Maurizio Blondet
Trump “ha detto frasi da malato mentale”, “ imita i suprematisti bianchi” “copia David Duke!”, “è di quelli che credono al complotto ebraico!”. Era il 28 febbraio, un mesetto fa,e l’indignazione mediatica e politica salì alle stelle. La virtù offesa si sfogava in trasmissioni, comunicati e tweet: Trump “insane!”, un presidente razzista e complottista!
Qual era l’inqualificabile, la degradante colpa di Donald? Aveva detto che, secondo lui, le minacce telefoniche che stavano ricevendo da mesi centri della comunità ebraica e cimiteri ebraici, potevano essere dei “false flag”. Se sono vere minacce sono “reprensibili”, ma possono essere cose fatte “da qualcuno per mettere in cattiva luce qualcun altro”, specialmente suoi elettori.
Immediatamente l’Anti-Defamation League emana un comunicato indignatissimo:
“Siamo stupefatti di ciò che il presidente ha detto. La Casa Bianca ha l’obbligo di chiarire immediatamente queste frasi. Alla luce delle aggressioni che sta subendo la comunità ebraica, spetta obbligatoriamente al presidente di spiegare immediatamente cosa il governo intende fare per affrontare questa ondata di incidenti anti-semiti”.
Chi sa l’inglese legga qui:....
Per avere un’idea succosa dell’ostentato sdegno, della derisione, della incredulità, dei cachinni che la frasetta di Trump ha suscitato un mese fa. “Vuol dire che a fare minacce contro gli ebrei sarebbero – gli ebrei? Matto”. “Un non presidente!”, un paranoico! “L’olocausto è una viva memoria e abbiamo un presidente che insinua che minacce di morte e vandalismi di antisemiti sono false flag!”.
Psichiatria talmudica
Poi, il 23 marzo, la polizia israeliana ha arrestato un giovane ebreo israeliano, 19 anni, come l’autore delle decine di telefonate minatorie fatte a centro comunitari ebraici, sinagoghe, cimiteri, circoli, negli Stati Uniti, ma anche in Australia e Nuova Zelanda. Con una delle sue chiamate “antisemite”, il giovane semita aveva persino costretto ad un atterraggio d’urgenza un aereo della Delta Airlines, perché il semita finto-antisemita aveva detto di averci piazzato una bomba. Secondo il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, il ragazzo usava accorgimenti tecnici per alterare la propria voce, non usava linee telefoniche normali ma parlava da diversi computers per mascherare l’origine delle chiamate, eccetera.
Ora, l’episodio pone alcune questioni. Trump probabilmente sapeva delle indagini in corso, l’FBI ci stava lavorando da anni (l’atterraggio forzato dell’aereo Delta risale al febbraio 2015). Del resto, se si dovesse fare una lista delle “minacce antisemite” , dei veri e propri “attentati antisemiti” , e dei “cimiteri ebraici profanati con svastiche” verniciate sulle tombe, di cui poi si scoprono autori degli ebrei, in Europa ed Usa, ne risulterebbero vari libri – o trattati di psichiatria talmudica, che potrebbero utilmente servire a spiegare perché gli ebrei sentano il bisogno di fingersi odiati e discriminati, vogliano far sentire non solo se stessi, ma anche i loro correligionari vittime in pericolo imminente di pogrom del tutto immaginari. Le motivazioni consce e sub consce sono del più grande interesse. Gli ebrei accusano di essere discriminati e trattati da “diversi”, ma se c’è una cosa che veramente temono, è essere trattati senza pregiudizi, come cittadini comuni: perché in questo vedono il pericolo massimo per la loro (presunta) essenza, quello di essere “assimilati”. L’inglobamento nella normale umanità, l’assimilazione, i matrimoni misti, lo vivono come “minaccia di estinzione”. Insomma: se li detesti, stai tramando il loro genocidio; se li ami, li voi estinguere per assimilazione. In questo, tra l’altro, si tradisce una tipica proiezione freudiana: “Tutti i goy ci odiano e ci vogliono morti” proietta il loro subconscio: odiamo tutti, e li vogliamo morti. Da qui nasce anche la ben nota sindrome di Stress-Pre-Traumatico, ben studiata da Gilad Atzmon: per cui, traumatizzati in anticipo da un trauma che non è avvenuto ancora e forse non avverrà mai, essi sentono la necessità di eliminare il nemico immaginario, sterminandolo, prima che questo lo faccia a loro.
