L’immane strage islamista nella moschea sufi di Bir al-Abd sul Sinai ha superato ormai le 300 vittime, lasciando sgomenta la popolazione per la sua satanicità e indecifrabilità. Un cantante noto, Hani Chaker, si è chiesto come mai i terroristi prendono di mira musulmani e cristiani copti, ma mai degli ebrei. Sono domande che sorgono per la portata stessa dell’operazione stragista ( non è stata ancora rivendicata), che ha richiesto molta preparazione ed alte complicità. Da 20 a 30 assassini, arrivati in pieno giorno in quattro SUV e in uniforme militare, compiuto il primo massacro, hanno potuto isolare la zona dove si trova la moschea per diverse ore, incendiando le auto parcheggiate, sparando sulle ambulanze accorse, per poi ritirarsi con calma prima dell’arrivo delle forze egiziane; anche scontata l’inefficienza dell’esercito, si deve pensare che i terroristi erano molto sicuri del fatto loro, come sapessero esattamente quando sarebbero giunte le truppe e le forze di sicurezza. Si tenga inoltre conto che, in base agli accordi di Camp David, Israele ha il diritto di limitare la presenza militare egiziana nel Sinai – dove invece i suoi servizi ha i suoi referenti. E Sion ha di recente reso aperta una alleanza con l’Arabia Saudita che è la testa del serpente wahabita, in funzione anti-sciita.
Al Sisi è schierato con Assad (e Putin)...
Il Cairo ha recentemente rifiutato, davanti alla Lega Araba, di dichiarare Hezbollah come organizzazione terroristica, suscitando le ovvie ire di Ryad e Tel Aviv, i due stato destabilizzatori più attivi dell’area. Peggio: il 22 novembre, due giorni prima dell’attentato, il presidente Al-Sisi ha affermato pubblicamente il sostegno del suo governo al presidente siriano Bachar Assad, anche con l’invio di truppe in Siria: “La nostra priorità è occuparci delle forze estremiste per stabilire la pace in Siria e Irak”, oltre che sostenere le operazioni anti-Isis in Libia in appoggio al generale Haftar (dove sono arrivati per bilocazione le centinaia di terroristi che le forze Usa hanno fatto uscire indenni da Raqqa). Ed effettivamente, ha riferito il giornale libanese Al-Safir, il 12 novembre, 18 piloti egiziani sono atterrati nella base militare di Hama in Siria, un fonte “vicina alla questione siriana” ha detto che da gennaio arriveranno anche truppe di terra del Cairo per prendere parte a operazioni congiunte anti-terrorismo in Siria. Inoltre a metà dell’ottobre scorso, il capo dell’Ufficio siriano di sicurezza nazionale, Ali Mamluk è andato al Cairo (sua prima uscita in cinque anni) per incontrare il suo pari grado nei servizi egiziani, Khaled Fawzy, per “rafforzare la cooperazione contro il terrorismo” e coordinare le posizioni politiche.
Ovviamente questa garanzia del Cairo al mantenimento a potere in Siria di Assad, e la sua adesione al piano russo di pacificazione promosso da Putin a Soci (il 21 novembre), cambia fondamentalmente i giochi occidentali nell’area. L’Egitto è la più grande nazione sunnita, ma non si schiera con Ryad e non partecipa alle trame (cui Washington e Sion non hanno mai rinunciato) di detronizzare Assad, si avvicina a all’Iran e alla Russia. Potete immaginare la rabbia di Netanyahu, di Bin Salman e del Deep State americano, che mantiene sue truppe – senza esservi invitto dal governo legittimo – in territorio siriano, ad Est dell’Eufrate, dove protegge quella che secondo Washington è “l’opposizione democratica” siriana, ossia i suoi terroristi preferiti. Un’occupazione che si vuole permanente; e gli Usa non hanno risposto all’invito di Putin di essere parte della sistemazione dell’area come deciso a Soci da Mosca, Iran e Turchia.
Quella rete turca smantellata in Egitto
Aggiungiamo un altro fatto, non riportato dai media italiani: il 23 novembre scorso, la stampa di stato egiziana ha riferito dell’arresto di 29 sospetti con l’accusa di complottare per rovesciare Al-Sisi e spiare per conto di Ankara. L’Agenzia Generale di Intelligence Egiziana (EGI) ha confermato: la cellula spionistica era finanziata dalla Turchia e diretta da agenti turchi, ma in diretta coordinazione col Qatar.
Che doppio gioco è questo da parte di Erdogan? Ricordiamo che il suo governo e il Qatar sono i due grandi protettori, finanziatori e istigatori delle azioni della Fratellanza Musulmana. Erdogan a suo tempo ha sostenuto il capo del “governo” dei Fratelli Musulmani in Egitto, Mohammed Morsi, andato al potere con il sostegno anche del presidente Obama, assai vicino anche lui ai Fratelli. Al Sisi ha rovesciato il regime dei Fratelli – che s’era dato immediatamente la missione di eliminare con stragi la minoranza copta – e messo in galera per omicidio Morsi. Erdogan odia Al Sisi, e ha espresso esplicitamente il suo odio.
