22 Settembre 2016
Da Rassegna di Arianna del 20-9-2016 (N.d.d.)
Parce sepulto, perdona chi è sepolto, è l’invocazione di Polidoro ad Enea nel poema virgiliano. Ed allora perdoniamo, con enorme fatica, Carlo Azeglio Ciampi, che ci ha lasciati alla bella età di 95 anni, per raggiungere l’Oriente divino, a gloria del grande architetto dell’universo. Il banchiere livornese, fatto presidente della Repubblica dopo essere stato Primo Ministro e ministro del Tesoro senza essere mai eletto dal voto popolare, è stato oggetto di una disgustosa beatificazione di regime “post mortem” che innalza un enorme polverone d’incenso ad un personaggio tra i peggiori e più deleteri della pur sinistra storia della Repubblica italiana. Un quotidiano ha osato titolare che egli fu l’uomo che “salvò l’Italia”. La verità, fuori dalle balle diffuse a reti unificate, con gran tramestio di grembiulini, compassi ed elogi pronunciati da innumerevoli pulpiti, è completamente, assolutamente, radicalmente opposta alle litanie lauretane che abbiamo dovuto leggere ed ascoltare. Cerchiamo allora di ristabilire i fatti, attorno alla figura del defunto falso padre della patria, ricordando che Tommaso d’Aquino ammoniva a non tacere mai la verità, neppure dinanzi al timore dello scandalo. O, come nel caso presente, al rischio di incorrere nelle democratiche ire di un potere che non tollera veri dissensi.
Ciampi era un brillante tecnocrate, per quanto di formazione umanistica, e la sua unica tessera politica, presa negli anni della guerra, fu quella del Partito d’Azione, come ricordava, con gli occhi umidi di pianto, il Manifesto, quotidiano comunista, a prova ulteriore della contiguità con finanza e poteri riservati forti degli ex difensori dei lavoratori e degli sfruttati. Il Partito d’Azione, spazzato via dal miserrimo consenso elettorale racimolato, fu una congrega di illustri personaggi, quasi tutti in odore di massoneria, che, dal pulpito di un antifascismo esagitato, lavoravano per un’Italia che uscisse dalla sue tradizioni e dalla sua storia, per diventare una provincia dell’impero del liberalismo progressista. Tra loro, i peggiori maestri della cultura italiana, da Norberto Bobbio ad Alessandro Galante Garrone, e politici che si riciclarono poi negli altri partiti dell’arco costituzionale, come Ugo La Malfa, uomo del sistema bancario e degli inglesi, o Riccardo Lombardi ed Ernesto De Martino, socialisti filocomunisti.....
. Chiusa la parentesi giovanile, Ciampi entrò in Banca d’Italia, facendovi una rapida carriera. Il suo ruolo divenne centrale nella vita nazionale soprattutto dal 1981, quando, in accordo con un altro tecnocrate già prestato alla politica, Beniamino Andreatta, fu ispiratore e protagonista del primo, drammatico, atto di svendita della sovranità popolare e nazionale, il cosiddetto divorzio tra il Tesoro, quindi il Governo nazionale eletto dal popolo, e la Banca centrale, Bankitalia appunto. Realizzata con un vero e proprio colpo di Stato del tutto irrituale- una semplice lettera indirizzata da Andreatta ai vertici di Via Nazionale (Ciampi…), l’operazione consisteva nel permettere alla banca centrale di non acquistare più obbligatoriamente i titoli di Stato eventualmente invenduti alle aste periodiche, calmierandone quindi i tassi. Lasciato alla mercé del mercato finanziario, da allora aumentò in maniera vertiginosa la spesa per interessi passivi, ed iniziò la corsa drammatica ed infinita del debito pubblico italiano, sino a quella data tra i più contenuti d’Europa e del mondo. Nel 1981, la spesa per interessi fu di circa 29 miliardi di lire. Dieci anni dopo, 147 miliardi. Salvò la Patria… Nel 1992, in piena tempesta di fine prima repubblica, dilapidò in poche settimane le riserve di Bankitalia per 60mila miliardi di lire (avete letto bene) per opporsi all’attacco contro la nostra valuta alimentato da George Soros a nome dei Rothschild. Effetto? Lira svalutata del 30 per cento e, la svendita dell’IRI a prezzi stracciati ai soliti noti, specie quelli legati all’immenso sistema della famiglia dello Scudo Rosso.
Delle due l’una: o Ciampi era un fesso, e non lo era affatto, o la sua azione era finalizzata a scopi chiaramente antinazionali. Fu poi presente alla famosa riunione sul panfilo Britannia che organizzò le privatizzazioni che smembrarono i gioielli del sistema Italia, e regalarono, di fatto, le banche di interesse nazionale alla speculazione finanziaria, e privatizzarono la stessa Banca d’ Italia. Nel 1994, poi, Ciampi si ritrovò a palazzo Chigi, agli ultimi rantoli della prima repubblica, ed assistette impassibile alla stipula dei primi prestiti con le banche d’affari fondati sul famigerato sistema dei “derivati”. Con Morgan e Stanley, il suo governo sottoscrisse clausole capestro che, vent’anni dopo, permisero agli strozzini di pretendere il rientro immediato del prestito, regalando quattro miliardi di euro degli italiani, che un altro salvatore della patria, Monti, girò a Morgan & Stanley. Da Presidente della repubblica, lavorò dietro le quinte per cedere ulteriori pezzi di sovranità nazionale alle oligarchie finanziarie ed agli eurocrati loro mandatari. Adesso si favoleggia di un suo spirito patriottico, che avrebbe favorito un ritorno del sentimento nazionale e della bandiera tricolore. Anche su questo la verità è diversa: da vecchio “azionista”, Ciampi detestava l’Italia reale, ed il suo patriottismo era quello che Jurgen Habermas chiamava “costituzionale”, un sentimento freddo e burocratico basato sulle presunte buone leggi dello Stato e non certo sui sentimenti e la storia nazionale. C’è di più: dietro la nuova retorica tricolore, egli nascose l’intenso lavoro di cessione della sovranità, la svendita di interi settori produttivi, il favoreggiamento delle prime ondate migratorie.
Quanto al suo ruolo di protagonista nella costruzione del sistema monetario che ha portato all’Euro, è talmente noto che non vale la pena spendere altre parole, se non rammentare che “dai frutti li riconoscerete”. I frutti sono quelli che vediamo tutti i giorni, e rendono la memoria di Carlo Azeglio Ciampi particolarmente negativa. C’è chi ha parlato di tradimento, una categoria difficile da applicare alla politica: noi preferiamo affermare che il banchiere livornese mai eletto, sempre nominato, è stato un consapevole nemico della sovranità del popolo italiano, ed un valente, scrupoloso funzionario dei poteri forti. Per il resto, interessante è il cordoglio del Grande Oriente d’Italia, la maggiore organizzazione massonica italiana, quello di un prelato di fama “progressista” come monsignor Paglia, e, per un tocco di eccentricità, anche quello di Roberto Benigni, giullare di regime e, sembra, confidente del Venerato – forse venerabile – maestro. Riposi in pace, comunque. Il male fatto è tutto sulle nostre spalle, ma almeno, da oggi, risparmieremo diverse decine di migliaia di euro dei ricchi vitalizi che ne facevano il più pagato pensionato d’Italia. Non è mai troppo, tuttavia, per un salvatore della patria.
Roberto Pecchioli
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