Da Rassegna di Arianna del 2-9-2016 (N.d.d.)
Con 61 voti su 81 il Senato brasiliano ha votato Si all’impeachment della “Presidenta” Dilma Rousseff,
che decade così dalla carica presidenziale; al suo posto subentra nella pienezza dei poteri il suo ex vice,
Michel Temer, da maggio già impegnato a dare una svolta liberista al Brasile. Malgrado la strenua difesa
della Rousseff l’esito era ampiamente scontato, secondo un copione che ha avuto un’unica sorpresa: i
senatori non sono voluti andare fino in fondo e, con una seconda votazione, hanno impedito che Dilma
fosse interdetta dai pubblici uffici, lasciandola teoricamente rieleggibile. Incomprensibile in un normale
processo, vista la formale accettazione dell’accusa, ma non in questo che è stato in realtà un
procedimento politico, che poco o nulla aveva a che fare con l’accertamento dei fatti e le
conseguenti sanzioni. Una classe politica plurindagata e totalmente scollegata dal Paese, ha
consumato un suicidio politico nel grottesco quanto inutile tentativo di ridarsi una verginità sacrificando
la Rousseff all’ondata di inchieste che la sta travolgendo. Tutta. Senza che ci sia una forza politica che
se ne possa dire in qualche modo estranea. Lo stesso presidente Temer e il presidente della
Camera Cunha, i registi dell’impeachment, sono indagati come lo sono molti di coloro che
hanno partecipato al voto.....
Quella che è andata in scena è stata una farsa pietosa: Rousseff è stata
incastrata per aver abbellito i bilanci nascondendo il livello della crisi economica che non aveva saputo
contrastare, pratica usata in Brasile senza ritegno da tutti gli amministratori pubblici, ma non di
corruzione o appropriazione indebita a differenza di molti suoi accusatori.
Dilma paga i suoi tanti errori, paga l’inadeguatezza per la carica e paga la sete di potere di una
vecchia classe politica che ha ritenuto di sacrificarla per sostituirsi a lei, facendosi strumento delle
forze che hanno pilotato il profondo malcontento che scuote il Brasile. Con lei finiscono 13 anni di
Governo delle sinistre che, soprattutto con Lula, ha strappato decine di milioni di brasiliani dalla
povertà; adesso, con la motivazione della crisi che ha paralizzato la seconda economia delle
Americhe, stanno già partendo le “riforme” che distruggeranno lo Stato sociale, venderanno alle
multinazionali risorse e infrastrutture del Paese, e riposizioneranno radicalmente la politica estera del
Brasile, riportandola fra Wall Street e la Casa Bianca. Adesso, il blocco di potere che ha usato la
recessione economica e l’indignazione per un ceto politico indegno quanto corrotto, manovrerà come
burattini i vari Temer, Cunha e così via, facendogli fare il “lavoro sporco” per trasformare il Brasile in
un paradiso liberista per multinazionali e super ricchi, salvo abbandonarli quando le proteste popolari e
le inchieste che già li assediano li travolgeranno. Allora una classe politica nuova di zecca, incensata da
media pilotati, indenne dalla magistratura e sostenuta dalle élites conservatrici del Paese, prenderà in
mano il Brasile in nome del cambiamento per gestirlo nell’interesse di Washington e della finanza
internazionale.
Niente di nuovo, certo, ma fa specie vedere un Paese (e che Paese) votarsi al suicidio, scegliendo
la sudditanza all’Imperialismo.
Salvo Ardizzone
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