Tomaso Montanari
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Non so se giovi mettere la politica sul lettino dell’ analista, specie se l’ analista non è estraneo al gioco politico.
In ogni caso, se si cerca la ragione della diffusa insofferenza verso Matteo Renzi, la risposta è: Matteo Renzi.
Lungo tutta la sua carriera politica, Renzi non ha lavorato a costruire una comunità, ma a drammatizzare il rapporto tra un capo e la folla. Non con la parola razionale, l’ argomentazione, ma con la seduzione dello storytelling, cioè di un marketing capace di vendere al pubblico una scatola il cui unico contenuto era Renzi stesso. «Un rullo compressore lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo», secondo un’ efficace definizione di Stefano Rodotà....
Una ultrapersonalizzazione che sostituiva alle istituzioni e ai corpi intermedi la consorteria fiduciaria del capo, il famoso giglio magico. Un ritorno all’ antico regime, al tanto vagheggiato Rinascimento: non al dittatore, e nemmeno all’ amministratore delegato berlusconiano, ma al principe e alla corte.
Non so se giovi mettere la politica sul lettino dell’ analista, specie se l’ analista non è estraneo al gioco politico.
In ogni caso, se si cerca la ragione della diffusa insofferenza verso Matteo Renzi, la risposta è: Matteo Renzi.
Lungo tutta la sua carriera politica, Renzi non ha lavorato a costruire una comunità, ma a drammatizzare il rapporto tra un capo e la folla. Non con la parola razionale, l’ argomentazione, ma con la seduzione dello storytelling, cioè di un marketing capace di vendere al pubblico una scatola il cui unico contenuto era Renzi stesso. «Un rullo compressore lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo», secondo un’ efficace definizione di Stefano Rodotà.
Una ultrapersonalizzazione che sostituiva alle istituzioni e ai corpi intermedi la consorteria fiduciaria del capo, il famoso giglio magico. Un ritorno all’ antico regime, al tanto vagheggiato Rinascimento: non al dittatore, e nemmeno all’ amministratore delegato berlusconiano, ma al principe e alla corte.
L’ apprendista stregone è stato travolto dalla forza evocata. E il mancato ritiro dalla politica, solennemente promesso, ha infine trasformato un dramma nell’ eterna commedia italiana.
Ora l’ errore più grave sarebbe seguire lo stesso schema. E cioè pensare che, finito Renzi, la Sinistra italiana possa ricominciare dal 2014. Quando è evidente che il futuro non può essere il ritorno alla classe dirigente che, con la sua catena di errori e debolezze, ha aperto la strada all’ avventurismo personale renziano. Per questo la mia richiesta a Giuliano Pisapia di discutere senza remore la sua scelta di votare sì al referendum non mira (come suggerisce Recalcati) a una nuova personalizzazione, stavolta in negativo: ma, anzi, vuole aprire una seria riflessione di merito. Quella riforma puntava sulla centralità dell’ esecutivo a spese della rappresentanza, sulla figura del capo, su un restringimento degli spazi della critica: è ancora questa la direzione? È questa la via più adatta per combattere la diseguaglianza che sfigura il paese? Lasciamo i capi al loro destino, riprendiamo ad occuparci della comunità.
Alleanza popolare per la democrazione e l’uguaglianza, 19 Luglio 2017
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Non so se giovi mettere la politica sul lettino dell’ analista, specie se l’ analista non è estraneo al gioco politico.
In ogni caso, se si cerca la ragione della diffusa insofferenza verso Matteo Renzi, la risposta è: Matteo Renzi.
Lungo tutta la sua carriera politica, Renzi non ha lavorato a costruire una comunità, ma a drammatizzare il rapporto tra un capo e la folla. Non con la parola razionale, l’ argomentazione, ma con la seduzione dello storytelling, cioè di un marketing capace di vendere al pubblico una scatola il cui unico contenuto era Renzi stesso. «Un rullo compressore lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo», secondo un’ efficace definizione di Stefano Rodotà....
Una ultrapersonalizzazione che sostituiva alle istituzioni e ai corpi intermedi la consorteria fiduciaria del capo, il famoso giglio magico. Un ritorno all’ antico regime, al tanto vagheggiato Rinascimento: non al dittatore, e nemmeno all’ amministratore delegato berlusconiano, ma al principe e alla corte.
Non so se giovi mettere la politica sul lettino dell’ analista, specie se l’ analista non è estraneo al gioco politico.
In ogni caso, se si cerca la ragione della diffusa insofferenza verso Matteo Renzi, la risposta è: Matteo Renzi.
Lungo tutta la sua carriera politica, Renzi non ha lavorato a costruire una comunità, ma a drammatizzare il rapporto tra un capo e la folla. Non con la parola razionale, l’ argomentazione, ma con la seduzione dello storytelling, cioè di un marketing capace di vendere al pubblico una scatola il cui unico contenuto era Renzi stesso. «Un rullo compressore lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo», secondo un’ efficace definizione di Stefano Rodotà.
Una ultrapersonalizzazione che sostituiva alle istituzioni e ai corpi intermedi la consorteria fiduciaria del capo, il famoso giglio magico. Un ritorno all’ antico regime, al tanto vagheggiato Rinascimento: non al dittatore, e nemmeno all’ amministratore delegato berlusconiano, ma al principe e alla corte.
L’ apprendista stregone è stato travolto dalla forza evocata. E il mancato ritiro dalla politica, solennemente promesso, ha infine trasformato un dramma nell’ eterna commedia italiana.
Ora l’ errore più grave sarebbe seguire lo stesso schema. E cioè pensare che, finito Renzi, la Sinistra italiana possa ricominciare dal 2014. Quando è evidente che il futuro non può essere il ritorno alla classe dirigente che, con la sua catena di errori e debolezze, ha aperto la strada all’ avventurismo personale renziano. Per questo la mia richiesta a Giuliano Pisapia di discutere senza remore la sua scelta di votare sì al referendum non mira (come suggerisce Recalcati) a una nuova personalizzazione, stavolta in negativo: ma, anzi, vuole aprire una seria riflessione di merito. Quella riforma puntava sulla centralità dell’ esecutivo a spese della rappresentanza, sulla figura del capo, su un restringimento degli spazi della critica: è ancora questa la direzione? È questa la via più adatta per combattere la diseguaglianza che sfigura il paese? Lasciamo i capi al loro destino, riprendiamo ad occuparci della comunità.
Alleanza popolare per la democrazione e l’uguaglianza, 19 Luglio 2017
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