Marchionne, De Benedetti, Zingales, Vegas. E poi Franceschini, Veltroni, Prodi, Pisapia. In tanti hanno scaricato l’ex Rottamatore. Passato dai fasti del 2014 all’essere il leader meno popolare del Paese.
(Alessandro Da Rold – lettera43.it) –
Non sono passati neppure cinque anni da quando il Barometro politico di Demopolis spiegava che Matteo Renzi poteva contare su un saldo 52% dei consensi, con il Partito democratico al 44%. Era l’estate del 2014, a pochi mesi dall’insediamento del segretario dem a Palazzo Chigi, all’indomani del successo alle elezioni europee.
FIDUCIA SCESA AL 23%, GENTILONI AL 44%. In meno di quattro anni quella fetta di consenso è stata più che dimezzata: secondo Ipsos, in un sondaggio per il Corriere della sera, è al 23%. Si tratta del leader meno popolare in circolazione in Italia, mentre il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni veleggia intorno ai 44 punti di consenso...
Chi conosce bene l’ex sindaco di Firenze ha una risposta a questo quadro così tragico: «Il miglior nemico di Renzi è Renzi». Ma al netto di letture freudiane da lettino dello psicologo, il dato evidente da sottolineare in questi anni è il sempre più nutrito gruppo di nemici che il fu Rottamatore si è fatto in Italia e all’estero.
PER RISALIRE ORA SCEGLIE I TONI BASSI. Anche Euromedia Research di Alessandra Ghisleri informa sul fatto che il bacino di elettori delusi del Pd sarebbe di quasi 2 milioni e mezzo di persone. E Renzi starebbe provando un’ultima tecnica per riconquistarli: stare il più zitto possibile e abbassare i toni.
Del resto la lista dei nemici è lunghissima, che parte dagli ex partecipanti della Leopolda, da vecchi amici che un tempo credevano in lui al mondo imprenditoriale e bancario, fino agli apparati di sicurezza dello Stato, tra servizi segreti e forze dell’ordine, comprendendo perfino ambasciate importanti come quella di Washington.
PIACEVA LA SUA PECULIARITÀ DI ROTTURA. Chi ha riposto fiducia in Renzi ha spesso lodato la sua caratteristica di “rottura”, di schierarsi sempre contro il sistema, ma in realtà questo atteggiamento si è rivelato un’arma a doppio taglio. «Renzi era uno a cui la gente diceva “figurati se diventi sindaco di Firenze”, “figurati se diventi segretario del Pd”, “figurati se arrivi a Palazzo Chigi”, andando avanti così…», dice un abile lobbista che ha assistito al declino del Ducetto di Rignano, come l’ha soprannominato Dagospia.
DAL 2014 UN TRACOLLO INARRESTABILE. Se infatti all’inizio l’ex premier ha inanellato una serie di successi, poi si è arreso a un tracollo continuo e inarrestabile che potrebbe culminare nelle elezioni politiche 2018 dove un Pd sotto al 20%, o comunque sotto il 25% (la famosa “soglia Bersani” del 2013), potrebbe condannarlo per sempre all’uscita dalla scena politica, secondo alcuni spifferi di Montecitorio.
Del resto Renzi in questi anni ha speso molto tempo a fare tabula rasa delle persone che un tempo lo circondavano e lo veneravano. Basti pensare all’ultimo caso dell’ingegnere Carlo De Benedetti, un tempo consigliere di Renzi, ma ora più che mai ai ferri corti, per di più dopo il caso di presunto insider trading sul decreto delle popolari.
Persino Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Chrysler (Fca), un tempo sponsor renziano per eccellenza, ha gelato l’animo dei supporter di Matteo: «Quello che è successo a Renzi non lo capisco. Quel Renzi che appoggiavo non lo vedo da un po’ di tempo».
Che dire poi di un economista come Luigi Zingales, nel 2011 presente sul palco della Leopolda di Firenze, già da anni lontano dal renzismo, ma ora addirittura (stando a indiscrezioni) papabile ministro di un governo nel Movimento 5 stelle?
