è sempre), in virtù di questa legge diventa per ovvi motivi una notizia sensibile il fatto che Catia Bastioli, la numero uno di Novamont, sia stata nominata da Matteo Renzi alla guida di Terna, come il fatto che sia stata relatrice alla seconda Leopolda organizzata da Renzi, e così come pure che la sua azienda sia stata una tappa del viaggio di Renzi in treno.
C’è un conflitto di interessi tra questi due incarichi della Bastioli, quello della manager pubbliche e quello della manager privata? Che conflitto di interessi esista lo sostiene – per esempio – oggi su La Repubblica, Sergio Rizzo, vicedirettore del quotidiano di Largo Fochetti. Mentre Massimo Caleo, senatore del Pd e padre della norma sulle sanzioni sui i sacchetti bio ieri spiegava, dai microfoni di Radio24: “Ho fatto quest’emendamento per il semplice motivo che era giusto proseguire su quella strada lì. Io non conoscevo nessun dirigente di quella società”.  Possibile? “So chi è Novamont ma all’epoca, mi creda, io non conoscevo nessun dirigente di quest’azienda”.
Cosa significa all’epoca in cui ha scritto l’emendamento? È possibile che sia davvero così, detto da un vicepresidente della commissione che da cinque anni si occupa di questi temi? Dice dal canto suo la Bastioli, sdegnata: “Ho incontrato Renzi solo quattro o cinque volte, ero molto dubbiosa se accettare la nomina alla guida di Terna”. Però alla fine l’ha accettata. Era giusto o sbagliato combinare due ruoli opposti, uno di fornitore di merci, e uno di amministratore per conto della cosa pubblica? Consegno il dubbio alla sensibilità di ognuno, io vedo un limite di opportunità.
I difensori del provvedimento, però, passano al contrattacco e dicono: è una norma che favorisce l’ambiente, il costo è irrisorio, farò pagare al cittadino serve a sensibilizzarlo sul riciclaggio, ci sono altri produttori europei, il nostro provvedimento farà scuola, la Novamont non può essere colpevolizzata solo perché detiene un brevetto.
Occorre però aggiungere che la stima minima del volume economico del provvedimento che è stata fatta parla di un gettito di 600 milioni di euro, e di una spesa pro-capite per consumatore dai 4 a 6.5 euro a testa. Secondo me si tratta di cifre enormi (mezzo miliardo di euro!) nel dimensionamento finale, ma in ogni caso largamente sottostimate: perché se io governo obbligo te consumatore ad un acquisto per ogni prodotto che acquisto (se prendo una mela, una pera e una carota pago tre sacchetti) i volumi aumenteranno enormemente anche rispetto a oggi. E se io ti obbligo a comprare ogni volta (e quindi a buttare) un diverso sacchetto, io sto di nuovo aumentando – ovviamente – il volume degli scarti prodotti, con danni anche al ciclo del compostaggio. Il che è l’esatto contrario (parlando di altri paesi), ad esempio, del modello svizzero dove si è puntato su un sacchetto in fibra lavabile e quindi riutilizzabile.
E qui si arriva al nodo decisivo e non accessorio delle sanzioni: “Faremo in modo che i sacchetti possano essere portati da casa”, dice il ministro dell’ambiente Galletti a La Repubblica. Si, ma intanto tu mi multi, se io cittadino lo faccio. Servirà una circolare per permettere questa modifica. Ma allora  – mi chiedo – non era meglio rendere possibile il riuso da subito?
Messo alle strette il senatore Caleo ha ammesso che questa pratica sarebbe contro lo spirito della legge: “Non è permesso portare i sacchetti da casa. Io penso che se abbiamo stabilito che si debba prendere il sacchetto biodegradabile la risposta debba essere no!”. Per quali motivo? Il senatore dice: “Per motivi igienico sanitari”. E allora il cuore della rivolta sta tutto qui. Io considero positivo che la gente si arrabbi, “anche solo per pochi centesimi”: la legge ha dimostrato che se la gente paga vuole capire dove vanno i soldi che spende e perché.
Il principio di “responsabilizzazione” che auspicava il senatore Caleo è stato rapidissimo. Solo che in questo caso la responsabilizzazione non  ha riguardato il cittadino, ma i politici. Quei due centesimi, che diventano mezzo miliardo, una volta scontrinati e resi visibili hanno dimostrato non la volubilità dei cittadini, ma, piuttosto, l’improvvisazione e la scarsa lucidità dei politici. Ben venga, dunque, “la rivolta dei sacchetti”. Soprattutto se educa chi ci governa.---

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