di Marco Travaglio | 22 ottobre 2017
Lungi da noi il proposito di infierire su Maria Elena Boschi, che ha già il grave handicap di essere Maria Elena Boschi. Però forse, e sottolineo forse, persino in Italia c’è ancora un limite alle bugie. Parliamo della famigerata mozione del Pd che chiedeva l’eventuale testa del governatore di Bankitalia. Famigerata non per le critiche a Ignazio Visco, meritatissime, ma per il pulpito da cui piovono: il Giglio Magico renziano, che sulle banche ne ha combinate più di Bertoldo in Francia. Siccome la mozione ha fatto infuriare tutti, non trova uno straccio di prestanome che ne rivendichi la paternità. A parte il capogruppo alla Camera, rag. Ettore Rosato, che però l’ha solo fatta propria per ragioni di ufficio; e la deputata ignota ai più Silvia Fregolent, che ci ha messo la prima firma, ma tutti sanno che non s’è mai occupata di Bankitalia in vita sua né mai prenderebbe una simile iniziativa senza che qualcuno gliela commissioni...
Ieri il nostro Marco Palombi ha scritto che l’autrice del capolavoro è la stessa Boschi, unendo i puntini: la Fregolent è una fedelissima della Boschi; la Boschi era l’unico membro del governo a conoscere la mozione fin da subito, quando tutti gli altri big (a parte Renzi, si capisce) la ignoravano; la mozione non è mai passata per l’ufficio legislativo Pd alla Camera; era ignota al coordinatore delle mozioni Pd, l’orlandiano Martella; mai è stata discussa dagli organi ufficiali del partito; e soprattutto è stata trasmessa last minute al sottosegretario Baretta, che seguiva la cosa a Montecitorio per conto del governo, da una e-mail proveniente da Palazzo Chigi. Ieri abbiamo atteso per tutto il giorno una smentita della sottosegretaria, invano. Del resto, appena la Boschi smentisce qualcosa, si capisce subito che quel qualcosa è vero: tipo quando smentì Ferruccio de Bortoli sulla sua telefonata all’ad di Unicredit per il salvataggio di Banca Etruria, annunciando una querela poi mai vista. Infatti poi evitò di smentire il nostro Giorgio Meletti quando rivelò che nel 2014 aveva incontrato nella villa di Laterina (Arezzo) -assieme a suo padre Pierluigi, allora nel Cda di Etruria, e al presidente della banca aretina Giuseppe Fornasari – il presidente e l’ad di Veneto Banca, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli: forse perché anche quel fatto era vero. E non volle commentare la telefonata intercettata il 3.2.2015 del suo babbo che diceva a Consoli: “Io ne parlo con mia figlia, col presidente (Renzi, ndr) domani e ci si sente in serata”.
Forse perché non c’era niente da smentire, salvo il suo giuramento alla Camera dei Deputati, il 18.12.2015, di non essere in conflitto di interessi per non essersi mai occupata di Etruria. Il 20 giugno il Fatto le inviò quattro domande su quei fatti e quel giuramento, ma in quattro mesi la sottosegretaria non ha trovato neppure il tempo per dirci che non avrebbe risposto. Ma mentire al Parlamento è ancor più grave che nascondersi alla stampa e all’opinione pubblica. E dal 18.12.2015 sono trascorsi 20 mesi ed emersi molti fatti nuovi. Dunque è il caso che le opposizioni riconvochino la statista di Laterina in Parlamento. E le domandino se ripeterebbe di non essere in conflitto di interessi per non essersi mai occupata di Etruria.
Ora M5S e Mdp annunciano un’interrogazione al governo, a cui speriamo che risponda la diretta interessata. Spiegando, oltre a tutte le entrate a gamba tesa nell’affare Etruria, cosa le sia saltato in mente di dar l’assalto al governatore di Bankitalia che ha multato per ben due volte il suo babbo per la malagestione di Etruria; o, in subordine, smentire di averlo fatto e rivelarci – prove alla mano – chi è il vero autore della mozione della discordia. Se non andiamo errati, uno dei refrain delle “Leopolde” renziane ai tempi della scalata al Pd era il “principio di responsabilità”: bisogna sempre sapere chi fa cosa, perché i cittadini possono giudicarlo e poi premiarlo o punirlo nelle urne. Poi l’allegra brigata andò al governo e se ne scordò, tant’è che mai, neppure ai tempi di B., si videro tante leggi di incerta paternità, in cerca d’autore, figlie di NN.
Siccome le leggi, come le mozioni, non si scrivono da sole, attendiamo ancora di sapere chi, a Natale del 2014, infilò nella riforma fiscale il condono “salva-B.” per le frodi. Chi inserì nella Manovra 2015 l’emendamento pro petrolieri tanto caro al fidanzato lobbista della ministra Guidi. Chi, nella primavera scorsa, ebbe l’ideona di dare ai derubati la licenza di uccidere i ladri in casa, ma solo nelle ore notturne. Chi, un mese fa, ha introdotto nel decreto del ministro Orlando la demenziale pretesa che la polizia giudiziaria e i pm non riportino più negli atti d’indagine le trascrizioni delle intercettazioni, ma solo i riassunti. E chi ha scritto la mozione anti-Visco. Dinanzi al fondato sospetto che la sottosegretaria abbia mentito al Parlamento per nascondere il suo conflitto d’interessi e conservare la cadrega, vale un principio etico che non sapremmo riassumere meglio di così: “Questa vicenda mi lascia un senso di tristezza addosso… è in gioco la fiducia verso le istituzioni. Io al suo posto mi sarei dimessa, c’è un punto grave in questa vicenda: che ancora una volta si è data l’immagine di un Paese in cui sono delle corsie preferenziali per gli amici degli amici. Abbiamo perso un’altra occasione di fronte ai cittadini… Non è un problema giudiziario, ma politico”. Così parlò Maria Elena Boschi, a Ballarò e al Corriere, il 16 e il 24.112013. Formalmente ce l’aveva col conflitto d’interessi della ministra Cancellieri con la famiglia Ligresti. Ma, sotto sotto, stava già confessando il suo con la famiglia Boschi.---
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