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sabato 11 marzo 2017

L’allarme di Gentiloni: il vertice di Roma può diventare un flop


 

Il premier italiano avverte la Commissione: “A giudicare la politica si crea dissenso”.
INVIATO A BRUXELLES
A Bruxelles, con Paolo Gentiloni, è arrivata un’altra Italia rispetto a quella di Matteo Renzi. Un fatto di stile, e da queste parti, certe cose contano. Due giorni fa, durante la discussione preliminare tra i 28 capi di Stato e di governo, il presidente del Consiglio italiano si è rivolto indirettamente a Jean-Claude Juncker, lamentandosi di quanto la Commissione europea aveva scritto nel suo ultimo report circa i «rischi politici» che correrebbe l’Italia in questo frangente: «Sono questioni che vanno affrontate con una certa sensibilità», ha detto Gentiloni e in ogni caso «le elezioni non sono sinonimo di instabilità, ma di democrazia». Comunque, attenzione, perché certi report di Bruxelles, se non ben calibrati, «hanno un impatto sull’opinione pubblica». Di queste parole, certo garbate ma proprio per questo più penetranti in un consesso come quello europeo, nulla è trapelato, nulla è stato fatto filtrare da Palazzo Chigi, mentre nel passato le sortite di Renzi durante questi summit avevano un impatto esterno in «diretta» e almeno pari al fuoco polemico realmente espresso...
 

I timori  
Ma il Consiglio europeo si è chiuso con qualche pensiero per il capo del governo italiano in vista delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma del 1957. Un vertice che si può raccontare partendo dall’ultima «istantanea». Nel gran salone del Consiglio, la signora Beata Szydlo, primo ministro della Polonia, si avvicina a Paolo Gentiloni e si congeda con un sorriso: «Ci vediamo a Roma...».  

Certo, i polacchi sono affezionati alla capitale del cattolicesimo e d’altra parte, la Szdylo non ha del tutto tirato giù la saracinesca, nel corso della discussione tra i 27 capi di governo, sul (controverso) Documento col quale, il 25 marzo, l’Italia intende suggellare le celebrazioni per i Trattati di Roma. Una sorpresa l’atteggiamento non ostruzionistico della Szdylo, soprattutto dopo quel che era accaduto nelle 24 ore precedenti e che sembrava potesse compromettere in modo rovinoso il Vertice celebrativo di Roma.  

Un esito infelice che peraltro non si può del tutto escludere dopo quanto accaduto nella prima giornata di questo Consiglio. Nel pomeriggio del 9, si era consumata la brusca rottura tra tutta l’Unione e i polacchi che, da soli, hanno votato contro la rielezione del loro connazionale Donald Tusk come presidente del Consiglio europeo.  

Proprio perché così irritati i polacchi - e con loro gli altri Paesi di Visegrad - saranno un osso durissimo per Paolo Gentiloni. Il presidente del Consiglio, in perfetta continuità con Matteo Renzi, ha deciso di trasformare la celebrazione in un evento diverso dalla consueta passerella che va in scena di queste occasioni. L’ambizione del governo italiano è quella di dare un senso, un’impronta all’evento.  

L’obiettivo  
Un obiettivo che il presidente del Consiglio intende raggiungere attraverso due passaggi: inserire nella Dichiarazione finale alcuni concetti qualificanti, in particolare sulle «due velocità» e al tempo stesso ottenere la firma di tutti e 27 i capi governo in calce al documento e non limitarsi ad una generica adesione da parte dei rappresentanti delle istituzioni europee. Ma il muro dell’Est rischia di inficiare l’ambizione di Roma. E dunque, l’appuntamento del 25 marzo in Campidoglio, quello che un anno fa Matteo Renzi aveva immaginato come un «arco di trionfo» per la propria immagine e per la propria leadership, rischia di trasformarsi nel primo passaggio critico per Paolo Gentiloni, che è arrivato alla vigilia dei suoi primi 100 giorni con un invidiabile score: nessun incidente politico. ---

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