Come lui in quella Leopolda c’era pure Pippo Civati, ora in Possibile, tra i primi a mollare il carro renziano. Nell’ultimo anno, poi, dopo la sconfitta al referendum del dicembre del 2016, a incrementarsì è stata la lista degli esponenti del Pd contro l’ex primo cittadino di Firenze.
Ha cominciato Andrea Orlando, ministro di Grazia e Giustizia, candidandosi alle Primarie. Sta continuando a quanto pare Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, simbolo, secondo le indiscrezioni, del possibile Bruto che alle Idi di marzo potrebbe decidere la fine del segretario piddino.
A mollare Renzi sono stati poi Valter Veltroni, Romano Prodi, prima ancora il presidente emerito Giorgio Napolitano. Il pantheon dei padri nobili della sinistra è ormai un lontano ricordo. Anche Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, si è dovuto fare da parte. Emma Bonino, invece, ha scelto l’apparentamento con i dem, rimarcando il fatto di averlo fatto «per Gentiloni», perché Renzi «lo conosco poco».
ANCHE BERLUSCONI ADESSO LO SNOBBA. Lo stesso Silvio Berlusconi, numero uno di Forza Italia, che un tempo vedeva il segretario piddino come un rinnovamento della classe politica italiana, ora invece lo snobba, anche perché lui, da vincente, raramente ha fatto in passato accordi con i perdenti.
Se il mondo politico è un bagno di sangue, quello bancario è una strage di San Valentino. Di Renzi ormai si fidano in pochi, soprattutto dopo la catastrofica commissione bancaria che avrebbe dovuto scoprire le magagne del Monte dei Paschi di Siena o le falle della Consob e di Bankitalia, ma che in realtà è stata la tomba del renzismo, con una serie di bordate contro Maria Elena Boschi e persino il Richelieu Marco Carrai.
IL BOOMERANG DEL REFERENDUM FALLITO. Ignazio Visco e Giuseppe Vegas sono usciti più rinfrancati che mai da quelle che dovevano essere le forche caudine della commissione. La lista è lunga. Il tentativo di rottamare una parte della antica burocrazia statale con il referendum costituzionale fallito il 4 dicembre 2016 è un stato un boomerang che ora sta presentando il conto.
IL CASO CARRAI HA AGITATO LE DIPLOMAZIE. E poi ancora: il tentativo non andato a buon fine di nominare Carrai come consulente per la cyber security con delega ai servizi dentro Palazzo Chigi, proprio lui imprenditore molto vicino a Israele, ha fatto drizzare le antenne alle diplomazie di mezzo mondo, compresa quella degli Stati Uniti.
Non solo. Lo scandalo Consip, con il coinvolgimento di una parte del giglio magico renziano, compreso il padre Tiziano, ha creato fratture insanabili nella magistratura, nell’arma dei carabinieri, persino in un colonnello di lungo corso come il Capitano Ultimo, quello che arrestò Totò Riina. Per capirlo basta leggersi gli aggiornamenti del sito capitanoultimo.blog: chi ha orecchie per intendere intenda.
VA DI MODA IL “MODELLO CAMOMILLA”. L’area economico politica del Nord, quella ben impiantata a Milano, nei grandi studi legali o dei commercialisti di grido, ha iniziato a spostarsi su figure come quella di Gentiloni (“il modello Camomilla”, scrive Il Foglio in una lunghissima intervista al presidente del Consiglio) o meglio ancora sul ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
IL SUO OBIETTIVO? AVERE GLI ESTERI. Di più, nel capoluogo lombardo c’è chi inizia a bazzicare persino la classe dirigente vicino al segretario della Lega Matteo Salvini. Renzi è finito? C’è chi dice da tempo che il suo obiettivo sia quello di fare, un giorno, il ministro degli Esteri. Sempre che i tanti nemici non lo vogliano sgambettare per l’ennesima volta.
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