Ma per tornare a bomba (è il caso di dirlo), ossia alla giusta previsione di Trump. L’impudenza e l’improntitudine dell’Anti Defamation League non hanno avuto alcuna conseguenza; la potente organizzazione ebraica non si è sentita in dovere di scusarsi, né gli altri insultatori, derisori, accusatori a vanvera di Trump. E’ sempre più evidente che in una parte rilevante dell’opinione pubblica che conta, la progressista, che si esprime sui media e nelle potenti lobbies, qualunque cosa faccia il neo-presidente Usa, provoca veri attacchi di idrofobia, rigurgiti di odio irrefrenabili, strida di cieca rabbia, che toglie ogni capacità di valutazione oggettiva.
Guerra civile in America? Non male.
E’ quasi incredibile l’aperta ostilità, la non celata voglia di sputare su, di espellere ed eliminare con ogni mezzo quello che, dopotutto, è il presidente, da parte di anchormen e politici e personaggi del “deep state”; al modo cui ci si abbandonano pubblicamente, in tv, al loro odio sbavante, alla loro bile, al loro assoluto non prendere atto del loro torto (come nel caso di cui sopra) e magari, invece, Donald ha ragione.
E’ un fenomeno mai visto, una bolla di vera e propria insania che ha già l’apparenza e la sostanza di una guerra civile.
Di ciò si rallegra ironicamente M.K. Bhadrakumar, già ambasciatore dell’India a Mosca, oggi notista internazionale di Asia Times:
“Si può sostenere la tesi che se la guerra civile americana continua così selvaggiamente a combattersi fra le elites come fanno oggi, e se la lotta fratricida continua per altri 4 o 8 anni – idealmente, per l’intera presidenza Trump – sarà un gran beneficio per la comunità internazionale”.
Bhadrakumar parla da asiatico e dal punto di vista degli interessi asiatici. Nota che , mentre i guerrafondai in Usa sono distratti dalla guerra civile anti-Donald, il nuovo segretario di stato Tillerson ha – contrariamente a quel che facevano temere certe uscite aggressive di Donald – stretto un accordo consensuale con il capo della Cina, “per assicurare un sano sviluppo delle relazioni Usa-Cina, nello spirito di non-conflict, non-confrontation, mutual respect and a win-win cooperation”, spero non ci sia bisogno di traduzione. In Siria, “la CIA ha chiuso completamente il rubinetto delle armi ai ribelli”. In Irak, laddove “l’amministrazione Obama ha lasciato crescere l’ISIS e Al Qaeda, Trump li sta effettivamente combattendo, anzi, cosa importante, lascia che i nemici regionali degli Usa, l’Iran e le milizie sostenute dall’Iran [Hezbollah in Siria, in Irak le milizie sciite Hashd ash-Shabi che stanno ripulendo Mossul dai jihadisti wahabiti, e che Obama aveva obbligato ad astenersi dal combattere] le combattano senza ostacoli”.
Insomma, per l’Asia l’insania civile americana è un beneficio, perché distrae la ex superpotenza dalle sue azioni egemoniche e belliciste. E per noi? “Ci saranno sempre elementi scontenti, per esempio Gran Bretagna e Germania”, dice Bhadrakumar: “Ciò è perfettamente comprensibile. Si rendono conto che Trump le guarda come forme inferiori di vita. Esse vogliono caramente che Trump perda la guerra civile, e la perda subito: senza l’America a guidare, temono di perdere il loro peso nella politica internazionale. Per noi asiatici nemmeno questa è una brutta prospettiva. Si spera che il sipario cali sullo “Occidente” quale lo abbiamo conosciuto nella storia moderna”.
Ma tanti ebrei sono pro-Trump.
Può essere utile, nella mappatura della guerra civile americana, enumerare gli ebrei di peso che sono dalla sua parte (o che lo controllano, direbbe qualcuno). Un numero sorprendentemente alto s’è schierato con lui, il che dice la complessità del conflitto civile in corso. Traggo i nomi da un sito, diciamo, antipatizzante: The ZOG Info. “Zog” sta per Zionist-Occupied Government.
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