E’ appena il caso di ricordare che, appena Obama ha cominciato l’aggressione alla Siria (per interposta “opposizione democratica”) per rovesciare Assad e sostituirlo con un regime islamista, Erdogan era entusiasticamente della partita, ha favorito Daesh e ne ha comprato il greggio, partecipava felice al saccheggio e aspettava con ansia (come del resto Hollande) l’ordine di Obama per invadere la Siria con il pretesto (falso) che “Assad gasa il suo proprio popolo”. Solo perché Obama non ha dato l’ordine di invasione, e poi a causa dell’intervento russo, Erdogan ha dovuto oggi, di estrema malavoglia, aderire al piano di stabilizzazione di Putin.
E quello scontro a fuoco, il giorno prima
Da segnalare infine, lo stesso 23 novembre scorso, un giorno prima dell’attentato ai sufi del Sinai, di uno scontro a fuoco in cui la polizia ha ucciso tre terroristi, e catturati altri nove a Beheira, in una irruzione in quel che sembra un laboratorio casalingo bombe. Si trattava di militanti di Lewaa al-Thawra, la formazione armata clandestina dei Fratelli musulmani, creatasi nel 2013 dopo il rovesciamento di Morsi.
La vicinanza, nel 2013, dei Fratelli Musulmani egiziani con il Dipartimento di Stato americano (guidato da Hillary) è documentata dalla condanna penale che un tribunale del Ciro comminò, nel giugno di quell’anno, rovesciato il caro Morsi, ad una ONG americana, il National Democratic Institute. Questa organizzazione non governativa , emanazione del governo Usa, aveva “lavorato” molto per “la democrazia”, ossia per favorire l’elezione d ei Fratelli Musulmani. I giudici condannarono la ONG per non essersi registrata presso il governo, come prescrive la legge (quindi, agiva in condizioni di clandestinità). Dei 43 condannati, 16 erano di nazionalità americana. Tutti condannati in contumacia, avendo preso il largo in tempo. Il capo della ONG, Sam LaHood – condannato a 5 anni in assenza – era il figlio del Segretario ai Trasporti del governo Obama, senatore Ray LaHood
Molti fuoriusciti egizi della Fratellanza hanno trovato protezione in Turchia, dove dispongono anche trasmissioni tv in cui attaccano e insultano Al Sisi. Mentre è il Qatar a dare rifugio al capo spirituale della Fratellanza, Yusuf al-Qaradawi. Il Qatar che è stato grande sponsor del terrorismo islamico in funziona anti-siriana e pro-sunnita su mandato di Obama e d Hillary: non dimentichiamo che la consigliera prima della signora (e forse sua amante), la bella Uma Abedin, è figlia di Saleha Abedin, , che allora dirigeva lo “International Islamic Council for Da’wa and Relief”, l’organizzazione caritativa (diciamo) della Fratellanza, di cui è presidente lo sceicco oggi in esilio in Qatar, il già citato Qaradawi.
Fare del Sinai un santuario jihadista coi reduci di Raqqa?
Cambiato inquilino alla Casa Bianca, il voltafaccia: il Qatar che aveva tanto aiutato col terrorismo le politiche di Hillary, è stato abbandonato nei guai da Donald Trump, che gli ha preferito l’Arabia Saudita – i cui re e principi odiano e temono i Fratelli Musulmani, perché repubblicani. Bin Salman ha lanciato con l’appoggio di Trump il noto ultimatum a Doha (Qatar), con tanto di blocco commerciale, che ha avuto come effetto collaterale l’avvicinamento di Doha a Teheran. Ma l’ottobre scorso, il generale Haftar ha accusato il Qatar di mandare terroristi salvati dalla Siria e dall’Irak in Libia, per la nuova fase di destabilizzazione – che colpisce direttamente l’Egitto, in cui i terroristi dalla Libia possono infiltrarsi facilmente. Per alcuni dei tagliagole è un ritorno: furono assoldati da Hillary come mercenari libici per combattere in Siria, adesso tornano – forse con uno scopo: creare nel Sinai uno spazio sicuro per i jihadisti tagliagole fatti esfiltrare da Siria e Irak. Svuotare il nord-Sinai costiero della sua popolazione civile a forza di bagni di sangue come quello messo a segno contro i sufi, adempirebbe pianamente allo scopo. Non è escluso che sia un tentativo di partizione dell’Egitto ,con la “jihadizzazione del Sinai a protezione del vicino Israele – che notoriamente si sente più sicuro se confina con orde wahabite “religiose”, che con governi laici come quello di Al Sisi e di Assad in Siria.
Come vedete, il presidente egiziano Al Sisi ha molti nemici che vogliono un “cambio di regime” in Egitto; alcuni insospettabili. Una situazione intricata in cui si potrebbe far entrare la morte di Giulio Regeni e l’interruzione italiana dei rapporti diplomatici col Cairo, opera del grande seguace di Hillary ch oggi ci governa. Del resto i britannici hanno avuto un ruolo storico cruciale nella creazione dei Muslim Brothers.
Se l’ipotesi che vi abbiamo esposto vi è parsa troppo intricata per essere compresa, è perché lo è. Non si tiene più il conto dei doppi giochi, voltafaccia e tradimenti di “alleati” che Erdogan e i neocon americani hanno operato in questa rovinosa destabilizzazione di Irak e Siria. L’ultimo tradimento da registrare, è quello ai danni dei curdi. Dopo aver sostenuto per anni la loro speranze di uno stato ritagliato da Irak e Siria, Trump ha rovesciato questa politica: dopo un paio di telefonate, una Putin e una ad Erdogan- ha deciso che mantenere buone relazioni col dittatore di Ankara vale più che i curdi. Dunque, abbandonati e buttati come un pacchetto di sigarette vuoto.
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